Archivi per settembre, 2010

MINISTRO DELL’ISOLA DI SANTA LUCIA: VERA LA LETTERA CHE ATTRIBUISCE A TULLIANI LA PROPRIETA’ DELL’APPARTAMENTO DI MONTECARLO

Pubblicato il 24 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

ROMA  – La lettera pubblicata dal giornale dominicano El Nacional in cui si afferma che Giancarlo Tulliani – cognato di Gianfranco Fini – risulterebbe il titolare della società cui è intestato l’appartamento di Montecarlo, e che reca la fima del ministro della Giustizia dell’isola caraibica di Saint Lucia, “é vera”. La risposta ad una domanda in tal senso (‘quel documento è vero o falso?’) è venuta dallo stesso ministro Rudolph Francis, dalla Svizzera, raggiunto telefonicamente dal Fatto Quotidiano, che lo ha intervistato. “La prossima settimana – aggiunge Francis nel breve colloquio – rilasceremo un comunicato ufficiale su questa materia”. A proposito della presunta lettera con cui il ministro del Paese caraibico spiegava al suo premier che dietro le società proprietarie della casa di Montecarlo ci sarebbe stato Tulliani, il Fatto Quotidiano spiega anche di aver parlato con l’azienda che fornisce il governo dell’isola caraibica di tutti i documenti e secondo la quale l’intestazione della lettera firmata da Francis non corrisponderebbe a quella ufficiale. “Non ho memoria che ci abbiano mai chiesto di cambiare carattere. E noi non riforniamo carte intestate digitali ma solo stampate”, ha spiegato al Fatto un funzionario della stamperia.

ANSA . ORE 11,25 del 24 settembre 2010

UN GIOCO DI FUMO E SPECCHI, editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 24 settembre, 2010 in Politica | No Comments »

Parlamento Casa a Montecarlo, servizi segreti, finiani, berlusconiani, Partito democratico, bersaniani, veltroniani, cretinetti e furbetti. È la cronaca politica del Paese, il racconto di quanto accade nel Palazzo. Qualcuno dirà che tutto questo è lontano dal Paese reale. Purtroppo quel che tutti i giorni registriamo nei nostri articoli è un pezzo di realtà, non una rappresentazione virtuale e voler separare la cittadella della politica dal paesone d’Italia è un esercizio retorico che non aiuta a capire quel che sta accadendo e non contribuisce a cambiare la rotta. Il Parlamento è lo specchio del Paese, non una sua deformazione iperbolica.
Quei parlamentari che oggi si scannano, che entrano ed escono dalla porta girevole dei partiti, quei leader che si scambiano accuse e regolano conti a lungo sospesi, sono stati votati dal popolo, non sono sbarcati da Marte. Quando le cose non possono essere spiegate con la lingua della verità preferiamo agitare spettri, complotti, dire che è tutta colpa dei giornali e mettere in campo sulfurei azzeccagarbugli. Figuriamoci, è un film già visto. La storia di Giancarlo Tulliani in questo senso è esemplare. Ci mancavano le barbe finte, sono state evocate e ora il quadretto è chiaro: siamo al casino totale. E come in ogni giallo all’italiana che si rispetti, è spuntato l’ingrediente doc: la «patacca». Una lettera dell’autorità di Santa Lucia che dice: Tulliani è il beneficiario delle società off-shore. I finiani sostengono che è un falso confezionato per dare una mano a Berlusconi.
E se pensiamo che tutto questo casino è nato perché un cognato già ingombrante per quel che combinava in Rai era anche in affitto in una casa che fu di An, c’è da riflettere non sulla condizione delle istituzioni, ma degli italiani. Un Paese dove chi non ha nessuna competenza e dichiara ben poco reddito può ottenere la residenza a Montecarlo, scarrozzare per il Principato in Ferrari 458 e infischiarsene delle inchieste e delle domande di tutta la stampa nazionale (sì, tutta, caro Fini) non ha qualcosa che non va, ha un problema di fondo che si traduce in tre parole: trasparenza, concorrenza e meritocrazia. Era così facile spegnere sul nascere questa storia. Bastava tirare fuori un po’ di coraggio e andare di fronte al Paese a spiegare tutta la vicenda, dire la verità, chiedere al cognato di raccontare come mai è diventato l’inquilino di una casa nel Principato che era di An ed è stata venduta a due società off-shore.
Tutto sarebbe andato come doveva andare: Tulliani dentro o fuori. Fini dentro o fuori. Invece no, la risposta è il silenzio, a meno che non si voglia prendere per buona (e nessun giornale ci ha creduto) la nota in otto punti del Presidente Fini. Non potendo spiegare quel che non si può giustificare, si evocano spettri, complotti, barbe finte. Tutto l’armamentario della Prima Repubblica e, ogni tanto, di Repubblica. Ognuno fa il suo quotidiano ed Ezio Mauro lo fa decisamente bene, ma accanto all’articolessa di ieri firmata dal buon Giuseppe D’Avanzo si poteva ripubblicare l’editoriale dell’11 agosto 2010, intitolato «Il dovere della chiarezza». Ecco il passaggio chiave: «Il presidente della Camera ha un’unica strada per sfuggire a questa guerra mortale, una strada che coincide coi suoi doveri verso la pubblica opinione. È la strada della chiarezza e della trasparenza. Dopo avere detto la sua verità sull’affare Montecarlo, deve pretendere la verità da Giancarlo Tulliani, intermediario e beneficiario della vendita. Fini chieda a Tulliani di rivelare i nomi e i cognomi degli acquirenti e le condizioni dell’affitto.
Questo per rispondere al sospetto, ogni giorno più pesante, che Tulliani abbia intermediato per se stesso, dietro il paravento off-shore. Solo così si potrà accertare definitivamente che la “famiglia” venditrice non è anche la “famiglia” acquirente». Bene, io la penso esattamente così, ho messo nero su bianco su Il Tempo le stesse domande che si sono posti a Repubblica e da settimane attendo una risposta. Non è ancora arrivata e comincio a pensare che il casino totale serva non solo a ritardarla ma ad eluderla completamente. E se una «manina» o una «manona» c’è (purtroppo non lo so, altrimenti l’avrei già scritto), in realtà sta dando un grande aiuto a chi ha interesse a nascondere la verità. Come in un thriller, stiamo assistendo a un gioco di fumo e specchi. Ne vedremo di tutti i colori. E qualcuno guardandosi allo specchio dovrà vergognarsi.

