Se ci saranno problemi ad approvare la manovra economica, tutti a casa. Nel senso che il governo cadrà e si tornerà a votare. Così ha detto ieri il presidente del Consiglio, riaccendendo le speranze di chi vorrebbe disfarsi di questa maggioranza. Già, ma come riaprire i giochi in caso di elezioni, visto che il Pd non dà segni di vita e che quindi è destinato a una ennesima sconfitta? Nei palazzi della politica e nei salotti la soluzione c’è già. Si chiama «Nuovo centro», o «Terzo polo» che dir si voglia. I sondaggisti di La Repubblica lo hanno anche pesato, concludendo che uno schieramento composto da Udc, rutelliani, finiani, siciliani dell’Mpa, dissidenti del Pdl e transfughi del Pd sarebbe votato dal 22 per cento degli italiani. Un bottino ancora non sufficiente per vincere (il Pdl rimarrebbe primo partito, insieme alla Lega, al 41 per cento, con il Pd al 36).

Non capiamo quale sia il senso di fare sondaggi su una cosa che non c’è, forse è quello di tenere viva una chimera che aleggia sulla politica italiana da quando Berlusconi scese in campo e vinse le prime elezioni. E cioè che sia possibile costruire a tavolino uno schieramento moderato e liberale alternativo a Forza Italia e al berlusconismo superando il bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra. Questo sogno è la benzina che tiene in vita Casini, che alimenta le speranze di Fini, che permette a Rutelli di non andare in pensione anticipata, e via dicendo. Non che non sia legittimo alimentarlo anche con sondaggi assai generosi, ma il buon senso fa dire che il progetto centrista è un puro esercizio di teoria politica che non ha nulla a che fare con la realtà, per più motivi. Primo: non c’è lo spazio. Attualmente, infatti, non ci sono una destra e una sinistra deboli al centro, ma esattamente l’opposto. Cioè un centrodestra e un centrosinistra forti nelle loro componenti centriste e semmai deboli agli estremi. Tanto è vero che le uniche formazioni politiche che stanno in piedi, Lega e Italia dei Valori, sono assai più radicali. Secondo: non è mettendo insieme leader, leader in declino ed ex leader che si arriva automaticamente a una squadra vincente. Anzi, semmai è il contrario. Da quando è caduta la Prima Repubblica hanno avuto successo esclusivamente movimenti nati attorno a una personalità forte, capace di trascinare attraverso un comando carismatico e indiscusso. È successo con Bossi e la Lega, Berlusconi e Forza italia, Di Pietro e l’Idv. La fusione di personalità, progetti e leadership provenienti da esperienze personali e culturali diverse ha prodotto invece solo problemi, come dimostrano le vicende prima del Pd e ora del Pdl.

Che la somma di campioni, o presunti tali, faccia grande un progetto è una fissazione da intellettuali. Basta guardare cosa succede nel calcio. È forse un decennio che l’Inter ha la rosa più qualificata, ma per vincere ha dovuto aspettare non solo l’implosione degli avversari, ma che alla sua guida arrivasse un capo forte, indiscusso e indiscutibile come José Mourinho, l’unico che è stato capace di mettere in riga tutti, presidente Moratti compreso. Così come formazioni da brivido, come quelle di Brasile, Argentina, Inghilterra hanno dovuto lasciare i Mondiali anzitempo per manifesta incapacità di gioco condiviso. Tornando alla politica, non si capisce come potrebbero giocare insieme in modo efficace Fini e Rutelli, Lombardo, Casini e Pisanu. Chi comanderebbe, con che schema, con che novità rispetto a quanto già esiste? Ma soprattutto, non si capisce perché un elettore dovrebbe scegliere una accozzaglia di vecchie glorie buone per lo più a giocare una divertente partita del cuore per beneficenza.

No, se novità dovrà essere, ancora non la si vede neppure all’orizzonte. In politica due più due non ha mai fatto quattro. L’elettorato ha dimostrato di voler essere stupito, attratto da un sogno, di affidarsi a un leader chiaramente riconoscibile. Tutto il resto sono discussioni e analisi molto simili a quelle dei critici cinematografici, che incensano film che il più delle volte si dimostrano grandissimi flop alla prova del botteghino. E così come si presenta, la scenografia del «Terzo polo centrista» potrà anche vincere il festival di La Repubblica o quello del Corriere della Sera, ma sicuramente non vincerà dentro l’urna elettorale. Alessandro SALLUSTI, vice direttore de Il Giornale