Due settimane ci separano dal voto. Dalle aule giudiziarie dove risiedono, lor signori dei Monopoli sono riusciti nell’impresa di introdurre nella democrazia una nuova versione del gratta e vinci (il titolo provvisorio in onore del vernacolo romano è «rosica e perdi») riservata ai cittadini del Lazio. Il giochino è semplice: una volta dentro la cabina, i più fortunati e solo loro troveranno sulla scheda il simbolo del Popolo della libertà, ma solo sul «listino», in quella parte della scheda cioè che ti costringe a votare Renata Polverini. Gli altri, magari anche quelli che avrebbero voluto turarsi il naso sulla candidata alla presidenza ma non tradire comunque la loro fede berlusconiana, dovranno farsene una ragione.

È il nuovo gioco della democrazia: dal suffragio universale si passa alle messe in suffragio del Pdl. D’altronde, non tutti i salmi finiscono in gloria. E quindi amen. Celebrato e sancito il patatrac, non si capisce bene che cosa ci vada a fare con questo freddo il Pd in piazza in compagnia di Antonio Di Pietro e annesso popolo viola. Il povero Pier Luigi Bersani sarà costretto a rintuzzare le bordate ad alzo zero che Di Pietro ha già promesso di sparare in direzione del Quirinale e dovrà fare soprattutto gli opportuni distinguo dagli slogan contro Giorgio Napolitano che saranno puntualmente intonati dal coro delle voci viola. E tutto questo in virtù del noto principio secondo cui il decreto è una solenne porcata… ma Napolitano, per i fragili eredi del vecchio Pci, è un pastore di pecore buone e guida meglio di chiunque altro il gregge dello Stato. Ipocriti.

Domenica 21 marzo scenderà in piazza il Popolo della libertà. E protesterà al contrario: contro i giudici, gli azzeccagarbugli, i legulei, i causidici e la sinistra distruttiva che bara. L’intento dichiarato però è un altro e si ricollega alla politica del fare con un patto fra i governatori e gli elettori basato su punti concreti come il piano casa e il verde. Silvio Berlusconi, nel frattempo, pare abbia deciso di riprendere il pallino in mano. Era ora. Quello che è accaduto negli ultimi mesi è abbastanza lineare. Per indebolire il premier se ne sono tentate di tutti i colori: in principio con il gossip e poi sempre più su, fino ai deliri del pentito Gaspare Spatuzza sulle stragi, le minchiate in mondovisione di Ciancimino jr, il processo Mills passando per i mascariamenti obliqui delle inchieste sul G8, il cannoneggiamento per la legge sul legittimo impedimento. Tutto ciò non gli ha fatto un baffo: roba da zero virgola nei sondaggi sulla sua popolarità, salita anzi alle stelle a fine 2009 dopo il «regalo» marmoreo lanciatogli da Massimo Tartaglia in piazza del Duomo a Milano. Dove non arrivò neppure la crisi economica che ha fatto sprofondare i leader di mezzo pianeta, poté invece la «gioiosa macchina da guerra» composta da radicali e giudici romani, denunciata da Berlusconi.

Non va sottovalutata, però, l’ingordigia nichilista, chiamiamola così, di statisti e paninari che all’interno del Pdl hanno lavorato in questi ultimi mesi per il nemico. Il Pdl si è rivelato per quello che è: un non partito che è purtuttavia il primo in Italia grazie solo e soltanto a Berlusconi e al suo carisma. Ecco perché è il momento di riappropriarsi della leadership, di attrezzarsi e affrontare i nemici interni una volta per tutte. L’attacco al Cavaliere rispetto ai precedenti, stavolta, non è solo esogeno, ma anche endogeno; e mira a un logoramento progressivo e inarrestabile della sua figura.

