Gianfranco Fini I finiani sono ormai, di fatto, all’opposizione. Ieri mattina, alla Camera, al primo vero voto dopo la pausa estiva, i deputati di Futuro e Libertà si sono schierati al fianco di Pd, Udc e Italia dei Valori per dare il via libera ad utilizzare, per fini giudiziari, le intercettazioni telefoniche che riguardano l’ex sottosegretario Nicola Cosentino. Richiesta respinta, perché Pdl e Lega più dodici franchi tiratori dell’opposizione, visto che si votava a scrutinio segreto, hanno raggiunto quota 308, mentre i sì si sono fermati a 285. Ma è il segnale del ribaltone di Fli, ormai schierata con il centrosinistra. Lo dimostra anche la scelta di far parte della nuova Giunta di Raffaele Lombardo in Sicilia insieme al Pd, all’Udc e all’Api di Francesco Rutelli. E, tornando indietro, la decisione, ad agosto, di astenersi sul voto di sfiducia nei confronti del sottosegretario Giacomo Caliendo, anche lui al centro di un’inchiesta. Anche in quel caso schierandosi contro la scelta del Pdl. Un crescendo, che apre un nuovo capitolo nei rapporti tra Berlusconi e Fini.

Gli uomini del Presidente della Camera hanno infatti garantito che mercoledì prossimo daranno la fiducia al governo sui cinque punti del programma, ma la collaborazione con il centrodestra si ferma lì. Dopo le rivelazioni sulla vicenda della casa di Montecarlo, dalle quali risulta che il vero proprietario è Giancarlo Tulliani, il cognato di Gianfranco Fini, il gruppo di Futuro e Libertà ha interrotto tutte le trattative con il Pdl. Accusando proprio la maggioranza di lavorare a costruire dossier falsi contro il presidente della Camera.

Italo Bocchino ieri lo ha detto chiaramente intervistato dal Tg3: «Non esiste proprio il dubbio sul voto di fiducia. È vero, però, che mentre noi lavoravamo per armonizzare i rapporti qualcuno lavorava per fare del dossieraggio». Poi l’affondo: «Non c’è alcuna ragione per metterci a trattare su documenti condivisi e costruire un percorso comune con chi ha organizzato un’operazione di dossieraggi falsi contro il presidente della Camera».

E il voto in aula su Nicola Cosentino è stata una vera e propria vendetta. Fino a martedì sera, infatti, l’indicazione di Fini ai suoi era stata quella di mediare, di tappare la bocca ai falchi che chiedevano di dare il via libera all’autorizzazione alle intercettazioni. Poi, ieri mattina, dopo aver letto sui giornali la storia dei documenti su Giancarlo Tulliani, il cambio di rotta. Un Gianfranco Fini furente ha riunito i suoi e ha dettato la linea: si vota sì e si interrompe qualsiasi rapporto con il Pdl. Stop dunque ai colloqui tra Angelino Alfano e Italo Bocchino, alle trattative tra Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno sullo scudo per mettere al riparo Berlusconi dalle sue vicende giudiziarie. Meglio, per i finiani, il ribaltone, meglio schierarsi con Italia dei Valori, Pd, Udc e Api. «Siamo ossessionati dal terrore che vogliano decapitare il gruppo – spiega un deputato di Fli – In realtà navighiamo a vista, può succedere qualunque cosa». E a far perdere la testa a Fini sono proprio i documenti su Giancarlo Tulliani: sono un falso preparato apposta contro di me, tuona, una polpetta avvelenata, una porcata. «Volevano farmi fuori prima del 29 settembre» confida ancora ai suoi. E nel pomeriggio chiama prima Gianni Letta e poi Massimo D’Alema, il presidente del Copasir. Ma che la vicenda sia diventata pesante anche per lui lo dimostra anche la frase che il presidente della Camera avrebbe detto tornando in aereo pochi giorni fa da Zagabria: «Questa potrebbe essere la mia ultima legislatura. Ma prima devo impedire a quel signore là (riferendosi a Berlusconi ndr) di fare altri danni al Paese».

Così la vendetta alle rivelazioni sull’affaire Tulliani scatta alle 10 di mattina, quando il gruppo di Futuro e Libertà spiega che voterà sì all’autorizzazione. L’unico che annuncia il no è Nino Lo Presti, ma solo perché è il relatore del provvedimento. Mentre Benedetto Della Vedova spiega che «il voto del Parlamento non può essere motivato da ragioni di solidarietà o ostilità politica nei confronti di un collega. Non c’è alcun elemento che possa far pensare al fumus persecutionis. Riteniamo però che non esistano motivi per respingere la richiesta».

Ma dopo il voto all’opposizione mancano 12 voti. E in molti alla Camera sono convinti che una buona parte siano quelli dei deputati di Futuro e Libertà. I quali, protetti dalla segretezza dello scrutinio, hanno preferito seguire la strada segnata dal Pdl.

IL TEMPO 23 SETTEMBRE 2010