L’Italia del pallone è finita…nel pallone. Quella scritta oggi dalla nazionale italiana di calcio contro la Slovacchia  è una delle pagine più tristi (e anche più squallida) della storia calcistica del nostro Paese. Ha scritto questa mattina  L’Avvenire  che Lippi avrebbe fatto bene a ricordare ai suoi giocatori la nazionale del 1934 e del 1938: allora, ha scritto L’Avvenire, c’erano coraggio e voglia di vincere, ora invece c’è solo paura e terrore. E  il quotidiano cattolico l’ha “azzeccata”: i nostri giocatori scesi in campo contro la Slovacchia, la Slovacchia!, erano innazitutto paralizzati dalla paura e dal terrore, sin dall’inizio della partia. Poi erano demotivati, incapaci di fare squadra, timorosi di avventurarsi contro l’avversario in una battaglia che doveva vederli gagliardamente coraggiosi. Insomma, uno sfacelo di partita, con giocatori che non riuscivano neppure ad azzeccare un passaggio, che non riuscivano ad oltrepassare la difesa slovacca, che non hanno saputo neanche reagire con orgoglio e passione al primo gol slovacco, quasi disperatamente pronti al peggio,  rassegnati alla sconfitta, la più umiliante delle sconfitte. E sullo sfondo l’inebetito commissario tecnico, il sig. Lippi, che sfoggiava una sgargiante divisa rossa ma a sua volta inacapace di dare direttive, indirizzare i suoi giocatori, tentare di rivializzare i cadaveri che avendo vinto 4 anni fa, pensavano e lo ha di sicuro pensato lo stesso Lippi, per il solo fatto di essere stati i campioni del  mondo   nel 2006 a Berlino, che i palloni sarebbero entrati nelle porte avversarie quasi per magia. Invece no. Invece è accaduto che per la prima volta nella storia dei campionati del mondo l’Italia  non è approdata neppure agli ottavi di finale, nonostante la fortuna, diciamo così, di un girone che sembrava costruito apposta per favorire l’approdo agli ottavi. Ovviamente ora tutti si cospargono il capo di cenere, i giocatori, tra cui Gattuso che a metà partita se ne è ritornato mogio mogio a bordo campo e lo stesso Lippi. Il quale Lippi neppure un questa occasione ha smesso gli abiti del grande condottiero. “La colpa è mia, ha detto, solo su di me la responsabilità della sconfitta”. Troppo tardi! Doveva pensarci prima a vestire gli abiti dell’umiltà. Quando gli è stata contesta la scelta sbagliata di lasciare a casa fior di giocatori e sopratutto “la meglio gioventù calcistica2 del momento ha fatto spallucce ed è arrivato a minacciare che i suoi critici “non sarebbero saliti sul carro dei vincitori”.  Perchè lui si sentiva un pò Napoleone e un pò Helenio Herrera. Si è rivelato solo uno con la mosca al naso. Ora si dispiace per i tifosi. I tanti, i milioni di italiani, che specie in questi tempi grami di crisi e di difficoltà economiche, nel calcio e nella “nazionale” , avevano riposto speranze di riscossa.  Lippi con la sua incredibile e sfrontata testardaggine è riuscito a deluderli. Ora chiede loro scusa. Pittosto il sig. Lippi sganci i tre milioni di euro  all’anno che ha sgraffignato  in questi anni, quattrini che alla luce dei risultati paiono rubati. Come rubati sono stati i nostri sogni, i sogni del Tricolore che alla faccia di Bossi avrebbe potuto sventolare nella terra di Mandela. Avrebbe potuto, ma non è stato. Grazie (a) Lippi.