Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano Vorrei porre due domande a Giorgio Napolitano: la prima considerando la sua altissima funzione di presidente, l’altra ricordando la sua lunghissima esperienza politica. Mi sento autorizzato a fargliele dalla piacevole circostanza di scrivere su un giornale che non può essere sospettato di pregiudizio contro il capo dello Stato felicemente in carica. Le convinzioni politiche sicuramente radicate qui, a Il Tempo, non ci hanno, per esempio, impedito di difendere Napolitano nelle settimane, nei mesi e negli anni scorsi anche da inutili e infondate asprezze polemiche di esponenti autorevoli della maggioranza e del governo. Lo difendemmo, per esempio, nell’autunno 2009 dall’ingiusto tentativo del presidente del Consiglio di criticare anche lui per l’inattesa bocciatura del cosiddetto lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale. Della cui sentenza la prima vittima era proprio il presidente della Repubblica, che su quella legge ci aveva messo non solo la firma ma anche la faccia, motivandone la promulgazione con richiami ad un precedente deliberato della stessa Corte. Che aveva lasciato considerare praticabile il ricorso ad una legge ordinaria, anziché costituzionale, come invece fu poi reclamato, per consentire la sospensione dei processi alle più alte cariche dello Stato durante l’esercizio, peraltro non ripetibile, dei loro mandati. Siamo tornati più di recente a difendere Napolitano dalle critiche mossegli dall’interno della maggioranza di governo per il suo pur inusuale intervento contro l’appena nominato ministro senza portafoglio Aldo Brancher, poi dimessosi. Il quale aveva cercato di farsi sospendere un processo a Milano perché impegnato a “organizzare” un Ministero non solo senza portafoglio ma anche senza deleghe, ancora tutte da definire.
E veniamo alle domande, purtroppo critiche, che ritengo meriti questa volta il presidente della Repubblica per l’intervista rilasciata a l’Unità nelle ultime battute della breve vacanza a Stromboli e ribadita ieri in un “colloquio” al Corriere della Sera. Le preoccupazioni, e le resistenze, se non la contrarietà, di Napolitano ad un ricorso alle elezioni anticipate in caso di crisi, considerando le condizioni economiche del Paese e altre urgenze, sono le stesse coltivate ed espresse dal direttore di questo giornale, Mario Sechi, quando stava per consumarsi la rottura tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. E si sperava che essa non avvenisse, o fosse gestita in modo più accorto. La situazione nel frattempo è però cambiata, e di parecchio. Se si dovesse arrivare alla crisi di governo, la scelta di Napolitano non sarebbe più tra campagna elettorale e non. Sarebbe tra una campagna elettorale breve, di fatto da due a sei mesi, secondo la stagione che si dovesse scegliere per le urne, e una campagna elettorale lunghissima, di un anno o due, se per evitare le elezioni subito si dovesse ripiegare su un governo di presunta, assai presunta, improbabile “decantazione”. Al quale i tre quarti e più della maggioranza parlamentare uscita dalle urne nel 2008 sicuramente si opporrebbero ritenendo tradito il mandato ricevuto dai cittadini. Ebbene, all’economia e alle altre urgenze del Paese converrebbe più, o farebbe più male, una campagna elettorale breve o una lunghissima, interminabile, fatta forse più di veleni che di argomenti?

La seconda domanda è quella che il buon senso giornalistico avrebbe dovuto suggerire sia alla collega dell’Unità sia al collega del Corriere. E riguarda lo scudo che Napolitano ha praticamente e troppo generosamente offerto al presidente della Camera deplorando i tentativi di “delegittimazione” che egli starebbe subendo sulla traiettoria Roma-Montecarlo. Le chiedo semplicemente, onorevole Napolitano: Lei, che è stato anche al vertice di Montecitorio, in quello spezzone drammatico di legislatura tra la primavera del 1992 e l’inverno del 1994, al posto di Fini si sarebbe in questi mesi e giorni comportato come lui? ConoscendoLa, ne dubito. Francesco Damato, Il Tempo, 15 agosto 2010