Come spiegarsi, altrimenti, le uscite continue e reiterate dei Balilla del moralismo, degli avanguardisti del politically correct, dei cosiddetti patrioti del nuovo risorgimento costituzionale? Di quei giocolieri della politica, insomma, che facendosi scudo della democrazia interna si discostano dal programma e dal patto siglato dal partito con gli elettori? Bisogna intendersi: non è in discussione il sacrosanto diritto al dissenso o al confronto anche aspro tra diverse posizioni all’interno del Popolo della libertà. Ma la partenza di ogni ragionamento dei nuovi cavallini di Troia muove sempre da una premessa: il distinguo sistematico, il disconoscimento politico se non addirittura il disprezzo dell’azione che Berlusconi vuole intestare a sé e al proprio governo. Si vada alla resa dei conti e si faccia chiarezza. Comunque finiscano, d’altronde, le regionali per il Pdl saranno un successo: parte da appena due regioni mentre la sinistra ne governa 11. Può vincere in almeno quattro, forse in cinque.

E tanto per uscire fuori di metafora, al tavolo del chiarimento dovrà accomodarsi tra i primi Gianfranco Fini. Smettendo gli onori della terza carica dello Stato e indossando gli oneri del cofondatore del Pdl. Evitando magari, se riesce, di vedere fantasmi dietro ogni articolo. da PANORAMA N.12/2010.

NOTA DELLO STAFF.

Condividiamo questo editoriale del direttore di Panorama, Giorgio Mulè.  che è stato scritto prima che da  Trani  giungesse la notizia dell’ennesima bufala giudiziaria contro Berlusconi, anche questa volta alla vigilia delle elezioni e questa volta pretendendo di far assurgere a reato l’opinione che la trasmisisone televisiva di Santoro, Annozero, andrebbe eliminata per l’alto grado di incanaglimento della lotta politica che essa produce con i suoi ” assolo” contro gli assenti, in primis il premier Berlusconi, bersaglio fisso delle intemerate di tal Travaglio. Siamo al paradosso! La semplice opinione, peraltro da Berluscon pubblicamente e ripetutamente espressa, diviene per qualche magistrato in cerca di pubblicità un reato. Gli elettori faranno strame di cotanta sciocchezza. La stssa cosa dicasi per l’ultima uscita del presidente della Camera, il noto Fini, che appena ieri ha lanciato il suo ennesimo attacco al capo del governo e del Partito che lo ha issato, immeritatamente secondo noi,  sullo scranno della terza carica dello Stato. Ha pontificato Fini in quel di Romagna che l’arbitro, dove per arbitro deve leggersi Berlusconi, non deve parterggiare per alcuna delle parti in causa. Cioè, secondo Fini, il capo del governo che come in tutte le democrazie moderne è anche capo della maggioranza,  non deve partecipare alla campagna elettorale perchè deve mantenersi neutrale. Ma dove l’ha scovata questa idea Fini? Da quale cappello l’ha tirata fuori questa incredibile baggianata? Non certo nel suo recente viaggio in America, dove, immaginiamo, avrà appreso che nelle recenti consultazioni elettorali il presidente Obama ha preso parte attivamente alla campagna a sostegno dei suoi del partito democratico (quello americano!).  Non solo, sempre Fini, l’altro ieri, a proposito della manifestazione indetta per per il 21 marzo a Roma dal PDL,  per rispondere a quella in atto oggi a Roma da parte della sinsitra, ha detto che lui non parteciperà perchè lui ricopre un incarico istituzionale , e richiesto di esprimere una opinione sulla inziativa, si è rifiutata di rispondere perchè a porgli la domanda era stata una donna. Dal che  si intuisce che l’opinione di Fini sulla iniziativa è negativa, e non ci meraviglia, come invece ci meraviglia il fatto che ricoprendo un ruolo istituzionale non può partecipare ad iniziative di partito. L’on. Fini dimentica  due cose: a)tutte le sue entrate a gamba tesa nella politica interna del PDL in quanto “cofondatore”; 2) che a marzo scorso intervenne al congresso fondativo del PDL prendendo la parola come “cofondatore”.

Ci sembra allora che Fini non abbia neppure buona memoria oltre che essere ormai sempre più sideralmente lontano dal soggetto politico nato grazie all’intuizione di Berlusconi. Perciò ha ragione Mulè quando chiede,  e pretende, che dopo le elezioni si dia luogo ad un processo di chiarezza nel PDL che coivolga tutti perchè così non si può andare avanti. g.