IL TEMPO – 24 SETTEMBRE 2010

FUTURO E RIBALTONE, OVVERO LA VENDETTA DI FINI

Pubblicato il 23 settembre, 2010 in Politica | No Comments »

Gianfranco Fini I finiani sono ormai, di fatto, all’opposizione. Ieri mattina, alla Camera, al primo vero voto dopo la pausa estiva, i deputati di Futuro e Libertà si sono schierati al fianco di Pd, Udc e Italia dei Valori per dare il via libera ad utilizzare, per fini giudiziari, le intercettazioni telefoniche che riguardano l’ex sottosegretario Nicola Cosentino. Richiesta respinta, perché Pdl e Lega più dodici franchi tiratori dell’opposizione, visto che si votava a scrutinio segreto, hanno raggiunto quota 308, mentre i sì si sono fermati a 285. Ma è il segnale del ribaltone di Fli, ormai schierata con il centrosinistra. Lo dimostra anche la scelta di far parte della nuova Giunta di Raffaele Lombardo in Sicilia insieme al Pd, all’Udc e all’Api di Francesco Rutelli. E, tornando indietro, la decisione, ad agosto, di astenersi sul voto di sfiducia nei confronti del sottosegretario Giacomo Caliendo, anche lui al centro di un’inchiesta. Anche in quel caso schierandosi contro la scelta del Pdl. Un crescendo, che apre un nuovo capitolo nei rapporti tra Berlusconi e Fini.

Gli uomini del Presidente della Camera hanno infatti garantito che mercoledì prossimo daranno la fiducia al governo sui cinque punti del programma, ma la collaborazione con il centrodestra si ferma lì. Dopo le rivelazioni sulla vicenda della casa di Montecarlo, dalle quali risulta che il vero proprietario è Giancarlo Tulliani, il cognato di Gianfranco Fini, il gruppo di Futuro e Libertà ha interrotto tutte le trattative con il Pdl. Accusando proprio la maggioranza di lavorare a costruire dossier falsi contro il presidente della Camera.

Italo Bocchino ieri lo ha detto chiaramente intervistato dal Tg3: «Non esiste proprio il dubbio sul voto di fiducia. È vero, però, che mentre noi lavoravamo per armonizzare i rapporti qualcuno lavorava per fare del dossieraggio». Poi l’affondo: «Non c’è alcuna ragione per metterci a trattare su documenti condivisi e costruire un percorso comune con chi ha organizzato un’operazione di dossieraggi falsi contro il presidente della Camera».

E il voto in aula su Nicola Cosentino è stata una vera e propria vendetta. Fino a martedì sera, infatti, l’indicazione di Fini ai suoi era stata quella di mediare, di tappare la bocca ai falchi che chiedevano di dare il via libera all’autorizzazione alle intercettazioni. Poi, ieri mattina, dopo aver letto sui giornali la storia dei documenti su Giancarlo Tulliani, il cambio di rotta. Un Gianfranco Fini furente ha riunito i suoi e ha dettato la linea: si vota sì e si interrompe qualsiasi rapporto con il Pdl. Stop dunque ai colloqui tra Angelino Alfano e Italo Bocchino, alle trattative tra Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno sullo scudo per mettere al riparo Berlusconi dalle sue vicende giudiziarie. Meglio, per i finiani, il ribaltone, meglio schierarsi con Italia dei Valori, Pd, Udc e Api. «Siamo ossessionati dal terrore che vogliano decapitare il gruppo – spiega un deputato di Fli – In realtà navighiamo a vista, può succedere qualunque cosa». E a far perdere la testa a Fini sono proprio i documenti su Giancarlo Tulliani: sono un falso preparato apposta contro di me, tuona, una polpetta avvelenata, una porcata. «Volevano farmi fuori prima del 29 settembre» confida ancora ai suoi. E nel pomeriggio chiama prima Gianni Letta e poi Massimo D’Alema, il presidente del Copasir. Ma che la vicenda sia diventata pesante anche per lui lo dimostra anche la frase che il presidente della Camera avrebbe detto tornando in aereo pochi giorni fa da Zagabria: «Questa potrebbe essere la mia ultima legislatura. Ma prima devo impedire a quel signore là (riferendosi a Berlusconi ndr) di fare altri danni al Paese».

Così la vendetta alle rivelazioni sull’affaire Tulliani scatta alle 10 di mattina, quando il gruppo di Futuro e Libertà spiega che voterà sì all’autorizzazione. L’unico che annuncia il no è Nino Lo Presti, ma solo perché è il relatore del provvedimento. Mentre Benedetto Della Vedova spiega che «il voto del Parlamento non può essere motivato da ragioni di solidarietà o ostilità politica nei confronti di un collega. Non c’è alcun elemento che possa far pensare al fumus persecutionis. Riteniamo però che non esistano motivi per respingere la richiesta».

Ma dopo il voto all’opposizione mancano 12 voti. E in molti alla Camera sono convinti che una buona parte siano quelli dei deputati di Futuro e Libertà. I quali, protetti dalla segretezza dello scrutinio, hanno preferito seguire la strada segnata dal Pdl.

IL TEMPO 23 SETTEMBRE 2010

PARTITI DI LEADER SCONFITTI

Pubblicato il 23 settembre, 2010 in Politica | No Comments »

Chi aveva ancora dei dubbi la giornata di ieri dovrebbe averli cancellati definitivamente. Quello di Fini ormai è un vero partito, autonomo. Fedele, a parole, al programma di governo, ma con l’obiettivo di mandare in pensione il Premier. Non perché in realtà è in rotta di collisione con il programma del Pdl, ma perché l’ex leader di An mal sopporta di essere un numero due. Ha l’ambizione o la presunzione di voler rappresentare la destra moderna. Vuole essere l’unico beneficiario del patrimonio della destra italiana. Anche se per il momento l’unica eredità di cui ha avuto disponibilità è a Montecarlo. Comunque i sogni di gloria del presidente della Camera sono anche l’effetto di quel virus moderno della politica: tutti i protagonisti scalpitano e non accettano di condividere la responsabilità con altri. Tutti leader, tutti capi. Demolitori di quel progetto di dar vita anche in Italia al bipartitismo. La strada sembrava tracciata con la nascita del Pd e del Pdl.

Ma, diciamolo con chiarezza, questo obiettivo è saltato. Non per scelte ideologiche, ma per vanità e presunzione. Le sigle sono solo la copertura di partiti personali. La lista è lunga. Oltre a Fini c’è il partito di Casini, di Rutelli, di Di Pietro, di Mastella, di Vendola. E in futuro forse avremo quelli di Veltroni e di Montezemolo. Sono nati come vestiti su misura di leader che non vogliono accettare di dividere il poco o grande potere con gli altri. Vogliono essere padroni in casa a costo di accontentarsi di percentuali elettorali da prefisso telefonico. Pensate a Rutelli, è andato via con pochi intimi. E Fini, quando ai sondaggi si sostituiranno i voti reali avrà la forza di garantire ai suoi seguaci le stesse posizioni?

