L’avevamo detto, l’altro ieri, che il “meglio” doveva ancora venire e così è stato. Purtroppo non il meglio, ma il peggio. Nemmeno l’on. Bocchino,  sarebbe riuscito ad essere altrettanto maldestro e altrettanto cattivo quanto lo è stato l’on. Fini che ieri ha smesso i panni dell’equilibrista per indossare quelli del gladiatore, scendendo nell’arena della polemica all’interno del PDL, con una una virulenza che meritava ben altri scenari e ben altri contradditori. Perchè Fini, che da mesi è assai tenero, quasi affettuoso,  quando interloquisce con gli avversari, anzi, diciamolo papale, papale, con i nemici del PDL e del centro destra, anzi della Destra, ieri ha usato nei confronti dei suoi stessi “commilitanti” toni, gesti, linguaggi che di solito si usano nei confronti degli avversari, anzi, ripetiamolo, nei confronti dei nemici. A vederlo,  a sentirlo, e poi ancora a vederlo,  mentre inveiva contro Berlusconi, gli agitava contro l’indice accusatore, gli chiedeva arrogante e provocatore se  volesse “cacciarlo” dal partito, il partito che qualche settimana prima,  in piena campagna elettorale, aveva detto di “non piacergli” fornendo armi al nemico, che alla vigilia del voto aveva abbandonato, accampando come pretesto la terzietà della carica rivestita,  come fanno i disertori fuggendo dalla trincea per viltà, o, peggio, per connivenza con il nemico, quel partito che si è salvato solo perchè il “capo” è rimasto in prima linea, sulla linea delle pallottole,  per dare l’esempio alla truppa, come sanno fare i grandi generali, a sentirlo e a vederlo,  quel  Fini mostrava tutti i suoi limiti e la sue debolezze. Prima fa tutte la ingratitudine mescolata  alla doppiezza, che ieri  tentava  ipocritamente di nascondere dietro strumentali dichiarazioni di lealtà che anticipavano solo fiumi di accuse a Berlusconi e al PDL che al più provano quanto di argilla siano le ragioni del dissenso di Fini. Che non sono politiche, ma solo personali, di rivendicazioni che hanno sapore di prima repubblica, come di prima repubblica sono stati i metodi e i riti che Fini ha messo in campo prima, durante, e forse, anche dopo la riunione di ieri della direzione del PDL. Dove vuole andare Fini, ci si chiedeva nei mesi scorsi, sino a ieri, senza che nessuno sapesse dare una risposta, forse perchè nemmeno lui lo sa. La stessa domanda ci si pone anche dopo ieri, perchè ancora non lo ha detto, forse perchè davvero non lo sa. Quel che si sa è che nel PDL Fini conta poco, e che Berlusconi,  rotti i ponti della diplomazia che sinora aveva in qualche modo evitato le collisioni più violente,  non farà sconti consapevole che ogni ulteriore sconto fatto a Fini è un passo indietro sulla strada della riforma delle Istituzioni e dello Stato contro le quali si muove Fini per motivi che attengono alle sue ambizioni e ai suoi obiettivi, sul cui altare è pronto sacrificare anche la faccia. Lo ha fatto anche oggi, dichiarando, in materia di riforma istituzionale, che l’unico sistema elettorale che gli va a genio “perchè adatto all’Italia è l’uninominale”, cioè il sistema che varato nel 1994  fu abrogato nel 2006. E chi ne volle l’abrogazione contro la volontà di Berlusosconi nel 2006? Fini, di concerto con Casini, insieme al quale impose in quella tornata elettorale,  perduta dal centro destra per soli 24 mila voti, il famoso “tridente”. Ebbene, se si fosse votato nel 2006 con il sistema uninominale, contro il quale alzarono barricate Fini e Casini, il centrodestra avrebbe vinto le elezioni politiche e non ci sarebbe stata la nefasta parentesi di Prodi. Del resto,  tutte le scelte che Fini ha fatto dopo il 1994 per prendere le distanze dal suo “benefattore” politico (ma Berlusconi è stato solo l’ultimo)  e magari surclassarlo,  si sono rivelate sempre infelici e improduttive. Sarà così anche questa volta. E rischia per lui di essere l’ultima. E noi saremo gli ultimi a dolercene. g.