CORAGGIO CAVALIERE, BISOGNA CAMBIARE LA SQUADRA
Pubblicato il 26 giugno, 2010 in Politica | Nessun commento »
Presidente Berlusconi, sciolga la corte e riapra le iscrizioni alla classe dirigente del nostro Paese. Non perda tempo, lo faccia subito. Abbia il coraggio di tornare indietro su alcune nomine infelici, come quella di Brancher, cancelli i ministeri fantomatici, riveda i vertici del suo partito, faccia sloggiare gli abusivi, dal governo o dalle case dei preti, riconosca alcuni errori anche suoi personali e abbracci l’opera necessaria di una bonifica integrale. Si liberi dai collusi e dalle mezze calzette, o perlomeno li collochi al loro giusto rango, non ai vertici di ministeri, istituzioni e partiti.
È quello l’unico modo, comunque il migliore, per disarmare i suoi nemici e i suoi falsi amici, per spiazzare le trame che si ordiscono nei palazzi e le alleanze che serpeggiano alle sue spalle. È quello il modo più efficace per fronteggiare le campagne e la caccia al berlusconiano che si è aperta nei tribunali. Non basta gridare al complotto, all’odio militante dei suoi nemici; come non basta, su altri versanti, deplorare la nascita delle correnti e la slealtà di alcuni ex amici. Bisogna fare un passo avanti, e lei che di coraggio ne ha sempre avuto, non può disarmare o barricarsi in un’autodifesa che rischia l’autocelebrazione. Lei è entrato nella storia del nostro Paese, non può ridursi a difendere il cortile della casa. So che è in guerra e ogni richiamo di questo tipo viene inteso come fuoco amico o diserzione; ma, mi creda, non remo contro, lo dico solo per il bene del suo governo, suo personale e prima di tutto per il bene di questo paesaccio che nessuna Padania, Toninia o Slovacchia potrà farmi odiare. Ha tre anni davanti a sé con un’ampia maggioranza e senza competizioni elettorali, ha ancora un seguito ed una fiducia personali molto alti anche se messi a dura prova dalle vicende del suo entourage. Non può giocarsi il consenso e l’agibilità. Se resta sulla difensiva, sotto assedio, alimenta i giochini alle sue spalle e fa un favore ai poteri opachi del nostro Paese che per comandare vogliono un premier ricattato, sotto schiaffo. In questi primi due anni ha fronteggiato bene la brutta crisi economica e finanziaria, ha cercato il più possibile di non gravare sugli italiani; il suo governo ha avviato qualche buona riforma, nell’economia con Tremonti, nella pubblica amministrazione con Brunetta, nel lavoro con Sacconi, agli interni con Maroni, colpendo come mai la criminalità organizzata, alla pubblica istruzione con la Gelmini; ha ottenuto qualche buon risultato negli esteri e nelle emergenze, anche se si è scoperchiato il pozzo nero della Protezione civile. Ma da Napoli all’Aquila non mi pare che le cose fatte siano andate così male.
Però manca un disegno generale, una riforma strutturale, più volte annunciata; e manca soprattutto la voglia e la forza di cambiare la squadra. So che in lei contano molto anche i legami personali e perfino affettivi, so che a volte ragiona con categorie umane lontane dalla politica, e a volte eccede in generosità come in cinismo. Ma non può tenersi troppi cadaveri in casa, deve saper dire di no anche a chi ha avuto trascorsi importanti con lei e con la sua attività politica e imprenditoriale. Deve cambiare marcia, per evitare poi di fare marcia indietro o peggio marcia funebre per il motore fuso.
Non credo che abbia bisogno di nuovi consiglieri, anche perché sono convinto che alla fine i consiglieri servono solo per farsi confermare nelle proprie decisioni; diventano ventriloqui dei suoi umori e si lasciano prendere da una strana sindrome mimetica, la sindrome di Zelig, si mettono a pensare con i suoi impulsi. Così non servono. Il problema dei problemi è rinnovare con urgenza la corte. Non solo quella bassa che provvede alle esigenze più servili, ma anche a quell’entourage che occupa o ha occupato ministeri e posti chiave. Abbia il coraggio d’incoraggiare l’uso delle dimissioni, come insegnano i casi Scajola o Innocenzi. Certo, c’è da distinguere tra fumosi attacchi e precise responsabilità, tra vere macchinazioni e reali misfatti; c’è da circoscrivere la zona oscura, se non infame, di alcune biografie e contestualizzarle, vedendo anche i lati positivi e le cose ben fatte; si tratta di paragonare quei percorsi complessivi a quelli dei rivali, e poi decidere. Si tratta di non lasciare l’iniziativa politica ai Bossi di dentro, ai Fini di mezzo e ai Di Pietro di fuori, e nemmeno di crogiolarsi con l’agonia indecente delle opposizioni. Ma si deve procedere contro il malaffare, tempestivamente, prima che il gallo canti.
