HANNO PAURA DEI GIORNALI, editoriale di Mario Sechi
Pubblicato il 9 ottobre, 2010 in Il territorio | Nessun commento »
I giornali che hanno una forte identità culturale ed esprimono idee forti oggi sono i protagonisti della politica italiana. Politica che s’è persa tra le nebbie, travolta da una magistratura che ha esondato al punto da essere più forte del legislatore.
A occhio e croce mi pare che il Paese sia lievemente impazzito e faccia una grande fatica a riprendere il lume della ragione. Andiamo con ordine.
1. Il Giornale decide di fare un’inchiesta giornalistica su Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria. La signora critica il governo. Fa il suo mestiere. I giornalisti fanno il loro e decidono di vedere se ella fa parte del club di quelli che predicano bene e razzolano male oppure se siamo in presenza di una persona virtuosa dalla quale prendere esempio.
2. I cronisti contattano le più varie fonti, parlano, fanno battute, intrattengono quelle relazioni ruvide o amichevoli che sono il sale di questo mestiere.
3. Una procura capta le telefonate e non capendo un accidente di come funzionano i giornali gira un film da James Bond.
4. Vittorio Feltri, Alessandro Sallusti e Nicola Porro, tre chiari pericoli pubblici, finiscono sotto inchiesta per non si sa bene quale motivo.
5. In qualsiasi democrazia rispettabile tutti gli altri giornali avrebbero scritto che siamo in presenza di un attacco alla libertà di stampa. In Italia no.
6. La presidente degli industriali, editore di un giornale che si chiama Il Sole 24Ore, sembra non cogliere il fatto che una simile iniziativa della magistratura, se avallata, potrebbe minare l’attività anche dei giornalisti del principale giornale economico italiano. Le notizie non arrivano per intercessione dello Spirito Santo o della mano di Confindustria.
7. Dalle intercettazioni apprendiamo che per il portavoce della signora Marcegaglia il direttore de Il Sole 24Ore è stato nominato con la benedizione di tutti, Silvio Berlusconi, la sinistra e i padroni del vapore. Nessuno sente il bisogno di smentire, di dire che Gianni Riotta è stato chiamato al suo posto per merito e non per altre vie piuttosto brevi.
8. La presidente Marcegaglia dichiara urbi et orbi: «Vado avanti». Se non siamo indiscreti: dove? Sarebbe bello capirlo, perché così qui a Il Tempo possiamo riempire i tasselli di questo mosaico che si sta facendo intrigante e davvero istruttivo.
9. En passant, dal polverone sollevato sui colleghi di via Negri, si leva una notizia vera: a Napoli vogliono vederci chiaro su alcune operazioni che riguardano i rifiuti di Napoli e anche le imprese della famiglia Marcegaglia. Tutti dimenticano di mettere in bella evidenza questo dettaglio. Qui per noi sono tutti presunti innocenti.
10. Largo Fochetti si sveglia e Repubblica lancia in campo la penna di Giuseppe D’Avanzo, gran giornalista, ma ogni tanto troppo innamorato delle teorie del complotto. Il commissario Davanzoni ignora come funzionano le cose a Il Giornale e soprattutto dimentica che anche in via Negri e in altri quotidiani ci sono dei giornalisti piuttosto svegli e svelti.
Sono dieci punti fermi di questa storia, ma potrei arrivare a venti e continuare in un rosario surreale. Quando abbiamo appreso la notizia dell’inchiesta sui colleghi de Il Giornale in riunione di redazione siamo scoppiati a ridere. Poi ci siamo detti: non si può fare questo mestiere se un pincopallino qualsiasi ti mette sotto inchiesta perché cazzeggi al telefono, fai il duro o il tenero con una fonte e non capendo un fico secco ti fa diventare un criminale. Libertà di stampa adieu. La verità è che i giornali che hanno una forte identità culturale e gusto per l’inchiesta oggi sono i protagonisti della politica italiana. Fanno l’agenda. Loro malgrado, sono diventati veri giornali-partito perché a differenza della politica esprimono idee forti. Sono quasi sempre fastidiosi per il potere e non inquadrabili – a destra e a sinistra – nella logica dell’establishment che ha un obiettivo contrario: sopire, silenziare, imbavagliare. Ecco perché Fini si schiera con la Marcegaglia e dimentica cosa diceva ai tempi della legge sulle intercettazioni. Gli fa comodo il silenzio e cerca l’appoggio dei poteri forti. La crisi del 2008 ha rivoluzionato l’editoria, in edicola sopravvive solo chi ha identità forte, cura il rapporto con il lettore, fa inchieste e dice da che parte sta. Tutto chiaro, nessun inganno. Lo fanno i direttori di Repubblica, Il Fatto, Il Giornale, Libero, Il Tempo e altri che pensano al mercato e non al Palazzo. Mentre infuria questa battaglia, la politica s’è persa tra le nebbie, travolta da una magistratura che ha esondato al punto da essere più forte del legislatore. Attendiamo che il governo si risvegli dal riposo estivo. Ecco perché oggi i giornali sono nel mirino: provare a eliminare un direttore di quotidiano o intimorirlo fa notizia, è un boccone prelibato. Voglio proprio vedere chi saranno i complici di questo gioco al massacro dove la libertà di stampa è un bene solo se è di sinistra e si occupa solo dei guai della destra. Vedremo. E scriveremo.