E Mastella, se non fosse stato recuperato da Berlusconi con il suo gruppetto di fedelissimi campani, potrebbe solo fare l’incursore tra i due grandi partiti o minacciare di candidarsi a sindaco di Napoli. Se lo facesse da solo quali risultati avrebbe? Di Pietro si è ben guardato dal tenere fede all’impegno preso con Veltroni, lui ha un suo partitino e non lo molla. Del resto Veltroni dopo aver guidato il Pd non vuole rientrare nei ranghi. Riunisce i suoi e poi si vedrà. Tutti leader, tutti capi. Tutti aspiranti Berlusconi. Tutto ha origini lontane. A quel 1993 quando l’imprenditore Berlusconi decise di scendere in campo. Non aderendo a nessuno dei partiti sopravvissuti al terremoto di Tangentopoli, ma formandone uno suo, capace di raccogliere i voti di un esercito scomposto di elettori e dirigenti politici che non avevano alcuna voglia di arrendersi alla gioiosa macchina da guerra di Occhetto e che videro nel Cavaliere l’uomo in grado di respingere l’attacco e di portarli alla vittoria. Così fu. Quel ruolo di leader Berlusconi lo ha conquistato sul campo. E da allora la sua figura, amata o odiata è stata copiata. Con esiti disastrosi per chi ci ha provato. Prendete il Pd. Da 15 anni è alla ricerca di un capo carismatico. Ed è stato un tritacarne. Veltroni, Franceschini ora Bersani. Intanto si affacciano all’orizzonte Vendola, Chiamparino. E dietro l’angolo ci sono Profumo e Montezemolo e c’è chi vorrebbe rispolverare il pensionato Prodi. Ma il professore si tiene alla larga dalla beghe. Invece ci squazza Vendola, il governatore della Puglia, che da tempo si è fatto un partito e per questo ha le mani libere. E anche lui sogna di essere il vero erede del patrimonio della sinistra. Invece non è andato in pensione Veltroni. Finocchiaro giura: non sarà il nostro Fini. Ma Walter se la sente di allinearsi a Bersani? Per il momento però in qualcosa imita Fini, se non altro riunendo i fedelissimi. Non un gruppo, ma un documento. Ma gratta gratta è poi tanto diverso? Poi ci sono quelli che pensano di poter rappresentare la vecchia Dc. Non si sono rassegnati all’implosione irreversibile della balena bianca. Mastella e Casini provarono a fare un partito insieme.

Poi la divisione: ognuno padrone in casa propria. Padrone. Basta vedere cosa dicono di Casini i dissidenti dell’Udc. Più o meno le stesse parole che usano gli avversari di Berlusconi. Tutti dovrebbero mostrare religiosa fiducia nelle potenzialità del terzo polo. Inutile dissentire, chi non crede va fuori. E dentro il partito dell’ex pm Di Pietro c’è un aperto dibattito interno? O tutto è guidato con mano ferma da Tonino che decide chi premiare, chi punire o chi cacciare se dissente.

Il panorama che ne esce fuori è desolante. Non nascono partiti o gruppi per rivendicare un progetto alternativo, non parliamo di valori o di principi, ma almeno di programmi. No, nascono perché ognuno cerca una personale visibilità. Perché spera di contare al momento della spartizione dei posti se può mettere sul piatto della bilancia un proprio peso. Soprattutto perché morti i partiti della Prima Repubblica nessuno ha saputo creare qualcosa di diverso. Semmai hanno cercato tutti o quasi di copiare l’unico che ha costruito qualcosa di alternativo. Insomma il modello è diventato Berlusconi. Lo criticano, lo contestano, lo attaccano, ma tutti vorrebbero seguirne le orme. E tutti vorrebbero o sognano di prendersi pezzi del Pdl o del Pd. Fini punta al bersaglio grosso. Casini aspetta che i due grandi deflagrino per raccoglierne i pezzi. Di Pietro vuole essere il più puro degli antiberlusconiani e vuole strappare i voti del Pd. E gli elettori? Possono assistere a questa corsa di aspiranti leader? Se nonostante tutto i consensi sono ancora per Berlusconi una ragione ci sarà.