È quello l’unico modo, comunque il migliore, per disarmare i suoi nemici e i suoi falsi amici, per spiazzare le trame che si ordiscono nei palazzi e le alleanze che serpeggiano alle sue spalle. È quello il modo più efficace per fronteggiare le campagne e la caccia al berlusconiano che si è aperta nei tribunali. Non basta gridare al complotto, all’odio militante dei suoi nemici; come non basta, su altri versanti, deplorare la nascita delle correnti e la slealtà di alcuni ex amici. Bisogna fare un passo avanti, e lei che di coraggio ne ha sempre avuto, non può disarmare o barricarsi in un’autodifesa che rischia l’autocelebrazione. Lei è entrato nella storia del nostro Paese, non può ridursi a difendere il cortile della casa. So che è in guerra e ogni richiamo di questo tipo viene inteso come fuoco amico o diserzione; ma, mi creda, non remo contro, lo dico solo per il bene del suo governo, suo personale e prima di tutto per il bene di questo paesaccio che nessuna Padania, Toninia o Slovacchia potrà farmi odiare. Ha tre anni davanti a sé con un’ampia maggioranza e senza competizioni elettorali, ha ancora un seguito ed una fiducia personali molto alti anche se messi a dura prova dalle vicende del suo entourage. Non può giocarsi il consenso e l’agibilità. Se resta sulla difensiva, sotto assedio, alimenta i giochini alle sue spalle e fa un favore ai poteri opachi del nostro Paese che per comandare vogliono un premier ricattato, sotto schiaffo. In questi primi due anni ha fronteggiato bene la brutta crisi economica e finanziaria, ha cercato il più possibile di non gravare sugli italiani; il suo governo ha avviato qualche buona riforma, nell’economia con Tremonti, nella pubblica amministrazione con Brunetta, nel lavoro con Sacconi, agli interni con Maroni, colpendo come mai la criminalità organizzata, alla pubblica istruzione con la Gelmini; ha ottenuto qualche buon risultato negli esteri e nelle emergenze, anche se si è scoperchiato il pozzo nero della Protezione civile. Ma da Napoli all’Aquila non mi pare che le cose fatte siano andate così male.
Però manca un disegno generale, una riforma strutturale, più volte annunciata; e manca soprattutto la voglia e la forza di cambiare la squadra. So che in lei contano molto anche i legami personali e perfino affettivi, so che a volte ragiona con categorie umane lontane dalla politica, e a volte eccede in generosità come in cinismo. Ma non può tenersi troppi cadaveri in casa, deve saper dire di no anche a chi ha avuto trascorsi importanti con lei e con la sua attività politica e imprenditoriale. Deve cambiare marcia, per evitare poi di fare marcia indietro o peggio marcia funebre per il motore fuso.
Non credo che abbia bisogno di nuovi consiglieri, anche perché sono convinto che alla fine i consiglieri servono solo per farsi confermare nelle proprie decisioni; diventano ventriloqui dei suoi umori e si lasciano prendere da una strana sindrome mimetica, la sindrome di Zelig, si mettono a pensare con i suoi impulsi. Così non servono. Il problema dei problemi è rinnovare con urgenza la corte. Non solo quella bassa che provvede alle esigenze più servili, ma anche a quell’entourage che occupa o ha occupato ministeri e posti chiave. Abbia il coraggio d’incoraggiare l’uso delle dimissioni, come insegnano i casi Scajola o Innocenzi. Certo, c’è da distinguere tra fumosi attacchi e precise responsabilità, tra vere macchinazioni e reali misfatti; c’è da circoscrivere la zona oscura, se non infame, di alcune biografie e contestualizzarle, vedendo anche i lati positivi e le cose ben fatte; si tratta di paragonare quei percorsi complessivi a quelli dei rivali, e poi decidere. Si tratta di non lasciare l’iniziativa politica ai Bossi di dentro, ai Fini di mezzo e ai Di Pietro di fuori, e nemmeno di crogiolarsi con l’agonia indecente delle opposizioni. Ma si deve procedere contro il malaffare, tempestivamente, prima che il gallo canti.