Mario Sechi, direttore de Il Tempo, scrive oggi una lettera al Presidente Berlusconi sul Pdl. E propone: alla festa di Atreju mentre i finiani esultano e dicono che lei “è al tramonto”, spiazzi tutti,  rilanci il partito e dia più spazio ai giovani. Ecco il testo della lettera pubblocata sotto forma di editoriale sulla prima pagina del quotidiano romano, da sempre voce ed espressione dell’elettorato moderato della Capitale e di gran parte del centro-sud italiano.

Il premier Silvio Berlusconi Caro Presidente Berlusconi, lei oggi sarà l’ospite d’onore della festa di Atreju. È un appuntamento importante perché la manifestazione ha confermato di essere l’unica dove la politica – non il potere per il potere – è anima e passione. Prima di cominciare a parlare, guardi bene negli occhi quelle migliaia di giovani e si chieda. Cosa si attendono da un leader politico? Cosa sognano questi ragazzi? Cosa posso fare per loro? Cosa significa quella luce che vedo nelle loro pupille? Molti di loro quando lei nel 1994 scese in campo erano appena dei bambini. Non hanno il ricordo dei terribili anni di Tangentopoli, non possono scavare nella memoria per ritrovare le sue parole quando decise che si poteva e doveva provare a costruire «un miracolo italiano». Anche io in quegli anni ero molto giovane, ma avevo già cominciato a scrivere sui giornali. Superati da un bel po’ i 40 anni, mi impegno tutti i giorni per costruire qualcosa che resti a lungo, lasciare in eredità parole chiare, giornali ben fatti e, un domani, istituzioni culturali più forti e autorevoli.

Cultura, visione del mondo, classe dirigente per il futuro. Lei sa bene che in questa surreale estate in alcuni salotti si è deciso a tavolino di inaugurare la stagione del «dopo Berlusconi» e con essa cercare di liquidare il “berlusconismo” come fenomeno sociale. Ieri Italo Bocchino alla festa dell’Udc a Chianciano ci ha offerto un saggio di questo pensiero, dicendo che lei è «un’anomalia», che «il berlusconismo è alla fine» e dunque bisogna «rimettere in piedi il sistema» e che sta per arrivare la stagione di un modello politico «non più bipolare». Mi vengono i brividi al pensiero di quale sistema abbiano in mente. Pensano che una volta tolto di mezzo lei, il Cavaliere nero, si potrà fare tabula rasa di tutto quel che hanno significato questi sedici anni di storia italiana. Tasto reset e via. Questi poteri puntano dritti alla restaurazione. Prima Repubblica. Forse peggio perché senza partiti ben costruiti. Sarebbe un errore gigantesco e mi auguro non solo che prevalga la saggezza, ma che lei non si limiti alla ricerca del dato numerico, ai seggi necessari per neutralizzare la tenaglia finiana. Serve un progetto politico rafforzato che recuperi anche lo spirito originario, quello del 1994 e spenga ogni tentativo di cambio di regime senza legittimazione popolare. Caro Presidente, non basta «andare avanti», non è sufficiente salvare la legislatura e continuare a tenere in vita il governo. Serve di più, lasci perdere il dibattito tra «falchi» e «colombe», è l’ora di far volare qualche aquila con lo sguardo lunghissimo perché è giunto il momento di riconoscere alcuni errori, correggerli e dare un colpo d’ala.

Il Pdl nel giro di una settimana ha visto tre momenti importanti di formazione per i giovani: Atreju a Roma, la Summer School di Magna Carta a Frascati e la scuola di formazione politica di Gubbio. Non c’è altro partito che oggi faccia altrettanto. Ma dove finiscono poi questi giovani? Un leader politico – e lei lo è – ha il dovere di interrogarsi sul cosa ne sarà di quei giovani quando la sua avventura politica sarà terminata. Lei deve chiedersi: «Cosa lascio in eredità a questi ragazzi?». Sono certo che nel suo cuore conosce le risposte. Dietro di lei c’è un gruppetto di sessantenni che si spaccia per il nuovo ma mira solo a conquistare la poltrona, amministrare l’esistente e metabolizzare la sua uscita per poi gattopardescamente concludere che «bisogna che tutto cambi affinché tutto resti come prima». E invece bisogna cambiare. E per farlo occorre un coraggio da leoni.

