Gian Marco ChiocciMassimo Malpica

Era ora, carta canta. Fra stecche rogatoriali e stonature procedurali, con gran fatica è finalmente arrivata in procura a Roma una parte dei documenti, richiesti senza eccessi d’entusiasmo dagli inquirenti capitolini alle autorità monegasche, che dovrebbero aiutare a fare luce sugli eventuali illeciti commessi nella compravendita della famosa casa di Montecarlo. Quella lasciata in eredità ad An da Anna Maria Colleoni, svenduta a una fiduciaria off-shore, da questa ceduta a una gemella e, a oggi, ancora abitata dal cognato del presidente della Camera, Giancarlo Tulliani.

LA ROGATORIA «SALVA TULLIANI»

Il plico giunto dal Principato di Monaco conta una sessantina di pagine in tutto – in grandissima parte si tratta di materiale già scovato e pubblicato in cinquanta giorni dal Giornale – che dunque diventano ora ufficialmente materia di indagine per quei pubblici ministeri della Capitale sempre più restii a convocare colui che sembra invece ricoprire un ruolo chiave nell’operazione immobiliare fra Roma, i Caraibi e Montecarlo: Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Gianfranco Fini, Elisabetta.
Testimone preziosissimo, perché fu lui a segnalare al «cognato» l’interesse per l’immobile monegasco da parte di una società che poi effettivamente acquistò, a un quinto del valore di mercato, l’appartamento da An, e perché alla fine della strana, doppia compravendita tra il partito di via della Scrofa e le società off-shore gemelle fu, casualmente, sempre lui a ritrovarsi come inquilino nel medesimo immobile.

A Roma gli atti ricevuti ieri sono stati definiti «incompleti». Ma a quanto negli ultimi giorni facevano sapere nel Principato, a essere carente e vaga sarebbe stata la rogatoria inviata all’estero dalle toghe romane, inoltrata quando buona parte degli atti e delle testimonianze raccolte dal Giornale non erano ancora state pubblicate, ampliando i confini di un affaire politico-immobiliare che sempre più imbarazza Fini e i suoi familiari.

Per questo motivo il procuratore capo, Giovanni Ferrara, ha inviato a Montecarlo un supplemento di rogatoria, chiedendo carte che possano meglio inquadrare il reale valore dell’immobile, oltre agli accertamenti fiscali collegati alla dichiarazione di successione sul testamento della contessa Colleoni che donò il suo appartamento ad An. Il valore dato all’appartamento di Boulevard Princesse Charlotte, a Montecarlo, in sede di successione e poi nei diversi passaggi di proprietà. Addirittura il carteggio riservatissimo è stato inviato, per rogatoria, all’indirizzo sbagliato: a piazza Cavour, presso la Cassazione, anziché a piazzale Clodio, sede della procura della Repubblica.

MA IL COGNATO DI FINI È ANCHE IL PROPRIETARIO?

Ma cosa contiene il plico monegasco che da oggi dà un po’ di spessore al fascicolo d’indagine, tenendo compagnia ai verbali del tesoriere e dell’amministratore di An, Francesco Pontone e Donato Lamorte, del senatore ex An Antonino Caruso e della segretaria di Fini, Rita Marino? Tra le altre carte, c’è anche il documento del contratto di affitto tra Timara e Tulliani, pubblicato nei giorni scorsi dal Giornale, quello in cui le firme di locatario e affittuario sono identiche. La procura lo ha definito «nota di trascrizione sul pubblico registro del contratto», ma in realtà è qualcosa di più: un «avenant», ossia un accordo che modifica un elemento del contratto di locazione originario. È l’atto ufficiale a disposizione delle preposte sedi monegasche (Ufficio del registro, il comando di polizia della Sûreté Publique, l’associazione delle agenzie immobiliari). Detto questo, in Procura è arrivato anche il contratto iniziale al quale l’avenant fa riferimento. E anche se ovviamente non c’è stato il tempo per procedere con perizie calligrafiche, sulla prima scrittura le firme dei contraenti (che dovrebbero essere Tulliani e la Timara) sarebbero diverse. Sarà necessario capire il motivo di questa vistosa discrepanza tra i due documenti, ma d’altra parte gli elementi di «confusione» tra affittuario e locatario, in questa storia, sono molteplici. C’è anche la bolletta della luce, intestata a Tulliani, pagata da Tulliani ma domiciliata a casa di James Walfenzao, l’intermediario e consulente fiscale che ricopriva incarichi di rappresentanza nelle fiduciarie che controllavano le due off-shore, Printemps e Timara.

UTENZE E DOMICILI OVVIAMENTE OFF SHORE

E c’è la richiesta di pagamento di spese condominiali spedita dal Syndic Michel Dotta a casa Tulliani, ma intestata curiosamente «Timara ltd-(Mr Tulliani)». Comunque, se le firme sul contratto primigenio ora in possesso dei pm romani sono leggibili, sarà molto interessante sapere chi firma l’atto per conto della Timara. Le altre carte giunte oggi in procura i lettori del Giornale le conoscono bene. Si tratta degli atti di compravendita dell’appartamento tra An e Printemps prima (l’11 luglio del 2008) e Printemps e Timara poi (15 ottobre dello stesso anno). Accompagnate da allegati, certificati, procure. Carte che raccontano il doppio rimbalzo della casa della contessa Colleoni dal partito a cui la donna l’aveva donata alla fiduciaria che l’ha affittata al «cognato» di Fini. Sul primo di quei contratti c’è scritto nero su bianco il prezzo di vendita della casa: 300mila euro. Il dettaglio che finora più ha appassionato la procura di Roma. E, in fondo, l’elemento più sconcertante dell’intera storia, visto che l’immobile che avrebbe dovuto e potuto finanziare la «buona battaglia» con un considerevole afflusso di denaro nelle casse del partito è stato invece ceduto a un quinto almeno del suo valore di mercato.

UN’ALTRA COINCIDENZA SULL’ENNESIMA SOCIETÀ

E se gli investigatori si dovessero appassionare anche ai risvolti fiscali della vicenda, quei due contratti spiegano molto bene quanto il sistema di società sia stato architettato per non far risalire al reale acquirente della casa. Due fiduciarie off-shore «coperte», il cui proprietario resta misterioso, ma a loro volta controllate da altre fiduciarie. Un gioco che lo specialista Tony Izelaar ha spiegato qualche giorno fa a un cronista di Libero accennando a una società utilizzata come «azionista visibile», parlando di Janum. Probabilmente il riferimento è alla Janom Partners ltd, ossia a una delle altre due fiduciarie che appaiono nei contratti (l’altra è la Jaman Directors). In pratica Walfenzao e Izelaar controllavano Printemps e Timara in qualità di “ad” di Janom e Jaman. Scatole vuote, ma «trasparenti». Il cui nome può essere speso con le autorità straniere, italiane per esempio, che potrebbero voler chiedere chi c’è dietro alla offshore che ha fatto affari col partito di Fini. E allora, come dice candidamente Izelaar, «noi indichiamo Janum o qualche altra società, non il vero cliente». Già, chi è il vero cliente?

IL GIORNALE – 21 SETTEMBRE 2010