LA STAMPA LIBERA NON E’ INFAME, MAI
Pubblicato il 7 settembre, 2010 in Il territorio | Nessun commento »
di Mario Sechi, direttore de Il Tempo
Fini a Mirabello ha usato un’iperbole tragicamente infelice che mostra in tutto il suo distacco dalla realtà e lo scarso senso dell’istituzione che rappresenta. Quella parola, “infami”, è un sasso che rotea furiosamente in aria in cerca di un bersaglio da far cadere.
La Repubblica, 11 agosto 2010.
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Come si è verificata l’«inspiegabile coincidenza» (il copyright è sempre di Francesco Pontone, uno degli amministratori dei beni di Alleanza nazionale) dell’appartamento di Boulevard Princesse Charlotte abitato, alla fine della girandola delle società offshore, dal fratello della compagna dell’onorevole Fini, Giancarlo Tulliani?
Corriere della Sera, 8 agosto 2010.
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«Infami». Gianfranco Fini ha liquidato le notizie pubblicate da tutta la stampa italiana sul caso Montecarlo con una serie di roboanti dichiarazioni, una delle quali è infelice: «C’è stato il tentativo di dar vita ad un’autentica lapidazione di tipo islamico contro la mia famiglia». Mentre Fini era sul palco di Mirabello e la sua signora Elisabetta Tulliani stava in prima fila ad ascoltarlo, in Iran una donna, Sakineh, veniva colpita con 99 frustate e rischia la lapidazione.
Fini ha usato un’iperbole tragicamente infelice che mostra in tutto il suo distacco dalla realtà e lo scarso senso dell’istituzione che rappresenta. Quella parola, «infami», è un sasso che rotea furiosamente in aria in cerca di un bersaglio da far cadere. Lo afferro al volo. Non lo rilancio, lo poso per terra e cerco di spiegare a Fini, ammesso che voglia comprendere, che cosa è la libera stampa in Occidente.
I quotidiani ancora oggi contribuiscono in maniera decisiva a fare e disfare l’agenda del Paese. Non c’è niente di male in tutto questo, perché questa tessitura continua è frutto della loro libertà di pubblicare quelle che si chiamano «notizie». A differenza dei telegiornali e della tv in generale, la carta stampata costituisce ancora oggi la guida per il pubblico più informato, colto, attento alle evoluzioni della nostra società. Questo accade in tutte le democrazie e assicura, piaccia o meno, l’emergere dei contrapposti interessi che cercano spazio nell’arena del dibattito pubblico. Non c’è leader politico che non sia sottoposto a uno scrutinio severo delle sue azioni. Ogni sua parola viene analizzata, interpretata, enfatizzata o ridimensionata a seconda dei punti di vista della stampa, della forza della notizia, del contesto in cui tutto questo accade. Fini, che dice di sentirsi una persona libera e democratica, di tutto questo dovrebbe alla fine esser contento. Ma come spesso accade ai potenti, ne è felice solo e soltanto quando questa libertà della stampa viene esercitata sugli altri, non su di lui e chi gli sta accanto.
Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, non muove passo senza che la stampa lo sottoponga al suo giudizio. Non solo i suoi atti presidenziali, ma la sua vita familiare è oggetto di discussione, plauso, contestazione da parte dei media e dell’opinione pubblica. Il nuovo arredamento dello Studio Ovale alla Casa Bianca, tanto per citare l’ultimo caso, è finito nel mirino di Washington Post e New York Times (i giornali blasonati dell’informazione a stelle e strisce) perché in tempi di crisi il Presidente non deve spendere soldi in mobili nuovi e, per soprammercato, comprare un tappeto con una citazione sbagliata di Martin Luther King. Le vacanze della First Lady, Michelle, in Spagna sono state un continuo investigare dei giornali sul costo sostenuto, sullo stile più o meno «presidenziale» e via discorrendo. La stampa assolve questo compito da qualche secolo. E bene o male, funziona. In America tutto nasce nel lontano 5 agosto 1735, quando l’editore del New York Weeekly, John Peter Zenger, viene chiamato in tribunale dal governatore coloniale di New York Cosby, oggetto di una serie di articoli satirici. Cosby vuole sapere il nome di chi scriveva gli articoli contro di lui. Zenger finisce in gattabuia ma non spiffera un fico secco ai magistrati. Dopo otto mesi di prigione, Zenger viene processato e il suo avvocato Andrew Hamilton strappa un verdetto storico alla giuria: pubblicare la «verità» non è un atto di sedizione. Per questo la libertà di stampa in America è tutelata dal primo emendamento. Cosa avrebbero scritto i quotidiani americani se Obama fosse stato pizzicato con un cognato in affitto in una casa ereditata dal Partito Democratico e poi rivenduta a una società off-shore nelle Piccole Antille? E se il cognato di Obama viaggiasse su una Ferrari 458 Italia mentre gli americani tirano la cinghia cosa avrebbero scritto gli editorialisti yankee? Altro che «infamie», saremmo stati testimoni di una campagna di stampa planetaria. E come si sarebbe comportato Obama? Un presidente negli Stati Uniti ha due strade possibili: 1. convoca una conferenza stampa e chiarisce tutto; 2. convoca una conferenza stampa e si dimette. Due scenari con un unico punto fermo: è alla stampa e per suo tramite agli elettori che i leader politici rispondono in prima battuta.
E veniamo alla «famiglia» evocata con gran batticuore da Fini. Ho grande rispetto per Elisabetta Tulliani che a mio avviso in questa vicenda è la persona che ha mostrato più carattere e coraggio. Ma non si può invocare la privacy quando si decide di scendere sul palcoscenico. È la stessa Elisabetta ad aver più volte deciso di apparire nella scena mediatica, è lei di fatto ad aver pronunciato il «go public» che ti fa passare dall’anonimato alla fama. Era o non era la signora Tulliani in prima fila ad ascoltare il discorso del suo uomo a Mirabello? Ci sono donne che hanno la ventura di stare al fianco di un uomo politico ma decidono di restare nell’ombra. È un altro tipo di scelta, simmetricamente opposta a quella di Elisabetta. È stata o non è stata la famiglia Tulliani a chiedere un servizio fotografico posato per il settimanale Oggi? Era un caso? O volevano farsi celebrare su un giornale letto dalla borghesia italiana? Volersi mostrare e dimostrare il proprio prestigio, significa svelarsi, concedersi e nello stesso tempo correre il rischio di essere svelato. È un gioco che porta fama e dà piacere al narciso che c’è in ognuno di noi, ma se decidi di esporti sotto il riflettore della luce pubblica, se sei un politico che amministra il Paese, se sei la donna che lo accompagna nella sua avventura, poi devi sapere che rischi di essere illuminato anche quando non lo hai deciso tu. Nel bene e nel male.
…..Sin qui Sechi. Noi avevamo già sottolineato, di nostro, l’infelice richiamo di Fini alla presunta “lapidazione” della sua famiglia proprio quando in Iran una donna rischia davvero di essere lapidata; l’editoriale di Mario Sechi stigmatizza la totale assenza in Fini del senso della misura e della scarsa conoscenza della materia su cui da tempo ama discettare: l’etica e la democrazia. In democrazia la stampa non è infame, mai, come dimostra Sechi con i riferimenti alle recenti campagne della stampa americana nei confronti di Obama, che è Obama!, e della sua famiglia. Quanto all’etica, se lo ficchi nella testa Fini, non è quella che fa comodo, ma è quella cui deve sempre ispirarsi l’azione dell’uomo pubblico. Non ci sembra che proprio che Fini possa dare lezioni a chicchessia: prima spieghi gli affari suoi, della sua famiglia e del cognato e poi, eventualmente, concioni pure sull’etica. Dubitiamo, però, che dopo aver detto la verità su Montecarlo e dintorni, Fini possa ancora occuparsi di etica. g.