«In questi giorni sono stata oggetto, assieme a Confindustria, di attacchi ingiuriosi, costruiti su notizie false e prive di fondamento, di chiara provenienza». Era il 26 maggio quando Emma Marcegaglia, in tailleur bianco, come l’innocenza dei suoi pensieri, ma con aria contrita come il momento grave imponeva, denunciava con queste accorate, disperate parole, all’assemblea di Confindustria, il Grande Complotto in atto nei suoi confronti. Badate bene: il Presunto Grande Complotto. Partorito, dalla sua fervente immaginazione, dopo aver sfogliato, con mani tremule, nei giorni e nelle settimane precedenti, alcuni articoli pubblicati dal Mondo e dall’Espresso.
Perché stupirsi, d’altra parte, la sindrome del complotto è antica quanto il mondo e chi ha studiato (e certamente Emma Marcegaglia lo ha studiato) sa bene che Karl Popper ha tracciato efficacemente i contorni di questa particolare «devianza» nel suo saggio sulla teoria sociale della cospirazione che si ritrova in uno dei suoi testi più noti: «Congetture e reputazioni». Secondo Popper questa teoria, più primitiva di molte forme di teismo, è simile a quella rilevabile in Omero, il quale concepiva il potere degli dèi in modo che tutto ciò che accadeva nella pianura davanti a Troia costituiva soltanto un riflesso delle molteplici cospirazioni tramate nell’Olimpo.
Capite bene che è sufficiente traslocare la piana di Troia in viale dell’Astronomia a Roma, sede dell’organizzazione degli industriali o, se preferite a Mantova, quartier generale delle attività della famiglia di madame Emma, e il gioco, anzi la trama tramata dai cospiratori dell’Olimpo editoriale (quindi semplici giornalisti e non dèi) si abbatterà inesorabilmente sulla presidente.
Certo, così si vive sempre in tensione. Ci si deve guardare le spalle, si è costretti a buttar giù ogni volta un tranquillante prima di leggere o farsi leggere la rassegna stampa del giorno. O subito dopo aver ascoltato le fondate preoccupazioni del proprio uomo di fiducia, Rinaldo Arpisella. Che ha semplicemente parlato al telefono, come tante altre volte, con il vicedirettore del Giornale ma che questa volta ha ravvisato un tono minaccioso e ricattatorio in alcuni passaggi della suddetta conversazione telefonica. E quindi si è costretti a chiamare Fedele Confalonieri per chiedere aiuto, per evitare che la scure di Vittorio Feltri e dei suoi giornalisti, con le penne notoriamente caricate a fango, si abbatta inesorabile su di lei, l’Emmarcescibile.
«Fino all’ultimo giorno sarò con voi per l’indipendenza della nostra istituzione e per la sua difesa», disse quel 26 maggio con voce stentorea Emma Marcegaglia, nel sacrosanto tentativo di difendere il lavoro svolto dalla sua squadra in due anni di gestione. Un quasi appello a riunire le forze per combattere, ma senza alcun riferimento (allora deve essere proprio un vizio) esplicito alla possibile regia di quelli che la leader degli industriali definiva in quell’occasione «attacchi di chiara provenienza». Insomma chi manovrava già allora contro la Marcegaglia? La Spectre? Il Cerchio Sovrastrutturale tirato in ballo da Arpisella nella conversazione con Porro? Se è vero come è vero che il Mondo e L’Espresso e financo il Corriere della Sera, con la recensione uscita il giorno prima dell’assemblea confindustriale, del libretto di Filippo Astone «Il partito dei padroni», l’avevano bastonata, è anche vero che lei, resistendo, parole sue di allora, alla «tentazione di replicare con dati e circostanze, questi sì veri» aveva «deciso di far prevalere il senso della responsabilità e del rispetto per l’istituzione Confindustria». Concludendo il contrito sfogo con una storica frase: «Per me l’unica cosa che conta è essere in sintonia con voi: altri si comportino come vogliono». Poi passarono i giorni, le settimane, i mesi. Ma la sindrome del complotto non passò. Rimase lì, latente. Stuzzicata, di tanto in tanto, da qualche aggettivo, avverbio o complemento oggetto a suo carico, letto qua è là nelle rassegne stampa. Fino a qualche giorno fa, quando è esplosa. Accendendo la miccia della Grande Perquisizione al Giornale, attuata da un manipolo di carabinieri, in cerca di improbabili dossier contro di lei. E allora via con le dichiarazioni d’intenti: «E Emma disse ora basta! È guerra», (titolo di Repubblica), «Vado avanti e non mi faccio intimidire» (titolo della Stampa), «Non ho paura, vado avanti» (titolo del Fatto Quotidiano). Solo che qualcosa non torna. Perché, come giustamente rileva il collega Marco Lillo proprio sul Fatto Quotidiano: «…A dire il vero tra le righe dell’intervista al Corriere si intuiva una dissonanza: la presidente di Confindustria inviava messaggi suadenti al direttore del quotidiano che le voleva fare “un c. così per due mesi”: “È uno dei migliori giornalisti d’Italia, non ho nulla contro di lui”, cinguettava la Marcegaglia……». C’è da preoccuparsi davvero, a questo punto, perché oltre alla sindrome del complotto si insinua, negli armadi e nell’animo di madame Emma, anche la sindrome di Stoccolma. Che come si sa nella psicoterapia definisce quello strano rapporto d’amore che la vittima prova per il suo carnefice. Un bel rischio per Feltri, ammettiamolo. Gabriele Villa, per Il Giornale 11 ottobre 2010