da IL TEMPO – 23 SETTEMBRE 2010

La casa di Montecarlo si trasforma in una farsa all’italiana

Pubblicato il 22 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

La "famiglia" reale all'italiana

Servizi segreti deviati,  azione di dossieraggio contro la terza carica dello Stato, vera e propria porcata dietro la quale ci sono i servizi e…chi più ne ha, più ne metta. Sono le reazioni scomposte dei finiani e, pare,  dello stesso Fini che poi ha fatto smentire dal suo portavoce quanto attribuitogli, a proposito della notizia rimbalazata ieri a tarda sera attraverso il sito italiano Dagospia a proposito di un documento riservato datato 16 settembre 2010 a firma del ministro della Giustizia dell’Isola caraibica di Santa Lucia, diretto al premier della stessa Isola, nel quale si attribuisce la proprietà delle due società off-shore a cui è stato venduto e rivenduto l’appartamento di Montecarlo lasciato in eredità ad A.N. dalla contessa fascista Annamarai Colleoni  al signor Giancarlo Tulliani, “cognato” dell’on. Fini e meglio noto come “elisabetto”. La notizia, ripresa da Dagospia,  e il documento riprodotto in fotocopia dallo stesso sito,  sono stati pubblicati da due diffusi giornali  di Santo Domingo e poi ripresi da quasi tutta la stampa italiana, primi fra tutti, ovvimente, Il Giornale e  Libero,  i due quotidiani che hanno dato il via all’inchiesta su questa strana storia avvolta nel mistero e coperta dal segreto di pulcinella. Le reazioni dei finiani finiscono col trasformare questa brutta storia in una farsa all’italiana. Specie quella dell’on. Briguglio, sino a qualche settimana fa noto soltanto ad una ristretta cerchia di siciliani e ora balzato agli onori quotidiani della politica nazionale. Briguglio, attraversando baldazosamente il mare aperto delle sciocchezze, ha dichiarato che chiederà all’on. D’Alema (sic!), presidente del Copasir, il comitato parlamentare che si occupa di servizi segreti, e del quale fa parte lo stesso Briguglio, “di approfondire, al di là delle smentite ufficiali, sia la possibile partecipazione a questa azione di dossieragigo di pezzi di Servizi deviati, sia l’attività della nostra intelligence a tutela delle massime cariche della Repubblica rispetto a manovre messe in atto anche all’estero ai danni del presidente della Camera dei Deputati attraverso la produzione e diffusione di documentazione falsa”. Dove il falso sarebbe il documento a firma del ministro della giustizia dell’Isola di Santa Lucia  che sebbene sia un ben noto paradiso fiscale e un altrettanto ben noto paradiso di società off-shore, usate per nascondere traffici spesso poco puliti ( e Fini, quando ha autorizzato la vendita dell’appartamento di Montecarlo ad una società off-shore non lo sapeva?!) è pur sempre uno Stato di diritto  al quale ci sembra  possa essere abbastanza facile chiedere, attraverso le vie diplomatiche,   se un documento sia pure riseervato, scritto su carta intestata e firmato da un autorevole membro del governo, sia un falso oppure no. Perchè, il problema è solo questo. Se il documento,  pubblicato non Italia ma all’estero,  da giornali che non sono di proprietà di Berlusconi e che reca l’intestazione del governo legittimo di uno Stato libero e la firma di un autorevole membro di quel governo,  è vero o falso.  Perchè scomodare i  soliti  servizi segreti deviati  (doppio sic!) in un Paese come il nostro dove, come diceva Ennnio Flaiano, i segreti sono come quelli di Pulcinella,  quando è sufficiente far intervenire la nostra diplomazia che, immaginiamo, non sia al servizio di nessuno, salvo qualche ambasciatore che si presta, come nel caso di quello di Montecarlo, a fare da chaperon ad un ragazzotto? Piuttosto,  proprio per porre fine a questo stillicidio di notizie, forse sarebbe il caso che qualcuno dei gran consigliori di Fini, una volta tanto lo consigliassero per il meglio,  e cioè che è arrivato il momento di raccontare tutta la storia di quell’appartamento a Montecarlo finito nella disponibilità o (secondo il documento sinora non smentito dal governo dell’Isola di Santa Lucia) nella proprietà del suo cognatino, portato in  dote,  insieme alla suocera, dalla sua nuova “comapgna”. D’altra parte i tanto suscettibili finiani del FLI (Fronte di Liberazione internazionale) invece di mostrare i denti per la storiaccia di Montecarlo e le rivelazioni circa il ruolo di Tulliani, dovrebbero spiegare agli elettori italiani , grazi ai cui voti siedono in Parlamento, da che parte stiano. In Sicilia  hanno unito i loro voti a quelli dei postcomunsiti in una nuova versione di milazzismo siciliano per sostenere il quarto governo Lombardo nella Trinacria di Pirandello,  alla Camera hanno votato stretti d’amore con il PD e Di Pietro la richiesta dell’uso delle intercettazioni in danno dell’on. Cosentino che comunque non è “passata” grazie ad una forte e coesa maggioranza extra finiana, poche ore fa hanno depositato alla Camera una mozione contro il direttore del TG1 Minzolini e il direttore generale della RAI Masi, rei di non essere finiani,  che li vedrà uniti, nel voto, nuovamernte con postcomunisti, postdemocristiani alla Casini e giustizialisti alla Di Pietro, pochi minuti fa hanno minacciato di interrompere se già non l’hanno fatto, la trattativa per il varo del Lodo Alfano in forma costituzionale…da che parte stanno i finiani e il loro capo? Forse  si sono resi conto che forse Berlusconi ce la fa a mettere su in Parlamento – Senato e Camera -  una maggioranza che non soggiaci ai loro ricatti e ai loro ultimatum e tentano di costruirsi un alibi dietro il quale nascondere i loro reali intendimenti che mirano a distruggere il grande sogno di un grande partito di moderati.  Ma gli elettori, gli elettori di Destra italiani,   che questi figuri ormai vestiti con gli abiti mentali della peggiore sinistra li ha belli ed etichettati, sapranno cosa fare al momento opportuno. g.

UNA SENTENZA CHE CI FA PIACERE

Pubblicato il 22 settembre, 2010 in Cronaca, Politica | No Comments »

ROMA - «Il fatto non sussiste». Con questa formula inequivocabile oggi il gup di Roma, Marina Finiti, ha assolto Vittorio Emanuele di Savoia e gli altri cinque imputati nel processo per il cosiddetto ‘Savoiagate’, l’indagine sui nulla osta legati ai videopoker avviata nel 2006 dal pm di Potenza Henry John Woodcock e poi passata a Roma per competenza.

Secondo l’accusa, a partire dal 2004, i sei avevano messo in piedi una associazione per delinquere «impegnata nel settore del gioco d’azzardo fuori legge, attiva nel mercato illegale dei nulla osta per videopoker procurati e rilasciati dai Monopoli di Stato attraverso il sistematico ricorso allo strumento della corruzione e del falso».
A chiedere il processo era stato il pm Andrea De Gasperis, oggi procuratore capo a Latina.

Oggi il gup ha assolto tutti gli imputati. Oltre a Vittorio Emanuele, Rocco Migliardi, Nunzio Laganà, suo stretto collaboratore, Ugo Bonazza, Gian Nicolino Narducci e Achille De Luca.
«L’esito assolutorio di oggi conferma definitivamente – afferma l’avvocato Vincendo Dresda, legale di Bonazza – quanto già statuito nelle archiviazioni precedenti in ordine alle imputazioni connesse e consente di ribadire con maggior forza che gli arresti eseguiti quattro anni fa si fondavano su accuse inconsistenti».

da La Gazzetta del Mezzogiorno – 22 settembre 2010

….Ci fa piacere non per il personaggio, Vittorio Emanuele,  che francamente non riscuote la nostra simpatia, ma perchè immanginare l’ultimo erede della Famiglia a cui, nel bene e nel male, dobbiamo gran parte dei meriti per l’unità italiana, coivolto in così spregevoli fatti di malaffare ci amareggiò. Ancor più saremmo stati amareggiati se la sentenza fosse stata di diverso tenore proprio in concomitanza con i festeggiamenti per il 150° dell’Unità che, lo ripetiamo, si realizzò sopratutto,  grazie e intorno a Casa Savoia. Celebrare l’unità nazionale con un Savoia che dopo la galera fosse stato condannato sarebbe stato grave, peggio che  doverci sorbire il suo “successore” far da valletto ai pupi e alle gabrielle facendo a botte con sintassi, grammatica e congiuntivi   Detto ciò, ci domandiamo che cosa capiterà all’ineffabile pubblico ministero che evidentemente sulla scorta di nulla  che fosse uno straccio di prova,  dispose l’arresto di Vittorio Emanuele, il suo trascinamento per un migliaio di chilometri a bordo di un’auto poco più che utilitaria sino al carcere di Potenza, il suo mantenimento in quel carcere come un qualsiasi delinquente, salvo poi vedere smontare le sue accuse dal GUP che, notoriamente, si esprime sugli atti, gli stessi usati per arerstare Vittorio Emanuele dal  signor Woodcock  ora trasferito a Napoli, dove, immaginiamo, continua a istruire indagini, tipo quello sulle veline, anch’esso, come quella   su Vittorio Emanuele, costruita sul nulla. Pagherà il signor Woodcock come qualsiai altro funzionariuo pubblico che sbagli, per esempio come i medici che litigano in sala parto? L’esperienza ci insegna che il signor Woodcock non pagherà un bel nulla e come sempre in Italia “chi ha dato ha dato…”. g.

