Parlamento Casa a Montecarlo, servizi segreti, finiani, berlusconiani, Partito democratico, bersaniani, veltroniani, cretinetti e furbetti. È la cronaca politica del Paese, il racconto di quanto accade nel Palazzo. Qualcuno dirà che tutto questo è lontano dal Paese reale. Purtroppo quel che tutti i giorni registriamo nei nostri articoli è un pezzo di realtà, non una rappresentazione virtuale e voler separare la cittadella della politica dal paesone d’Italia è un esercizio retorico che non aiuta a capire quel che sta accadendo e non contribuisce a cambiare la rotta. Il Parlamento è lo specchio del Paese, non una sua deformazione iperbolica.
Quei parlamentari che oggi si scannano, che entrano ed escono dalla porta girevole dei partiti, quei leader che si scambiano accuse e regolano conti a lungo sospesi, sono stati votati dal popolo, non sono sbarcati da Marte. Quando le cose non possono essere spiegate con la lingua della verità preferiamo agitare spettri, complotti, dire che è tutta colpa dei giornali e mettere in campo sulfurei azzeccagarbugli. Figuriamoci, è un film già visto. La storia di Giancarlo Tulliani in questo senso è esemplare. Ci mancavano le barbe finte, sono state evocate e ora il quadretto è chiaro: siamo al casino totale. E come in ogni giallo all’italiana che si rispetti, è spuntato l’ingrediente doc: la «patacca». Una lettera dell’autorità di Santa Lucia che dice: Tulliani è il beneficiario delle società off-shore. I finiani sostengono che è un falso confezionato per dare una mano a Berlusconi.
E se pensiamo che tutto questo casino è nato perché un cognato già ingombrante per quel che combinava in Rai era anche in affitto in una casa che fu di An, c’è da riflettere non sulla condizione delle istituzioni, ma degli italiani. Un Paese dove chi non ha nessuna competenza e dichiara ben poco reddito può ottenere la residenza a Montecarlo, scarrozzare per il Principato in Ferrari 458 e infischiarsene delle inchieste e delle domande di tutta la stampa nazionale (sì, tutta, caro Fini) non ha qualcosa che non va, ha un problema di fondo che si traduce in tre parole: trasparenza, concorrenza e meritocrazia. Era così facile spegnere sul nascere questa storia. Bastava tirare fuori un po’ di coraggio e andare di fronte al Paese a spiegare tutta la vicenda, dire la verità, chiedere al cognato di raccontare come mai è diventato l’inquilino di una casa nel Principato che era di An ed è stata venduta a due società off-shore.
Tutto sarebbe andato come doveva andare: Tulliani dentro o fuori. Fini dentro o fuori. Invece no, la risposta è il silenzio, a meno che non si voglia prendere per buona (e nessun giornale ci ha creduto) la nota in otto punti del Presidente Fini. Non potendo spiegare quel che non si può giustificare, si evocano spettri, complotti, barbe finte. Tutto l’armamentario della Prima Repubblica e, ogni tanto, di Repubblica. Ognuno fa il suo quotidiano ed Ezio Mauro lo fa decisamente bene, ma accanto all’articolessa di ieri firmata dal buon Giuseppe D’Avanzo si poteva ripubblicare l’editoriale dell’11 agosto 2010, intitolato «Il dovere della chiarezza». Ecco il passaggio chiave: «Il presidente della Camera ha un’unica strada per sfuggire a questa guerra mortale, una strada che coincide coi suoi doveri verso la pubblica opinione. È la strada della chiarezza e della trasparenza. Dopo avere detto la sua verità sull’affare Montecarlo, deve pretendere la verità da Giancarlo Tulliani, intermediario e beneficiario della vendita. Fini chieda a Tulliani di rivelare i nomi e i cognomi degli acquirenti e le condizioni dell’affitto.
Questo per rispondere al sospetto, ogni giorno più pesante, che Tulliani abbia intermediato per se stesso, dietro il paravento off-shore. Solo così si potrà accertare definitivamente che la “famiglia” venditrice non è anche la “famiglia” acquirente». Bene, io la penso esattamente così, ho messo nero su bianco su Il Tempo le stesse domande che si sono posti a Repubblica e da settimane attendo una risposta. Non è ancora arrivata e comincio a pensare che il casino totale serva non solo a ritardarla ma ad eluderla completamente. E se una «manina» o una «manona» c’è (purtroppo non lo so, altrimenti l’avrei già scritto), in realtà sta dando un grande aiuto a chi ha interesse a nascondere la verità. Come in un thriller, stiamo assistendo a un gioco di fumo e specchi. Ne vedremo di tutti i colori. E qualcuno guardandosi allo specchio dovrà vergognarsi.

IL TEMPO – 24 SETTEMBRE 2010