Abbiamo pubblicato a parte  le dieci domande a cui, secondo la stampa indipendente,  Fini non ha risposto ma a cui deve rispondere e senza le quali, evidentemente, il caso “politico” non è per nulla chiuso. Ad onta di ciò che dichiara, imbattibilmente arrogante, il suo scudiero Italo Bocchino. Questi, poche ore dopo aver dichiarato che la “casa non è di Tulliani, Fini ne ha le prove e lo dirà nel suo messaggio”, ha dovuto apprendere dalla bocca stessa di Fini che il suo profeta “non lo sapeva e che aveva molti dubbi sul cognato e che aveva commesso ingenuità e che, infine, se avesse scoperto che il padrone è Tulliani mi dimetto da presidente della Camera”. Migliore smentita alle “certezze” di Bocchino non poteva esserci. Il quale Bocchino,a questo punto, declama l’ultimo comandamento : “Fini è onesto e bisogna credere a quello che dice”. Oh, bella. Ma non era stato Fini a dire a Mirabello e poi a Mentana (che non è la cittadina della battaglia risorgimentale) che quando si sarebbe saputa la verità sull’appartamento di Montecarlo ci sarebbe stato da ridere? Si è visto che Fini,  mentre confessava di non saper nulla di  nulla, non rideva, anzi, come ha scritto Libero “faceva pietà“. E non pietà nel senso di commiserazione ma nel senso peggiore. E poi, per caso Fini è Gesù le cui parole sono la “VERITA’”? Andiamo, riportiamoci sulla terra. Fini è uno che per raggiungere il suo scopo è pronto a fare qualsiasi cosa. Per esempio a insultare e sbeffeggiare chi una quindicina di anni fa lo tirò fuori dal pantano dell’incongruenza politica e lo issò sul piedistallo del potere.Fini lo ha fatto durante i nove minuti del suo “assolo” autodifensivo , confezionato senza il confronto con i giornalisti come avviene nelle vere ( e non necessariamente grandi) democrazie occidentali di cui lui si dice “ispirato”.  Invece si è comportato come un ayatollah iraniano, impedendo alla stampa di porgli domande e “sfrugugliarlo” a dovere , costringendolo a dire non la “sua” verità, ma la “verità“. E non soltanto sulla storiaccia di Montecarlo ma anche sulle pressioni esercitate alla stregua di qualsiasi altro componente della casta per favorire suocera e cognato per far loro ottenere contratti milionari con la RAI, senza averne nè titolo nè competenza. E senza dover pagare lo scotto delle scuse dovute ai giornalisti definiti “infami” perchè facendo il loro mestiere,  hanno costretto la terza carica dello Stato ad una figuraccia  “da far pietà“, che dovrebbe avere come unico sbocco le dimissioni da una carica che Fini ha trasformato in strumento per fare spudoratamente politica contro la parte che lo ha eletto, roso da invidia e rancore. Rancore e invidia che sta facendo pagare al Paese, con l’aiuto di una trentina di personaggi privi di consenso ma nominati alla Camera all’interno di liste bloccate, quelle si sotto alcuni aspetti antidemocratiche ma che come tali non fuorno avversate nè da Fini nè dai suoi trenta comparielli. Quelli che ora,  per bocca, di Bocchino (scusate il gioco di parole)   pretendono di metter becco sul discorso che Berlusconi dovrà fare alla Camera il prossimo 29 settembre e subito dopo al Senato.  Con la tracotanza che contraddistingue Bocchino ( e i Briguglio, i Granata, i Barbareschi, etc)c’è da giurarci che se Berlusconi accettasse questa specie di preventivo “imprimatur” potrebbe sentirsi chiedere di parlare male di…Berlusconi. Presidente, non ascolti  questa gente, e poichè quel Fini là, che vende ad una società off-shore una casa non sua e poi fa finta di non sapere che cosa siano le off-shore, salvo quando deve ingiuriarla, non merita che lei gli dedichi neppure una virgola del suo messaggio agli Italiani, non si curi neppure dei suoi adepti. Se in Parlamento dovessero risultare necessari e quindi  ricattatori permanenti del suo governo, non esiti. Butti l’avvenire dietro le spalle e vada a elezioni anticipate. Come ebbe modo di dire Eleanor Roosvelt al marito, il  presidente americano che si struggeva per il proditorio attacco giapponese a Pearl Harbor, “meglio conoscere il peggio che vivere nell’incertezza”. Il Paese, come il destino, premia gli audaci. Pietro Gagliardi