MONTECARLO: ECCO LA PROVA DEFINITIVA

Pubblicato il 21 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

ULTIMORA (DA DAGOSPIA)

ECCO LA FOTOCOPIA DELLA LETTERA CON LA QUALE IL 16 SETTEMBRE IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA DI SANTA LUCIA, L. RUDOLPH FRANCIS, COMUNICA AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DELLE FINANZE DELL’ISOLA CARAIBICA CHE IL BENEFICIARIO REALE DELLE SOCIETÀ PRINTEMPS LTD E TIMARA LTD ALTRI NON È CHE IL SIGNOR GIANCARLO TULLIANI

imgE’ questo quanto pubblica a tarda notte il noto sito gossip DAGOSPIA. Dagospia pubblica la fotocopia della lettera datata 16 settembre 2010, ripresa da un sito dell’isola caraibica di Santa Lucia che l’ha pubblicata sebbene riservata.
Se la notizia e la fotocopia della lettera del ministro della Giustizia di Santa Lucia sono vere, inchioderebbero definitivamente l’on. Fini almeno sul piano etico e morale perchè non solo egli avrebbe  “favorito”  il cognato, ma avrebbe mentito agli italiani sulla reale dinamica di questa storia assai brutta.

ecco la traduzione della lettera riportata sopra

Caro Primo ministro,

in base alle informazioni ricevute su una possibile pubblicità negativa ho chiesto al direttore servizi finanziari del Ministero di investigare su una rete di società. La nostra richiesta è legata a recenti informazioni di stampa su giornali internazionali che coinvolgono società sotto la giurisdizione di St. Lucia (…) Abbiamo indagato sulle seguenti società: Printemps Ltd, Timara Ltd e Jaman Directors Ltd. Queste società sono collegate all’acquisto di una casa a Monaco, che era di proprietà di un partito politico italiano. Le società sono rappresentate dallo stesso agente, Corporate Agent Ltd, e condividono lo stesso indirizzo al numero 10 di Manoel Street, Castries, St. Lucia. In relazione agli obblighi degli agenti registrati a St. Lucia è stata avanzata una richiesta di informazioni ai corrispondenti della Corpag services Usa. I corrispondenti, tramite Mr. James Walfenzao hanno risposto di aver condotto un’indagine della situazione e disposto una visita a Monaco al Notaio Paul Luis Aureglia, responsabile della compravendita della proprietà (…) trasferita alla Printemps Ltd e poi alla Timara Ltd (…)

Dai documenti dei corrispondenti, è stato anche possibile accertare che il beneficiario e proprietario della società è il Sig. Giancarlo Tulliani che ha dato mandato per conto della società di utilizzare i servizi di Jason Sam e Corpag Services Usa (…)

Rudolph Francis (Ministro della Giustizia)

C’E’ UNA DESTRA CHE INGANNA, editoriale di Mario Sechi

Pubblicato il 21 settembre, 2010 in Politica | No Comments »

L’editoriale di Mario Sechi, direttore de Il Tempo

Dio è morto, Marx è morto e neanche io mi sento tanto bene. Mi viene in mente questa battuta di Woody Allen se penso allo scenario politico italiano dove in entrambi i poli le cose non mi pare vadano alla grande. Alla situazione ormai patologica del Partito democratico, s’è aggiunta infatti una surreale crisi del Popolo della Libertà. La formazione politica fondata da Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini è finita in una situazione paradossale: vincente in tutte le ultime tornate elettorali a vario livello, si ritrova a dover raccattare qua e là i voti per assicurare al governo una maggioranza autosufficiente. Il presidente della Camera ha deciso non di dar vita a una minoranza interna, ma a un vero e proprio gruppo d’opposizione al partito. In queste condizioni, la scissione è automatica e tutti i discorsi sul pluralismo interno, la dialettica e la libertà non c’entrano proprio nulla con quel che s’è creato, cioè un partito allo stato nascente. Neanche la pazienza di Giobbe può reggere un simile pasticcio.

E infatti la rottura è arrivata, il divorzio tra Silvio e Gianfranco s’è consumato con gran frastuono di piatti e bicchieri. Ora siamo quasi giunti al primo vero giro di boa di questa storia italiana: mancano sette giorni al discorso del Cavaliere in Parlamento, quello dove non si misureranno solo i voti (fondamentali) ma anche le intenzioni e il programma del governo e le risposte del gruppo dei finiani. Il problema non è nei numeri (non mancheranno) ma nel profilo politico che si vuol dare alla legislatura. Molto dipenderà da quello che dirà il presidente del Consiglio in Parlamento. So che sta già lavorando al suo discorso, mi permetto non di dargli dei consigli, ma di mettere nero su bianco cosa si aspetta un liberale da un leader come Berlusconi in questo frangente delicatissimo.

Sulla mia scrivania c’è un libro di Raymond Aron intitolato «Saggio sulla Destra». É un libro scritto nel 1957 e la sua attualità è sconvolgente. Aron, uno degli intellettuali più influenti del Novecento, indaga il rapporto complicato tra la destra e la modernità, tra un sistema di valori e le sfide che la società nel suo dispiegarsi sbatte in faccia alla politica. Sono almeno due le domande che dobbiamo porci: esiste ancora la destra della legge, della gerarchia, dell’ordine, della tradizione? E questi valori sono ancora attuali di fronte a una società in cui questi pilastri sembrano esser stati picconati per lasciar posto a una spensierata libertà che si traduce in diritti senza più doveri? Potrebbe sembrarvi, cari lettori de Il Tempo, un discorso astratto, accademico, troppo alto per un Palazzo in cui, in fondo, si pensa a tirare a campare e poi si vedrà. Invece no. Questo è il nocciolo del problema, qui sta il vero dissidio in corso tra Berlusconi e Fini, qui risiede la ragione ultima dello scontro tra i due, qui stanno i motivi per cui la pace è impossibile e una tregua contrattata sul voto determinante dei finiani per il governo può esser più letale di una guerra.

