Adesso che il caso Brancher scotta davvero, adesso che anche il Quirinale prende le distanze dal neoministro al Federalismo che ha fatto valere il legittimo impedimento per non andare a farsi processare, adesso che qualcuno rischia di farsi male ecco che scatta il fuggi fuggi, il negare responsabilità, il passare il cerino in mani altre. E dove finisce la fiammella? Ovviamente tra le dita di Silvio Berlusconi che in quanto presidente del Consiglio ha, come stabilisce la legge, proposto a Napolitano la nomina a ministro del suddetto Brancher. Di fatto le cose stanno proprio così. Ma non sempre i fatti la dicono giusta. In effetti quale motivo aveva il premier di imbarcare un nuovo ministro, per di più con delega al federalismo, per di più con vicende giudiziarie aperte, sapendo di andare incontro a pasticcio certo? I soliti ben informati hanno la risposta pronta: Brancher è un ex dirigente Fininvest, amico personale del Cavaliere, che come si sa, è uomo generoso e solidale con i compagni di squadra alle prese con qualche guaio, economico o giudiziario che sia. È tutto vero, ma non applicabile a questo caso, perché Berlusconi ha anche un’altra caratteristica: non è fesso, difficile che sia l’ispiratore e realizzatore di una cosa non concordata con tutte le componenti alleate, cotta e mangiata con una fretta sospetta.
Ma se la storia fosse diversa da quella che appare, allora chi ha chiesto a Berlusconi e sostenuto al Quirinale la nomina di Brancher? Certamente un amico, ovvio. E di amici influenti al punto da poter ottenere una cosa del genere, il neoministro ne ha nella Lega. A partire da Bossi che oggi prende le distanze irritato, che dice di essere stato imbrogliato ma che nel Consiglio dei ministri che approvò la nomina – raccontano i presenti – si prodigò in parole di elogio per «il Brancher che non possiamo lasciarlo per strada che tiene pure due bambini». Bossi quindi sapeva e benedì. Non solo. Lo stesso Bossi nelle scorse ore ha proposto di spostare Brancher dall’attuale poltrona a quella dell’Agricoltura (al posto di Galan), cioè di passarlo da ministro senza portafoglio a ministro con portafoglio, cosa che, guarda caso, farebbe decadere l’obiezione di Napolitano sul fatto che il legittimo impedimento vale solo per i secondi.
Ma questo spiega solo l’attaccamento della Lega a Brancher e l’imbarazzo di oggi del leader del Carroccio di fronte alla rabbia del suo popolo che ha mal digerito il pasticcio, non il mistero del mandante. Uno che certamente si è esposto pubblicamente, nelle prime ore del dopo nomina, è stato il ministro leghista Roberto Calderoli che rimase anche invischiato nella stessa vicenda giudiziaria, quella dello scandalo della Banca Popolare Italiana, che ha dato origine al processo per il quale oggi Brancher chiede il legittimo impedimento. Fu il presidente della banca, Gianpiero Fiorani (che tra l’altro salvò dal crac Credieuronord, istituto di credito della Lega) a sostenere di aver pagato alcuni politici per difendere il posto dell’allora governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Tra questi fece il nome di Brancher che avrebbe riscosso anche per conto di Calderoli. Il primo fu rimandato a giudizio, il secondo completamente scagionato.
Ma lasciamo la vicenda giudiziaria nelle sue sedi, anche se è evidente chi potrebbe avere paura di un processo a Brancher. E certo non è Silvio Berlusconi. Il fatto è che la Lega non può far finta di non saperne nulla, non sta in piedi a rigor di logica, non ha senso politicamente. Di più. Evidentemente qualcuno nelle alte sfere del Carroccio ha chiesto, forse preteso dal premier, la nomina di Brancher a ministro. Ed è stato accontentato. Questo qualcuno oggi abbia il coraggio di prendersi la responsabilità di fronte al Quirinale, al governo e agli elettori. Perché è vero che il Cavaliere ha le spalle larghe, ma tutto ha un limite. Anche l’indecenza.