Mi scuso in anticipo con i lettori per l’articolo che mi accingo a scrivere, ma ne sono costretto dagli avvenimenti. Altrimenti non lo avrei manco iniziato perché la persona cui sto per dedicarlo è talmente permalosa da non sopportare alcuna critica, neppure velata; figuriamoci la mia che non la è mai. Indovinate a chi mi riferisco? Gianfranco Fini. Il quale a dire il vero sostiene sempre e con forza la libertà di stampa, tranne quando la si eserciti contro di lui.
Non è il solo ad avere un’idea tanto bislacca, ma lui ha il coraggio di manifestarla senza porsi il problema dell’effetto comico che essa produce. Non è un mistero che egli sia ostile alla regolamentazione delle intercettazioni telefoniche, così come è stata predisposta dalla maggioranza con la benedizione di Berlusconi, perché limita il diritto dei giornalisti a raccontare certe cose e quello dei lettori di saperle. E vorrebbe cambiarla.
Ci ha provato in ogni modo e forse vorrebbe provarci ancora. Però questa sua ostinazione nel voler entrare nel merito di un provvedimento si concilia con il ruolo di presidente della Camera? A me sembra di no. D’altronde non si era mai visto un suo predecessore fare altrettanto. Ciò fa pensare che Fini si comporti in maniera irrituale se non scorretta.
Veniamo al nocciolo della questione. Ieri i capigruppo di Montecitorio hanno deciso di discutere in aula la riforma relativa alle intercettazioni a cominciare dal 28 luglio, dopo la cosiddetta manovra economica.
Lui anziché prenderne atto come avrebbe fatto chiunque al suo posto, si è inalberato e ha rilasciato un commento in linea con le tesi dell’opposizione: calendarizzare a fine luglio il ddl è irragionevole. Ullallà, perché irragionevole? Perché in estate fa caldo e discettare di intercettazioni provoca un aumento della sudorazione? Perché i deputati non ci sono più con la testa se si avvicina la stagione delle vacanze? Niente di questo. Fini legge nella richiesta dei capigruppo «solo un puntiglio» ovvero il desiderio di fargli rabbia.
Secondo lui sarebbe stato preferibile spostare simile rottura di scatole a settembre dato che il dibattito si annuncia lungo, così lungo da protrarsi fino a chissà quando. Già, molto meglio attrezzarsi per le ferie agognate e programmare gite in barca e immersioni al largo, utilissime per rinfrescarsi corpo e mente. E chissenefrega delle intercettazioni che stanno a cuore al Cavaliere e tarpano le penne ai giornalisti smaniosi di riferire le prodezze sessuali di questo o di quel vip, in barba alla privacy.
La perfetta sintonia tra Fini e la sinistra nel rallentare l’iter parlamentare della legge è puramente casuale? Potrebbe esserlo se si limitasse alla presente circostanza, viceversa si registra spesso al punto da far nascere il sospetto, o la certezza, che il presidente della Camera ormai nel Pdl sia un extracomunitario, estraneo ai costumi della maggioranza, fervido antiberlusconiano pur essendo stato eletto con i voti di quei fetentoni di berlusconiani.
Le giravolte in politica non stupiscono, ma chi le compie non deve poi stupirsi se qualcuno le nota e le descrive in nome della libertà di stampa che a Fini piace tanto; non del tutto e pochissimo se serve a fargli osservare che lui è senz’altro una risorsa. Del Pd e dell’Idv.
Detto ciò, preciso che anche a me la legge sulle intercettazioni non va a genio e cerco di combatterla con i mezzi leciti di cui dispongo, carta e penna. Mentre il caro Gianfranco per tutelare la libertà di stampa tenta di comprimere un’altra libertà: quella del Parlamento di discutere e approvare a maggioranza un provvedimento che, giusto o sbagliato sia, non può essere ostacolato. Si dà il caso che la Camera sia espressione della volontà del popolo, non del signor presidente.
da Il Giornale – 1° luglio 2010