Cambiare cosa? Migliorare la selezione della classe dirigente del suo partito, tanto per cominciare. Approfitti dello strappo di Fini, spinga il piede sull’acceleratore e faccia qualche nuovo innesto nel gruppo dirigente attuale. Metta in pista qualcuno dei trentenni e quarantenni. Nel partito ci sono. Gente in gamba che conosce l’economia, la politica, le potenzialità della società connessa. Gente che ha una visione del mondo più grande del proprio collegio elettorale o, peggio, tornaconto personale. Questo non significa accantonare l’esperienza di chi ha lavorato con lei finora, tutt’altro, l’esperienza è un valore, ma bisogna rigenerare il Pdl per rispondere ai “nuovisti” parolai con i fatti.

Renda incompatibili gli incarichi parlamentari e regionali con quelli nel partito. E apra un dibattito per proporre di regolare con una legge seria la vita dei partiti politici con primarie vere, non quelle burla del Pd che si vanta di esser democratico e non lo è.

Al lavoro nel partito deve affiancarsi una diversa presenza nelle istituzioni che fanno consenso e cultura. Lei sa benissimo che in quelle sedi gli intellettuali liberali sono visti come una minaccia, nelle case editrici - nelle sue in particolare, caro Cavaliere - chi seleziona i libri da leggere, i film da produrre, il materiale culturale che poi diventa anche e soprattutto idea politica, ha una visione delle cose lontana anni luce da quelle del mondo conservatore. Il partito della restaurazione, quello che sogna da sedici anni la sua fine, si alimenta di questa incapacità del centrodestra di cambiare marcia. Questo vale per la cultura, per l’economia, per la finanza, per l’apparato dello Stato dove i voltagabbana sono già pronti a cambiare casacca un’altra volta. S’è mai chiesto come mai nel grande sistema dei media – quello che detta davvero l’agenda politica – si parla un linguaggio che non è quello liberale? Ci faccia caso, tutto l’immaginario nazionale è costruito attorno a suggestioni che nulla hanno a che vedere con la società che lei rappresenta. I simboli e le parole della rivoluzione conservatrice sono stati sapientemente occultati in tutti questi anni. Si fa una gran fatica a parlarne e si viene spesso marginalizzati proprio nei contesti in cui si potrebbe dare testimonianza di una cultura diversa, alta e popolare nello stesso tempo, capace di interpretare questa fase della modernità. Pensi alla classe dirigente della Rai. Dov’è l’Italia moderata nelle idee di viale Mazzini? Quale voce ha la maggioranza silenziosa? Pensi ai manager di altre grandi aziende. Sono quasi tutti già appagati, arrivati e poco curiosi del mondo, mentre i più giovani e capaci sono emarginati. Se c’è qualcuno che ce l’ha fatta, è un’eccezione. Promuova una legge dove i mandati nei cda delle grandi aziende non sono rinnovabili per più di due volte. Faccia crescere i talenti giovani e chi ha avuto tutto dall’azienda si accomodi a fare il presidente onorario. Metta le università italiane di fronte al fatto che hanno mancato il loro compito, che i rettori sono in gran parte da cambiare, che molti di loro hanno letteralmente fatto «bancarotta». Apra alle agevolazioni fiscali per chi finanzia l’arte, la ricerca, lo studio. E lasci perdere le «tre i», è roba stravecchia dettata da cariatidi accademiche e ministeriali abbarbicate alla poltrona. I giovani in gamba queste cose le sanno già benissimo. Metta altre due parole nel programma e nel suo prossimo discorso in Parlamento: «C», come concorrenza di idee e «M», come meritocrazia. Sia lei la guida del «moderno» e lasci a Fini e ai suoi precari alleati la ragnatela e la polvere dell’antico partito novecentesco.

Solo così la sua egemonia elettorale si trasformerà in egemonia culturale. Per respingere l’assalto in corso e provare a costruire una prospettiva lunga, che va oltre il 2013, occorre che il suo consenso diventi qualcosa di diverso da una straordinaria macchina acchiappa-voti. Lei è già nella storia, ma quei ragazzi che ha davanti hanno bisogno di una guida per cominciare a scrivere la loro di storia. Non li lasci soli. Non si volti indietro. Lei ha il dovere di regalare loro un sogno. Lo realizzi.