Silvio Berlusconi Fatta la guerra, scoppia la pace. Chi ha sentito ieri Silvio Berlusconi illustrare il suo piano per andare avanti, proseguire la legislatura, e puntare al 2013, probabilmente penserà di aver sognato per tutta l’estate. Che ne è della lotta fratricida fra Silvio e Gianfranco? Della casa di Montecarlo del cognato in affitto? Delle accuse futuriste contro il partito azienda e il satrapo di Arcore? Che fine hanno fatto le pirotecniche esternazioni di un Filippo Rossi qualsiasi, gli assalti alla Granata bianca, le puntigliose e fantasiose ricostruzioni da spy story di un maestro della fiction come Italo Bocchino? E il Cav furente, quello che ora basta si va alle elezioni dov’è? Tranquilli, qualche mese fa non avete assunto nessuna sostanza stupefacente, era tutto vero, ma la politica è fantastica proprio per questo: le sue vie sono (quasi) infinite come quelle del Signore e non finisce mai di stupirci.

Le elezioni? Roba archiviata. O meglio, tenuta nel cassetto come una pistola d’ordinanza, la colt di certi sceriffi che sembrano sonnacchiosi ma in realtà sono più svegli che mai. L’avevo detto e scritto in tutte le maniere, naturalmente quelli che la sanno sempre lunga, mi avevano preso per matto. Quando, qualche sera fa, durante un dibattito televisivo dicevo ai miei interlocutori che non avrei mai scommesso a breve sulle elezioni, mi guardavano come un extraterrestre, uno sprovveduto marzianetto al quale bisognava insegnare le cose grandi della politica. E invece toh! Tra i due litiganti c’è un armistizio di ferro dettato dall’ingrediente che il sottoscritto quando si occupa di politica non dimentica mai di mettere nel conto: la paura. Quella che i giornaloni non mettono mai sul piatto della bilancia perché non provano a mettersi nella testa di chi fa politica, ma provano essi stessi a far politica. Così quasi sempre si arriva a un solo risultato: si scambiano i propri desideri per fatti veri, le proprie aspirazioni per incontestabili realtà, le proprie psicosi per nemici da abbattere o sprovveduti da elevare a statisti. Fini e Berlusconi, in realtà, sono costretti a camminare ancora insieme. Che a loro piaccia o meno le elezioni rappresentano per entrambi un rischio troppo grande. Il Cavaliere ha il dovere di governare, e il voto è l’ultima ratio di fronte a una crisi.
Fini può fare tutti i partiti che vuole, anche quelli futuristi e immaginari, ma alla fine non sapendo quanto vale realmente deve solo prendere atto che la sua forza è anche la sua debolezza, cioè il fatto che neppure lui lo ha mai pesato elettoralmente. Fini già nel 1999, come ricordavo ieri provò il colpaccio nei confronti del Cav mettendo in pista un Elefantino celebrato dai giornali come l’arma finale contro l’allora Forza Italia e invece rivelatosi il classico topolino in mezzo ai titani. Qualcuno dirà che questo è un momento diverso, che il Cavaliere è spompato, è vecchio, privo di quel mordente e di quella fantasia che l’hanno reso un incubo per i suoi avversari. Questa storia l’ho già sentita, la sostengono un sacco di amici che conosco ma nessuno di loro ha ancora capito che il berlusconismo è preesistente a Berlusconi e finchè non ci sarà un altro cavaliere quell’elettorato, quel popolo, quel tipo italiano non voterà mai né la sinistra, né una finta destra e, men che meno, un terzo polo o centrino costruito a tavolino. L’era Berlusconi finirà quando lo decideranno gli elettori non il salotto, la terrazza, il boudoir, l’establishment e tutta quella paccottiglia polverosa che non accetta mai la sovranità del popolo.
Berlusconi, ovviamente ha dei limiti: 1) è anziano, questo lo sanno tutti, lui per primo. Non deve occuparsi della sua successione, a quella, ripeto, ci penseranno gli italiani, ma di continuare a governare (bene) e costruire un partito solido come sua eredità politica; 2) Deve ricostruire e variare la sua rete di alleanze. Non solo quelle partitiche, ma anche quelle nella società civile, nell’industria, nelle categorie, nel popolo, un po’ dimenticato, delle partite Iva che chiede un fisco dal volto umano. 3) Deve fare le riforme. Non una roboante serie di leggi, ma due o tre provvedimenti che restino scolpiti nella memoria: riequilibrare il rapporto tra politica e giustizia, ristabilendo il primato del parlamento sulla magistratura; riformare il fisco gradualmente e combattere l’evasione. 4) Pompare una vera e propria montagna di denaro nella scuola, nell’università e nella ricerca. Quest’ultimo punto viene prima di tutti gli altri perché se Berlusconi vuole essere ricordato da chi oggi ha vent’anni e da quei genitori che ne hanno quaranta, deve assicurare un futuro ai giovani e a questo Paese. Tre anni sono sufficienti per fare molte cose. Tutte tranne una, quella che gli italiani oggi non capirebbero: le elezioni. Ora mettetevi a lavorare.