Se la destra rappresentata dal Pdl è multiforme e declinabile in una parola, berlusconismo, quella finiana è a dir poco qualcosa di bizzarro. Un tempo diceva di guardare alla politica neogollista di Nicolas Sarkozy, ma la visione del presidente francese è qualcosa di più articolato di un commento di Fare Futuro o un comizio a Mirabello. Sarkozy sta consumando giorno dopo giorno la sua «rupture», la rottura con alcuni consolidati stereotipi della politica francese. Parigi ha vissuto sulla sua pelle la rivolta degli immigrati nelle banlieu, gli incendi nelle periferie e Sarkozy non ha esitato un minuto a chiamare «racaille», feccia, gli autori di quei disordini.

In Italia i finiani sono impegnati in un percorso culturale inverso: hanno in mente un modello di integrazione degli stranieri simile a quello già fallito in mezza Europa, sono per la cittadinanza breve, per il voto rapido a tutti, in generale per una forte accelerazione nel rilascio di diritti. Il problema è che si parla poco dei doveri. E immigrazione vuol dire economia, lavoro, identità nazionale. Su questo tema il Pdl ha idee opposte a quelle di Fini. Speculare è anche l’atteggiamento su un problema delicato e socialmente dirompente come quello dei Rom. Tema di portata europea che Sarkozy ha affrontato con durezza. Gianni Alemanno – un uomo che viene dalla destra un tempo finiana – a Roma ha fatto da apripista sgomberando il più grande campo nomadi d’Europa, il Casilino 900. Che dice Fini? Su inizio e fine vita il leader di Fli ha idee più vicine a quelle del Pd che a quelle della destra classica, così pure su alcune linee guida della nostra politica estera, sull’autonomia del Paese nelle relazioni internazionali, sulla necessità di assicurarsi l’indipendenza energetica prescindendo dagli interessi strategici degli Stati Uniti ma confermando il nostro ruolo nella Nato e nelle missioni Onu, sul ruolo più dinamico che oggi ricopre la Farnesina. Se Berlusconi è un ibrido intriso di pragmatismo, Fini non può certamente considerarsi la destra italiana. Non lo può essere perché ha consumato uno strappo definitivo con la sua storia personale, politica e collettiva. Ha preso un’altra strada, ma accusa i suoi ex colonnelli di averlo tradito. Paradosso dei paradossi.

Assistiamo, inoltre, a una metamoforsi kafkiana per cui gli ultimi sedici anni di scelte politiche sulla giustizia, sul ruolo delle procure, sullo squilibrio mostruoso tra accusa e difesa, vengono cancellati da Fini con un colpo di spugna, come se non vi avesse mai messo il timbro. E vediamo un suo fedelissimo, Fabio Granata, addirittura rimproverargli di essere troppo morbido, non in linea con il dogma del neogiustizialismo futurista che si avvicina spericolatamente al dipietrismo. Collaterale a colui che è l’espressione massima dell’antisistema di regime, cioè quell’Italia dei Valori che gioca elettoralmente allo sfascio ma vive e prospera nella denuncia dello sfascio e dunque, di fatto, è perfettamente incastonata e funzionale al regime che si propone di abbattere con furia cieca.

Queste sono contraddizioni pesanti che il discorso parlamentare di Berlusconi, con finezza dialettica, deve esser in grado di far emergere. L’inganno va smascherato. In gioco non c’è solo il voto del Parlamento, ma il giudizio degli italiani.

.…… Sin qui Mario Sechi. Alle sue puntuali considerazioni  sulle ormai molteplici contraddizioni dell’on. Fini (qualcuno, crudemente, le chiama:tradimenti!) ne vogliamo aggiungere una nostra. L’on. Fini, e qualche suo epigono (Urso, Bocchino, Ronchi, e quel bel tipo di Granata), ad ogni piè sospinto ci sommergono  di parolone sul loro “progetto politico di una destra nuova, diversa,  europea,  moderna”. Francamente non siamo mai riusciti a capire cosa ci sia dietro queste belle parole che sono buone per tutti gli usi. Tutti vogliamo essere diversi, europei, moderni., senza però venir meno ai nostri Valori e ai nostri principi. A proposito di modernità, però, ci viene un dubbio. Che l’on. Fini e i suoi compari l’abbiano confusa con il passato, anzi con il vecchio. Perchè l’operazione a cui  i finiani, benedetti da Fini e capeggiati da Granata, stanno partecipando in Sicilia, dove il presidente della  Regione, Lombardo,  ha varato oggi il suo quarto governo in due anni (uno ogni sei mesi…come nella tanto deprecata prima repubblica) non è nè nuova, nè diversa, nè europea, nè tantomeno moderna. E’ la fotografia di un passato che ha più di 50 anni, tanti quanti ne sono passati da quando in Sicilia l’on Milazzo, democristiano,  varò  alla Regione un governo  di democristiani con l’aiuto  concordato di  missini e comunisti. Si chiamò milazzismo, durò poco e fece tali e tanti danni da far inorridire i ben pensanti siciliani e non solo loro. 50 anni dopo in Sicilia si torna ad un nuovo milazzismo che ora può ben chiamarsi “lombardismo”, che si avvale, come 50 anni addietro,  dei voti  e del sostegno di ex missini e di ex comunisti. E questa sarebbe la destra nuova, diversa, europea e moderna di Fini e compagni 8è il caso di dire!)? Andiamo, Fini, Questa è la destra che 50 anni fa in Sicilia si identificò con i “sette cavalieri della tavola rotonda”, come furono apostrofati, per dileggio, i sette consiglieri regionali missini che tradendo gli elettori fecero pappa e ciccia  con i comunisti. E ora come dovremo chiamare i consiglieri finiani che in Sicilia  siederanno alla stessa mensa dei post comunisti? g.

LA CASA DI MONTECARLO: IL MISTERO CHE FINI SI OSTINA A NON SPIEGARE. ALLA FACCIA DELL’ETICA E DELLA LEGALITA’

Pubblicato il 21 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

Gian Marco ChiocciMassimo Malpica

Era ora, carta canta. Fra stecche rogatoriali e stonature procedurali, con gran fatica è finalmente arrivata in procura a Roma una parte dei documenti, richiesti senza eccessi d’entusiasmo dagli inquirenti capitolini alle autorità monegasche, che dovrebbero aiutare a fare luce sugli eventuali illeciti commessi nella compravendita della famosa casa di Montecarlo. Quella lasciata in eredità ad An da Anna Maria Colleoni, svenduta a una fiduciaria off-shore, da questa ceduta a una gemella e, a oggi, ancora abitata dal cognato del presidente della Camera, Giancarlo Tulliani.

