Franco Bechis per “Libero

Fini fotografato con il cognato

Se fosse stato celebrato un processo indiziario sulla proprietà della casa di Montecarlo, non ci sarebbe bisogno di grandi carte provenienti dai paradisi fiscali: qualsiasi tribunale italiano avrebbe sentenziato che quella casa è di Giancarlo Tulliani. Ci sono state condanne per omicidio in presenza di indizi assai meno forti di quelli che hanno già messo spalle al muro il cognato di Gianfranco Fini. Primo indizio, schiacciante: sul luogo del delitto, a Montecarlo, c’è lui e non altri.

Secondo indizio, non meno forte: la tecnica del delitto è stata suggerita proprio dal giovane Tulliani. È stato Gianfranco Fini infatti ad ammettere ufficialmente di avere venduto quella casa a una società che aveva trovato proprio il cognato. Altri indizi: dicono che sia sua il ministro della Giustizia dell’isola di Santa Lucia, l’amministratore della società proprietaria Timara in una e-mail inviata ai primi di agosto, l’impresa che ha fatto i lavori di ristrutturazione dell’appartamento, i dipendenti di un mobilificio che hanno venduto una cucina finita nel principato di Monaco, e perfino i vicini di casa.

la casa di Montecarlo

C’è bisogno di una ulteriore prova? Forse della confessione, ma lì è inutile sperare. Certo – giusto per fare un esempio fra i tanti – Anna Maria Franzoni è stata condannata per omicidio del figlio in presenza di meno indizi forti di questi. L’esempio serve solo a fare capire cosa è un processo indiziario. Naturalmente Tulliani non è accusato di alcun omicidio: solo di avere graziosamente ricevuto dal partito del cognato presidente della Camera un appartamento (necessario a ottenere la residenza all’estero) a un prezzo di assoluto favore. Ma attenzione: si tratta di grande favore, come direbbero i matrimonialisti «rato e solo in parte consumato».

Piantina di Montecarloe la  casa abitata da Tulliani dal Corriere dell Sera

Solo in parte, perché Tulliani lì abita e probabilmente ha anche la proprietà della casa. Ma il vero vantaggio rischia di arrivare ora, con la scusa di obbedire al presunto diktat di Fini al cognato: «lascia quella casa!». Secondo gli abitanti dell’ormai celebre palazzo al 14 di Boulevard Princesse Charlotte negli ultimi giorni un agente immobiliare è venuto a fare visitare a presunti compratori quella casa che la contessa Anna Maria Colleoni lasciò in eredità ad Alleanza nazionale «per la buona battaglia».

Se questo atto fosse davvero compiuto, allora sì che si rischierebbe di vedere consumato fino in fondo il reato. Perché chi ha acquistato a 300-330 mila euro oggi potrebbe vendere nella peggiore delle ipotesi a un milione di euro in più. Ma forse anche guadagnandoci un milione e mezzo di euro. Somma che per il codice penale italiano sicuramente costituirebbe un illecito arricchimento indipendentemente da chi sia il proprietario della Timara Ltd.

Il caso però diventerebbe assai più grave dopo la vendita se il proprietario – come tutti gli indizi dicono – fosse proprio Tulliani. Perché quel milione-milione e mezzo di plusvalenza sarebbe stato sottratto ad Alleanza Nazionale per finire nelle tasche della famiglia Tulliani, cui è legato Fini da un sicuro vincolo sentimentale (non giuridico, visto che il presidente della Camera risulta ancora sposato con Daniela di Sotto). Quella vendita oggi farebbe ancora diventare più grave una vicenda su cui si sono addensate troppe ombre.

Con un’inchiesta in corso, che c’è davanti alla procura della Repubblica di Roma con l’ipotesi di truffa, si tratterebbe di sottrazione dell’oggetto del presunto reato. E in ogni caso quella casa o quella plusvalenza dovrebbe prendere una sola strada possibile: quella della tesoreria di Alleanza Nazionale, a cui la somma è stata sottratta colpevolmente o dolosamente. Di Alleanza Nazionale. Non del nuovo partito che stanno per fondare alcuni ex aderenti