È incredibile come, da quasi un ventennio, l’attenzione di certi editorialisti politici sia concentrata su un solo tema: la presunta debolezza strutturale del movimento politico creato da Berlusconi, il suo sempre annunciato disfacimento, nonché l’uscita di scena del Cavaliere. Tutto ciò è incredibile, stucchevole e, a dir poco, surreale. Non saranno certo le elucubrazioni (o le speranze) di alcuni giornalisti o di alcuni potenziali competitori per il ruolo di leadership nel Pdl o della guida del governo ad avviare il problema della successione di Berlusconi. Questo, infatti, si porrà soltanto nel momento nel quale Berlusconi non risulterà più funzionale all’attuale sistema politico che è in gran parte frutto della sua discesa in campo. Il sistema politico attuale, infatti, è profondamente diverso, nel bene o nel male, da quello che lo ha preceduto e che ha caratterizzato la storia del secondo dopoguerra fino alla metà degli anni novanta: un sistema politico, fondato sul multipartitismo estremo e sul correntismo esasperato per via di una legge elettorale di tipo proporzionale puro che favoriva la frammentazione politica e obbligava a governi di coalizione i cui programmi, necessariamente formulati dopo le elezioni, non potevano mai coincidere con quelli presentati dalle singole forze politiche al corpo elettorale.

Un sistema, ancora, che presupponeva l’esistenza di partiti politici strutturati di tipo ottocentesco. Se non si coglie e non si fissa questo dato di fatto, si rischia di discutere sul nulla. E il dibattito sull’uscita di scena di Berlusconi, sulla sua successione e sul futuro del Pdl equivale a pestare acqua in un mortaio. Esso dimostra, fra le altre cose, che alla maggior parte dei commentatori, abituati a ragionare secondo la logica complessa e bizantina della prima repubblica, sfugge il senso della realtà. Come, invero, accade, sempre o quasi, alla maggior parte dei parlamentari, isolati nelle ovattate stanze del potere o del sottopotere, di perdere ogni contatto con i cittadini e con i loro problemi al punto di non saperne più cogliere le “istanze politiche”, così, allo stesso modo, a molti editorialisti capita di essere troppo dipendenti dal “piccolo mondo antico” dei palazzi della politica e di non riuscire ad afferrare il senso delle trasformazioni in atto nella società e nella stessa politica. La realtà è che, ormai, è stato creato in Italia un sistema bipolare, certamente perfettibile, ma che è entrato, piaccia o non piaccia, a far parte del comune sentire. La transizione da un sistema all’altro non è stata ancora completata, ma è difficile (e, certo, non è auspicabile) tornare indietro.
Del resto i fatti dimostrano come una profonda crisi strutturale e propositiva, oltre che di identità, abbia colpito soprattutto le forze politiche del centrosinistra troppo legate a schemi organizzativi del passato e a categorie concettuali non più coerenti con una realtà post-ideologica, che non è più solo italiana. E non è, neppure, un caso che, all’interno del centro-destra, si sia consumata una scissione, quella di Futuro e Libertà, che, al di là delle parole, nasconde ripicche personali e nostalgia di pratiche inciuciste da Prima Repubblica. Chi pone, oggi come ieri, il problema della successione a Berlusconi e del futuro del Pdl è condizionato da un antico pregiudizio che non gli consente di cogliere la novità rappresentata da Berlusconi, dal berlusconismo, dal “polo moderato”. Quando questi decise di scendere in politica, Galli Della Loggia lo liquidò sostenendo che le sue idee erano “luoghi comuni semplificati e conditi da un sondaggio o da un grafico” e aggiunse che la sua avventura politica non emanava “alcun calore” perché priva di anima. Il consenso dato a Berlusconi dal corpo elettorale significa, quanto meno, che quelle proposte avevano e hanno proprio quel “calore” che non gli si vuole riconoscere. Piacevano e piacciono alla parte produttiva del Paese, al ceto medio, estraneo ai salotti e alle conventicole culturali o pseudo-culturali convinte che politica e gestione del governo debbano essere riservate a pochi illuminati. Per Galli Della Loggia il problema del centro-destra era quello di riprodurre “l’incultura politica del suo elettorato” fatto di ceti medi produttivi, nonché “la sua compiaciuta estraneità alla politica e allo Stato”. Ma questo elettorato, malgrado il giudizio offensivo, ha dimostrato di voler essere tutt’altro che estraneo alla politica e allo Stato. E sarà proprio l’elettorato a decidere sulla successione di Berlusconi e sul futuro del Pdf.

FRANCESCO PERFETTI – IL TEMPO 20 OTTOBRE 2010