LA ROGATORIA «SALVA TULLIANI»

Il plico giunto dal Principato di Monaco conta una sessantina di pagine in tutto – in grandissima parte si tratta di materiale già scovato e pubblicato in cinquanta giorni dal Giornale – che dunque diventano ora ufficialmente materia di indagine per quei pubblici ministeri della Capitale sempre più restii a convocare colui che sembra invece ricoprire un ruolo chiave nell’operazione immobiliare fra Roma, i Caraibi e Montecarlo: Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Gianfranco Fini, Elisabetta.
Testimone preziosissimo, perché fu lui a segnalare al «cognato» l’interesse per l’immobile monegasco da parte di una società che poi effettivamente acquistò, a un quinto del valore di mercato, l’appartamento da An, e perché alla fine della strana, doppia compravendita tra il partito di via della Scrofa e le società off-shore gemelle fu, casualmente, sempre lui a ritrovarsi come inquilino nel medesimo immobile.

A Roma gli atti ricevuti ieri sono stati definiti «incompleti». Ma a quanto negli ultimi giorni facevano sapere nel Principato, a essere carente e vaga sarebbe stata la rogatoria inviata all’estero dalle toghe romane, inoltrata quando buona parte degli atti e delle testimonianze raccolte dal Giornale non erano ancora state pubblicate, ampliando i confini di un affaire politico-immobiliare che sempre più imbarazza Fini e i suoi familiari.

Per questo motivo il procuratore capo, Giovanni Ferrara, ha inviato a Montecarlo un supplemento di rogatoria, chiedendo carte che possano meglio inquadrare il reale valore dell’immobile, oltre agli accertamenti fiscali collegati alla dichiarazione di successione sul testamento della contessa Colleoni che donò il suo appartamento ad An. Il valore dato all’appartamento di Boulevard Princesse Charlotte, a Montecarlo, in sede di successione e poi nei diversi passaggi di proprietà. Addirittura il carteggio riservatissimo è stato inviato, per rogatoria, all’indirizzo sbagliato: a piazza Cavour, presso la Cassazione, anziché a piazzale Clodio, sede della procura della Repubblica.

MA IL COGNATO DI FINI È ANCHE IL PROPRIETARIO?

Ma cosa contiene il plico monegasco che da oggi dà un po’ di spessore al fascicolo d’indagine, tenendo compagnia ai verbali del tesoriere e dell’amministratore di An, Francesco Pontone e Donato Lamorte, del senatore ex An Antonino Caruso e della segretaria di Fini, Rita Marino? Tra le altre carte, c’è anche il documento del contratto di affitto tra Timara e Tulliani, pubblicato nei giorni scorsi dal Giornale, quello in cui le firme di locatario e affittuario sono identiche. La procura lo ha definito «nota di trascrizione sul pubblico registro del contratto», ma in realtà è qualcosa di più: un «avenant», ossia un accordo che modifica un elemento del contratto di locazione originario. È l’atto ufficiale a disposizione delle preposte sedi monegasche (Ufficio del registro, il comando di polizia della Sûreté Publique, l’associazione delle agenzie immobiliari). Detto questo, in Procura è arrivato anche il contratto iniziale al quale l’avenant fa riferimento. E anche se ovviamente non c’è stato il tempo per procedere con perizie calligrafiche, sulla prima scrittura le firme dei contraenti (che dovrebbero essere Tulliani e la Timara) sarebbero diverse. Sarà necessario capire il motivo di questa vistosa discrepanza tra i due documenti, ma d’altra parte gli elementi di «confusione» tra affittuario e locatario, in questa storia, sono molteplici. C’è anche la bolletta della luce, intestata a Tulliani, pagata da Tulliani ma domiciliata a casa di James Walfenzao, l’intermediario e consulente fiscale che ricopriva incarichi di rappresentanza nelle fiduciarie che controllavano le due off-shore, Printemps e Timara.

UTENZE E DOMICILI OVVIAMENTE OFF SHORE

E c’è la richiesta di pagamento di spese condominiali spedita dal Syndic Michel Dotta a casa Tulliani, ma intestata curiosamente «Timara ltd-(Mr Tulliani)». Comunque, se le firme sul contratto primigenio ora in possesso dei pm romani sono leggibili, sarà molto interessante sapere chi firma l’atto per conto della Timara. Le altre carte giunte oggi in procura i lettori del Giornale le conoscono bene. Si tratta degli atti di compravendita dell’appartamento tra An e Printemps prima (l’11 luglio del 2008) e Printemps e Timara poi (15 ottobre dello stesso anno). Accompagnate da allegati, certificati, procure. Carte che raccontano il doppio rimbalzo della casa della contessa Colleoni dal partito a cui la donna l’aveva donata alla fiduciaria che l’ha affittata al «cognato» di Fini. Sul primo di quei contratti c’è scritto nero su bianco il prezzo di vendita della casa: 300mila euro. Il dettaglio che finora più ha appassionato la procura di Roma. E, in fondo, l’elemento più sconcertante dell’intera storia, visto che l’immobile che avrebbe dovuto e potuto finanziare la «buona battaglia» con un considerevole afflusso di denaro nelle casse del partito è stato invece ceduto a un quinto almeno del suo valore di mercato.

UN’ALTRA COINCIDENZA SULL’ENNESIMA SOCIETÀ

E se gli investigatori si dovessero appassionare anche ai risvolti fiscali della vicenda, quei due contratti spiegano molto bene quanto il sistema di società sia stato architettato per non far risalire al reale acquirente della casa. Due fiduciarie off-shore «coperte», il cui proprietario resta misterioso, ma a loro volta controllate da altre fiduciarie. Un gioco che lo specialista Tony Izelaar ha spiegato qualche giorno fa a un cronista di Libero accennando a una società utilizzata come «azionista visibile», parlando di Janum. Probabilmente il riferimento è alla Janom Partners ltd, ossia a una delle altre due fiduciarie che appaiono nei contratti (l’altra è la Jaman Directors). In pratica Walfenzao e Izelaar controllavano Printemps e Timara in qualità di “ad” di Janom e Jaman. Scatole vuote, ma «trasparenti». Il cui nome può essere speso con le autorità straniere, italiane per esempio, che potrebbero voler chiedere chi c’è dietro alla offshore che ha fatto affari col partito di Fini. E allora, come dice candidamente Izelaar, «noi indichiamo Janum o qualche altra società, non il vero cliente». Già, chi è il vero cliente?

