Domanda: chi è il nemico? L’Iran o la Libia? La storia si occupa sempre di rimettere le cose a posto, anche le idee sbagliate. Per queste ultime ci vuole un po’ più di tempo, ma alla fine i fatti hanno il sopravvento e diventano più importanti delle persone e delle loro balzane idee. Nel momento in cui la buoncostume del politicamente corretto fa strillare le sirene dello scandalo per le hostess del colonnello Gheddafi, da un’altra parte del mondo, dall’Iran teocratico, arriva in picchiata una di quelle notizie che fanno un falò della propaganda dei benpensanti in terrazza: un giornale non proprio estraneo al regime degli ayatollah chiede la morte di Carla Bruni, consorte del presidente francese Nicolas Sarkozy. Di cosa è colpevole la premiere dame? Per gli islamici radioattivi, la Bruni non doveva fare un appello per salvare la vita a Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna iraniana che rischia la vita perché accusata di adulterio.
Secondo i simpatici redattori del quotidiano Kayhan, vicino alla suprema guida iraniana, Carlà è «prostituta e immorale». Lezione di bon ton a parte, siamo in presenza di un fatto che dovrebbe far riflettere le presunte teste pensanti del Belpaese che in questi giorni hanno sprecato il loro tempo ad attaccare Muammar Gheddafi. Accecati dall’antiberlusconismo, i moralisti e radical chic a contratto hanno, ancora una volta, sbagliato bersaglio e perso un’occasione non per tacere – cosa che non auspico – ma per ragionare seriamente, sulla base di dati oggettivi, sulla politica estera. Dov’è il cattivo? Sta nel regime teocratico di Ahmadinejad che auspica la morte di Carla Bruni perché ha difeso una povera donna dalle brutali leggi islamiche o il colonnello Gheddafi che a Roma ha regalato il Corano a qualche centinaio di ragazze? Chi è più pericoloso? Il satrapo iraniano che sta costruendo la bomba atomica e dichiara al mondo che vuol cancellare Israele dalla carta geografica o il colonnello che ha rinunciato al suo programma di armi di distruzione di massa, chiede di fare business e porta investimenti pesanti in Occidente? Chi fa più paura? Il presidente di una nazione che attraverso i suoi circuiti finanziari foraggia il terrorismo internazionale o il leader libico che chiede all’Europa la cooperazione (leggete pure i soldi) per combattere il fenomeno dell’immigrazione clandestina? Sarebbe buona cosa riportare il dibattito sulla terra, ma i marziani che pretendono di impartire lezioni sulla morale, sulla politica estera, sul come ci si veste e ci si comporta a tavola hanno deciso che non è il caso di soffermarsi su questi dettagli: Gheddafi è un bifolco, Berlusconi un suo complice e tutto il resto non conta un fico secco. Da una parte un regime che vuole la morte di una donna che difende una donna, dall’altra uno Stato che partecipa al capitale di una delle più importanti banche italiane, uno dei volani delle nostre imprese.
Davvero strano il mondo visto dall’angolatura progressista. Non si capisce mai cosa sia bene o male, dipende dalla convenienza del momento e dal portafoglio rigorosamente a destra anche se stai a sinistra. Perso il senso della misura e del ridicolo, tutto è possibile. Persino che i finiani riescano a superare Bersani in pochezza. Ho letto un’esilarante notizia per cui il ministro Mara Carfagna secondo quelle sagome di Generazione Italia – una delle «cose» finiane – dovrebbe esternare in difesa della Tulliani e contro Gheddafi. Agli italogenerazionisti non passa neppure per l’anticamera del cervello che Elisabetta si difende da sé, che la polemica su Gheddafi è pelosa. Sognando l’abbattimento in volo del jumbo di Berlusconi, lanciano missili su qualsiasi cosa si muova intorno al Cavaliere. Fossero pure delle colombe, per loro sono da abbattere. Sono complici più o meno inconsapevoli dei disgeni di chi sogna un’Italia più debole nel panorama internazionale. Anche ieri il Financial Times nella Lex Column ha auspicato la «rivoluzione politica» nel nostro Paese.
Davvero dei filantropi questi della City, gente in bombetta che ha a cuore le sorti dell’Italia. Possono gabbare gli ingenui e chi cita i giornali stranieri senza leggerli, non chi guarda i contratti per la ricerca di gas e petrolio stipulati dalle aziende inglesi. Sperano nella caduta del Cavaliere, nel ribaltone, e per farlo s’aggrappano a tutto, ma soprattutto alla giacca di Gianfranco Fini, il presidente della Camera. Per loro è un semplice mezzo, un cavallo di Troia. Presto o tardi vedremo i frutti di questa battaglia che ha come obiettivo la caduta di Berlusconi e la sua sostituzione con un governo dal pensiero debole e dalla politica estera inesistente. Nel frattempo, chi non ha buttato ancora il cervello all’ammasso, è pregato di studiare per bene le differenze che passano tra l’Iran e la Libia, tra un Paese che cerca di costruire la bomba atomica e uno che cerca di fare business, tra chi le donne vuole farle lapidare e chi non approva il fondamentalismo e lo dice a chiare lettere. Gli «ismi» nel Novecento hanno prodotto due guerre mondiali e una Guerra Fredda. Crollate le ideologie, è rimasto in piedi un moralismo da terza classe che rischia di corrodere tutto. Se proprio se la sentono, potrebbero scendere in piazza, lorsignori, e chiedere l’embargo totale dei rapporti commerciali tra l’Italia e la Libia e, visto che ci siamo, tra l’Iran e lo Stivale. Sarebbe esilarante vedere anche qualche finanziatore della fondazione di Fini sbiancare. Mario Sechi – Il Tempo