RIDATECI ALDO MORO….
Pubblicato il 13 luglio, 2010 in Politica | Nessun commento »
Lo ha ricordato ieri nel suo editoriale il direttore de Il Tempo, Mario Sechi, che quando l’ombra del sospetto si addensò sulla testa di Lugi Gui, ministro della Difesa, per questioni di tangenti, Aldo Moro, la cui statura politica e morale era ed è al di sopra di ogni sospetto, andò in Parlamento e pronunciò il discorso nel quale disse, difendendo Gui, che “la DC non si sarebbe fatta processare nelle piazze”. Moro, ha ricordato Sechi, non difendeva solo il suo amico di corrente Luigi Gui, ma difendeva tutta la DC, e tutta la DC, benchè essa fosse un coacervo di “amici-coltelli”, si schierò con Moro e con Gui che infatti fu assolto dal Parlamento (val la pena di ricordare che Luigi Gui, un autentico galantuomo, era stato vittima di una accusa calunniosa e il tempo, galantuomo, lo restituì alla stima della opinione pubblica che, quando è morto, poche setimane fa, gli ha tributato unanimi attestati di stima e di rispetto).
Sechi ricordava questo episodio per raffrontare quel tempo andato a questo presente, con quanto sta accadendo in questi giorni e in queste ore all’interno del Popolo della Libertà, dove le lotti di corrente e il cannibalismo fra i gruppi, sta avvelenando il clima politico ancor più delle inchieste della Magistratura che coinvolgono insieme a poco credibili cospiratori (Carboni e compagni), autorevoli esponenti del Popolo della Libertà, il coordinatore nazionale Verdini, il sen. Dell’Utri, il sottosegretario Cosentino, nei cui confronti, peraltro, le accuse sono ancora parecchio poco chiare,salvo una, quelle di aver violato la cosiddetta Legge Anselmi in materia di associazioni segrete, solo per aver pranzato, inopportunamente, certo, ma solo pranzato con i presunti cospiratori. Orbene, in tempi normali, l’azione della Magistratura, che nei confronti di esponenti del Popolo della Libertà, primo fra tutti Berlusconi, non è nuova, avrebbe suscitato, anzi avrebbe dovuto suscitare solo la normale reazione di attesa senza pronunciare preventive richieste di dimissioni che suonano come preventive condanne senza processo dei presunti indagati per presunti reati. Non solo. Va da sè, che, al più, tali richieste avrebbero dovuto venire da parte della minoranza, il PD, o, al più da parte dell’IDV. Invece, tali richieste, intempestive quanto all’opportunità, violente nella forma e nella sostanza, sono arrivate dall’interno del Popolo della Libertà. E sono apparse subito per quelle che sono: cannibalismo allo stato puro, strumenti per azzerare gli avversari interni e farne strame per proprio tornaconto politico. Il peggiore, come da copione, è stato l’on. Bocchino, che ha chiesto, nell’ordine, le dimissioni di Verdini e poi quelle di Cosentino: quelle di Verdini per favorire la sua corrente interna, quella di Fini, quelle di Cosentino per azzerare in Campania un concorrente interno, appunto Cosentino, che in Campania è anche il coordinatore regionale del PDL.
Bocchino ha ovviamente nascosto le vere ragioni che lo hanno teleguidato, ammantando di nobili intenti politici la sua azione che è invece solo squallidamente provocatoria e che lungi dall’assicurare al PDL l’immunità dal naturale chiacchiericcio dei giornali e dei massmedia, finisce col dare l’impressione che Verdini, Cosentino, e tutti gli altri, siano dei veri e propri criminali per i quali non può e non deve valere la presunzione di innocenza sino alla prova contraria che la Costituzione assicura a chiunque, meno, pare, a Berlusconi e ai suoi uomini. A tanto, è inutile negarlo, ha portato la guerra che Fini, con i suoi pretoriani, ha dichiarato all’interno del PDL, di cui evidentemente vuole la fine, ad ogni costo, anche a costo di farsi Bruto e assassinare, politicamente, la creatura nata nel 2007, che nel 2008 riportò al governo il centrodestra, issando sullo scranno prestigioso della terza carica dello Stato lo stesso Fini.
E anche qui sovviene un paragone e un confronto, con quello che accadde alla fine del 1976, all’interno del MSI-DN, alle prese allora con la sua terza clamorosa sconfitta elettorale: nel 1974 al referendum per il divorzio, nel 1975 alle elezioni amministrative di quell’anno, nel giugno del 1976 alle elezioni politiche anticipate. In quelle elezioni il MSI aveva perso un terzo dell’elettorato conquistato nel 1972, sia pure in “libera uscita” dalla DC, secondo Andreotti. Il buon senso suggeriva un cambio di rotta e di dirigenza politica a cui parve essere d’accordo Almirante. In verità, Almirante voleva solo conoscere i suoi “nemici” interni per poterli stanare. Cosa che avvenne puntualmente, costringendo questi ultimi, da De Marzio a Roberti, da Nencioni a Nicosia, a Sponziello, Manco, Delfino e via via a metà dei parlamentari eletti, ad andarsene via fondando Democrazia Nazionale, bollata come espressione di neobadoglismo, salvo, ventanni dopo, nel 1995, ad essere riesumuta per fondare Alleanza Nazionale. Ma nel 1976 ad Almirante non interessava il bene dell’Italia, e nemmeno tanto quello del suo Partito, interessava soltanto se stesso e la savaguardia del suo potere personale, piccolo ma personale. Perciò favorì la scissione e costrinse i dissidenti ad andarsene e poco importò che nei ventanni successivi, prima di Tangentepoli e sino alla discesa in campo di Berlusconi, la destra italiana sia stata costretta alla emarginazione e al silenzio.
30 anni dopo quei fatti, l’erede di Almirante, Fini, dopo aver raccolto il frutto non del suo lavoro politico, visto che lui concettualmente era ritornato (o era sempre stato….) ai “colli fatali di Roma”, ma della decisione ( e del coraggio) di Berlusconi di “scendere in campo”, sdoganando lui e il MSI, restituendo cittadinanza morale e diritti politici alla Destra, antica, moderna, postmoderna che dir si voglia, ma prima di tutto DESTRA, ora si muove con l’evidente intento di distruggere ciò che faticosamente si è costruito, cioè un grande partito di moderati al governo del Paese quale è, o almeno quale doveva essere negli intenti di Sivio Berlusconi, il PDL.
Il quale PDL è (ancora) un progetto politico nel quale hanno creduto ad aprile del 2008 milioni di italiani, nel quale hanno dimostrato di riporre fiducia milioni di italiani ancora pochi mesi fa, e costituisce l’unico possibile baluardo per difendere il Paese dalle “gioiose” macchine da guerra di una sinistra che pur ridotta al silenzio è pronta ad azzannarlo nuovamente.
Il presidente Berlusconi non può permetterlo perche sarebbe alto tradimento dei milioni di italiani che lo hanno votato e che sono pronti a votarlo ancora e ancora; ecco perchè ora più che mai, tutte le speranze sono riposte nelle sue mani, nelle mani di Silvio Berlusconi, che non è Moro, ma che come Moro, deve avvertire la necessità di impedire che il PDL, pur con tutte le sue negatività, venga processato in piazza. Ad essere processato sarebbe il grande fronte dei moderati italiani. Non lo si può consentire, nemmeno per fare un piacere a Fini, e men che meno a un qualsiasi Bocchino. g.