IL GIORNALE – 21 SETTEMBRE 2010

DA MONTECARLO ARRIVANO LE CARTE SUI FINI-TULLIANI MA SONO INCOMPLETE. NECESSARIA NUOVA ROGATORIA INTERNAZIONALE PERCHE’ LA VERITA’ VENGA A GALLA. E FINI RESPIRA

Pubblicato il 20 settembre, 2010 in Il territorio | No Comments »

L’on. Fini, presidente  politicamente abusivo della Camera dei Deputati

Non vuole proprio venire fuori la verità sulla vicenda monegasca che da ormai due mesi vede Gianfranco Fini sul banco degli imputati. L’arrivo dal Principato di Monaco delle carte relative alla compravendita dell’immobile lasciato in eredità dalla contessa Anna Maria Colleoni ad Alleanza Nazionale, infatti, non faranno luce sulla vicenda, essendo state giudicate incomplete dagli inquirenti romani.

Necessaria una seconda rogatoria internazionale, quindi, con il procuratore Giovanni Ferrara e l’aggiunto Pierfilippo Laviani che hanno chiesto una serie di accertamenti di natura fiscale (soprattutto per definire l’esatto valore dell’appartamento di Boulevard Princesse Charlotte 14 in sede di successione) e una integrazione di atti ulteriori.
Per gli inquirenti questo  supplemento di rogatoria richiederà un’attesa di altri giorni e imporrà un momentaneo stop al calendario di audizioni. Fini, quindi, non verrà ascoltato nei prossimi giorni.

Prima di questa fumata grigia, infatti, i magistrati avevano intenzione di convocare al più presto il presidente della Camera per chiarire soprattutto le novità circa il contratto della casa di Montecarlo: sul documento, depositato all’ufficio del registro del Principato e firmato a Monaco il 24 febbraio del 2009,  due firme appaiono identiche: quella del proprietario (la società Timara Ltd) e quella dell’affittuario.

di Gianluigi Nuzzi –
La procura di Roma, subito dopo aver ottenuto la risposta alla rogatoria monegasca e aver sentito alcuni altri testimoni dell’indagine sulla compravendita immobiliare nel principato, ascolterà Gianfranco Fini. Il procuratore capo della capitale non ha ancora formalizzato la richiesta, ma gli inquirenti danno per assai probabile la deposizione dopo che saranno valutate le carte sulla vendita da parte di An dell’appartamento di rue Princesse Charlotte 14 a duecento metri dal Casinò.
L’idea di sentire sia Giancarlo Tulliani sia il presidente della Camera ha cominciato ad assumere consistenza con le incongruenze che emergono dalle testimonianze raccolte, dal fascicolo degli articoli che in qualche modo anticipano anche notizie sollecitate per via rogatoriale.  Gli inquirenti hanno anche inserito nel fascicolo le varie verità pubblicamente sostenute dagli interessati, sia con interviste e battute sui giornali, sia in interventi a programmi televisivi. La cautela del procuratore Ferrara, che intende chiudere il fascicolo al più presto, è motivata anche dalle esigenze “istituzionali” che una terza carica dello stato, chiunque sia, richiede.
Così, è assai probabile che la deposizione come teste potrebbe avvenire direttamente alla Camera, se  sarà questa la volontà di Fini. Non è però escluso – osservano gli inquirenti – che il testimone chieda di poter esser sentito direttamente a palazzo di Giustizia come un qualsiasi altro testimone, disinnescando quindi un privilegio che potrebbe essere letto dagli elettori come l’ennesimo “effetto-casta”. O che, peggio, qualcuno potrebbe interpretare come volontà di nascondersi.
«Rispettare i pm»
Nell’entourage di Fini la notizia della possibile deposizione in apparenza non coglie di sorpresa: ci si rimette ancora alle parole del leader quando, dai microfoni di Mirabello e da Enrico Mentana, annunciava che avrebbe atteso la conclusione dell’inchiesta per «rispettare la magistratura». E che tutti – a parole – vogliano la conclusione delle indagini per conoscere la verità sembra una realtà assodata. Basti pensare cosa accade in queste ore in una Montecarlo attraversata da altre inquietudini.
Non sono cose reali, ci mancherebbe. E ovviamente il principe Alberto ben si guarda dall’assumere posizioni ufficiali sulle controverse operazioni immobiliari del “cognato” di Gianfranco Fini. Ma quello che filtra  dagli ambienti a lui più vicini è un profondo fastidio per gli effetti che questa vicenda può produrre sul Principato. È da diverso tempo che con vari sforzi e fissando norme bancarie sempre più intransigenti si vuole, si cerca di allontanare progressivamente chi ha guastato l’immagine di Montercarlo. L’assenza totale dei seppur presenti episodi di cronaca nera, il rafforzamento degli impianti di videosorveglianza, le norme anti-riciclaggio introdotte puntano proprio al colpo d’immagine. La storia di Giancarlo Tulliani, di grande impatto sulla benestante comunità italiana, i riflessi politici, gli intrecci finanziari nei paradisi fiscali che emergono hanno fatto assumere diverse iniziative  informali. Innanzitutto, si è provveduto a un rapido focus sulla vicenda che ha permesso di ottenere il quadro di insieme. Poi si sono attese le iniziative rogatoriali per chiudere presto l’incidente.
La ferrari sospetta
Ma su questo secondo fondamentale aspetto aleggia una sorta di mistero. Qui a Monaco, infatti, consultando i pochi ben informati sulla rogatoria e sulle volontà  della Casa, sembra che le risposte siano già partite o pronte a partire alla volta di Roma e, soprattutto, non si nasconde un certo stupore per quanto fossero limitati gli interrogativi posti dalla procura di piazzale Clodio.  Al tempo stesso, sta muovendo i primi passi un’indagine  proprio per verificare come sia stata venduta la casa e se, eventualmente, alcune parti del pagamento siano state compiute in nero, visto il prezzo sottomercato di entrambe le cessioni. Una verifica a tutto tondo su Giancarlo Tulliani da parte delle autorità fiscali monegasche? È ancora presto per dirlo. Di certo qui le mosse sono tutte molto ovattate: non si vuol dare l’idea di fare i conti in tasca a un ricco residente. Ricco tanto da comprarsi la Ferrari che lavò senza accorgersi dei paparazzi qualche settimana fa. Da una verifica risulta infatti che la targa monegasca del bolide sia intestata direttamente a lui. Insomma, almeno su questo fronte non compare nessuna società offshore, per una volta.
A sentire invece le voci ufficiose dalla procura di Roma, i magistrati italiani si lamentano perché ancora non è arrivato nulla in ufficio.  E senza quei documenti non si possono fare passi avanti nel procedimento che sta comunque condizionando la vita politica della maggioranza. Si è come in una sorta di stallo investigativo: solo gli atti monegaschi possono dare l’attesa accelerata.