Ieri pomeriggio le agenzie di stampa, ad iniziare dall’ANSA, hanno diffuso un comunicato secondo il quale le autorià del Principato di Monaco avrebbe comunicato alla Magistratura italiana che il valore dell’immobile di Montecarlo in cui ora abita il cognato di Fini, Tulliani, determinato in 240 mila euro sarebbe “congruo”. La stessa ANSA si è affrettata a diffondere le dichiarazioni che sarebbero state rese da Finie dai suoi scudieri che manifestavano soddisfazione per una notizia che “rendeva giustizia” e faceva strame dell’inchiesta del Giornale. L’euforia di Fini, smentita poi dal suo portavoce, è durata poco, il tempo che la Procura di Roma rendesse noto che il valore cui si riferiva era quello del 1999, cioè quello del momento del passaggio alla proprietà di AN e non già quello al momento della vendita alla società off-shore da parte di AN. Doccia fredda. Ecco nel servizio del Giornale l’esatta ricostruzione della vicenda di ieri.

di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica – Il Giornale 14 ottobre 2010

Ok, il prezzo è giusto. Anzi no. L’imbarazzo della procu­ra di Roma (che sin dall’inizio di questa storia è sembrata in­tenzionata a frenare a pres­cin­dere sulla vicenda dell’appar­tamento di Montecarlo) dopo l’arrivo delle ultime carte dal Principato, quelle sul valore della casa, s’è tramutata in un comico qui pro quo che ha trat­to in inganno persino un trop­po ben informato Gianfranco Fini e i suoi fedelissimi: son passati dal godimento per il presunto sbugiardamento della presunta «macchina del fango» al comico imbarazzo per il dietro front dei magistra­ti. Tutto nasce perché nel pa­l­azzo di giustizia capitolino so­no arrivati, finalmente, i docu­menti richiesti con l’integra­zione della rogatoria. Carte re­lative al cuore dell’inchiesta, che indaga sulla congruità del prezzo di vendita dell’immo­bile. Immediata l’indiscrezio­ne: ci sarebbe difformità tra il valore reale dell’immobile e il prezzo registrato a luglio del 2008, quei 300mila euro versa­ti ad An dalla società off-shore Printemps. I responsabili del­­l’inchiesta, però, non si sbotto­nano.

Nessuno parla di cifre, tutti fanno il gioco del silenzio fino a quando filtra un detta­glio, finalizzato a escludere, al­lo stato, che nel fascicolo si possano ipotizzare reati fisca­li. Sul punto, infatti, la procu­ra chiarisce che il fisco mone­gasco non aveva sollevato obiezioni di sorta quando An, che nel ’99 aveva ereditato l’appartamento, ne dichiarò la valutazione al momento della successione nel Princi­pato. Una precisazione che, ov­viamente, non c’entra niente con le compravendite, ma semmai ha a che vedere con il pagamento di imposte succes­sorie a Montecarlo. Tanto che sempre fonti della procura chiariscono poi che per accla­r­are la questione della congru­ità del prezzo di vendita con una fonte «istituzionale», gli inquirenti hanno richiesto al Principato una sorta di tabel­la, con il valore immobiliare medio di appartamenti com­parabili a quello di boulevard Princesse Charlotte, 14. E quello schema, che riporta i valori e gli incrementi negli an­ni, sarebbe nelle cento pagine giunte due giorni fa a Roma. Lo avrebbe redatto l’ufficio monegasco preposto a regi­strare tutti i rogiti di compra­vendita immobiliare. E sì, iva­lori desumibili sarebbero dif­formi dal prezzo a cui An ha venduto.

Di quanto, però, nes­suno vuol dirlo. Chissà per­ché… Mentre la notizia che inte­ressa alla procura resta dun­que confinata in quel fascico­lo, che procuratore capo e pm hanno spedito all’ufficio tra­duzioni, è l’implicito «placet» fiscale del ’99 a mandare in tilt le solerti agenzie di stampa. «Casa An: Montecarlo, con­gruo valore passaggio proprie­tà »,titola l’ A nsa , ma il passag­gio di proprietà c’entra come i cavoli a merenda e, passato il momento d’euforia dei finia­ni, è la stessa procura di Roma che si vede costretta a una ra­pida precisazione a mezzo delle stesse agenzie: «Si preci­sa che la congruità, secondo le autorità di Montecarlo, del valore dell’immobile di Boule­vard Princesse Charlotte 14 fa riferimento all’atto di succes­sione nel ’ 99 quando An entrò in possesso del bene ricevuto dalla contessa Anna Maria Colleoni e non al passaggio di proprietà dello stesso apparta­mento quando venne ceduto nel 2008 da An». Degli exultet finiani a com­mento della prima versione resta, però, il peso di un «vati­cinio » espresso dal presiden­te della Camera, che avrebbe manifestato il suo convinci­mento di una prossima archi­viazione. Convincimento ba­sato su quali elementi – buoni canali informativi o «l’aria che tira» – non è però dato sa­pere. Di certo anche France­sco Storace, leader della De­stra, a cui appartengono i due autori dell’esposto che ha in­nescato le indagini, ieri paven­tava la prematura scomparsa del fascicolo d’inchiesta. Av­vertendo che, in quel caso, lui e i suoi uomini, avranno la possibilità di verificare con quanto zelo la procura di Ro­ma ha approfondito la vicen­da monegasca, annunciando minacciosamente «indagini difensive di parte, come previ­sto dal codice». Al di là degli auspici finiani e dei timori storaciani, in ef­fetti come detto le modalità scelte dai magistrati romani per questa indagine sembra­no quantomeno insolite. E addirittura inspiegabile ap­pare la decisione di non con­vocare Giancarlo Tulliani, il cognato di Fini, non solo affit­tuario dell’appartamento, ma indicato come proprieta­rio di fatto delle società off­shore che hanno comprato da An (e quindi proprietario anche della casa) secondo una lettera del governo di Sa­int Lucia. Il suo ruolo, infatti, è indiscutibilmente centrale, anche per l’unico aspetto che pare interessare ai pm roma­ni, la congruità del prezzo di vendita. Ed è lo stesso Fini a dirlo, indicando (nei suoi ot­to chiarimenti di agosto e poi nel videomessaggio di fine settembre) in Tulliani il «pro­cacciatore »dell’affare.

Il«co­gnato »presentò l’offerta d’ac­quisto della Printemps ad An, e il prezzo era già stabili­to, tanto che i generici «uffici di An» citati da Fini reputaro­no congrua quella sommetta in quanto superiore alla fa­mosa valutazione, quella che nel ’99 non fece storcere il na­so al fisco. Non voler ascolta­re Tulliani, dunque, appare come un segnale di scarsa vo­lontà di approfondimento. E se davvero le carte dell’ulti­ma rogatoria provano «uffi­cialmente » quello che da me­si è chiaro a tutti (ossia che il valore di mercato di quella ca­sa n­el 2008 era certamente su­periore a 300mila euro) gra­zie a testimonianze, perizie e comparazioni tra immobili si­mili, il dettaglio potrebbe fini­re per essere l’unico ostacolo a quell’archiviazione che Fi­ni annusa nell’aria. Forse confidando anche nel nuovo feeling con la magistratura, oggetto costante negli ultimi tempi di dichiarazioni di sti­ma se non di affetto. Chissà se come dice Fini «qualcuno ora dovrà pagare». E chissà se potrà farlo in lire, magari alle quotazioni del 1999.