Fini, Casini e D’Alema vogliono rovesciare Berlusconi con qualsiasi mezzo perché sanno che andando al voto sarebbero sconfitti. Un attacco alla democrazia popolare: il loro vero obiettivo resta spartirsi potere e poltrone
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La democrazia qui in Italia sta per essere truffata, svenduta e stuprata davvero, ma il protagonista di questo scempio non è, come va sostenendo in giro Di Pietro, Silvio Berlusconi, ma altri soggetti che Tonino conosce bene, tutta gente che finirà per infi­nocchiare pure lui. Chi sono? Basta ascoltarli. Sono quelli che in questi mesi si affannano per chiudere la trappola attorno al premier, ribaltando il verdet­to delle elezioni di due anni fa, e che sperano di far cadere il governo, sostituendolo con un una consorteria di poteri e interessi senza legittimità popolare. Sono quelli che sono stati sconfitti o che si ingegnano a ripudiare il partito che li ha fatti sedere in Parlamento. Sono i D’Alema, i Bersani, i Casini, i Fini che tuttora litigano su tutto, ma su una cosa fanno combutta: bisogna far cadere Berlusconi in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo. Ci stanno provando da tempo, ora si sentono abbastanza sicuri da giocare quasi a volto scoperto. Soprattutto uno, quel Gianfranco Fini che ormai non finge neppure più di essere stato un alleato fedele. Ma non ci sono solo loro. L’attacco alla democrazia si nutre, ogni giorno che passa, di una banda di ignavi, di mezze calzette, di peones imbarbariti dalla nullafacenza, di ambiziosi che venderebbero la madre per una poltrona da sottosegretario, da cacicchi che sperano di contrattare i loro quattro voti locali con un altro signore, di volti seduti in panchina di cui neppure gli elettori si ricordano il nome. Sono loro il grasso ventre del ribaltone, la carne da macello del governo tecnico, di transizione, istituzionale, riformatore, chiamatelo come volete, tanto persegue un solo scopo, prendere il posto di Berlusconi senza passare dal voto. Il rischio sarebbe troppo grande, c’è la possibilità che il Cavaliere vinca di nuovo, e poi come lo vai a spiegare in tv che siamo in un regime se ogni volta che si va alle elezioni vince l’unico che la casta ha deciso che non deve vincere? Allora niente urne. Nessuna volontà popolare. Niente democrazia, perché la democrazia è un valore solo se vince uno della parrocchia, non l’outsider che da sedici anni sta rovinando i piani a tutti i potentati politici, economici e culturali. L’obiettivo è dichiarato: far cadere il governo contando sull’appoggio di una parte del Pdl che spera di ottenere una poltrona governativa grazie al rimescolamento delle carte. E giocando anche sulla paura di questi onorevoli e senatori che temono di non essere rieletti, pronti a cambiare maggioranza pur di preservare titolo, stipendio e vitalizio pubblico. Dite che lo fanno per coscienza o per seguire un ideale politico? Allora non li conoscete. Si fanno in quattro per restare nel Palazzo ad abbuffarsi di onori e denari. Insomma, altro che governo tecnico: al massimo sarà un governo composto dai vari Granata e Bocchino che abitano la grande ammucchiata di liberazione. I problemi vengono dopo. Questa banda di leader antidemocratici non ha ancora portato a termine il colpo e già si accapiglia per chi deve comandare. Fini pensa di raddoppiare le aliquote sulle rendite finanziarie, un fuoco d’artificio propagandistico che non tiene conto delle conseguenze economiche e espone l’Italia alle aggressioni degli speculatori internazionali. Casini non perde occasione per bacchettare il suo presunto alleato, facendogli notare che uno non può svegliarsi la mattina e dare fiato alle prime sciocchezze che gli saltano in testa. Fini – dice Casini – non si rende conto delle conseguenze di quello che dice. Di fatto gli dà dell’irresponsabile. E questi due dovrebbero governare insieme? Fino a quando si trattava di indebolire il premier andavano d’amore e d’accordo, ora che hanno la bottega sulla stessa strada si scannano. Bersani dice che questo governo tecnico deve durare poco, il tempo di rifare una legge elettorale che aiuti la sinistra a vincere. D’Alema, che dovrebbe essere il suo azionista di maggioranza, subito lo smentisce. Serve un governo che porti a termine la legislatura con il compito di contrastare la crisi economica. Un governo di salute pubblica, e non fa nulla che il nome evochi il terrore giacobino. La sinistra extraparlamentare, Vendola e i suoi fratelli, ribatte con sarcasmo all’eterno D’Alema: «L’ipotesi di un governo tecnico che metta mano alle riforme economiche è una truffa gigantesca». Di Pietro, una volta caduto il governo, vorrebbe andare alle elezioni per capitalizzare il suo antiberlusconismo rozzo e diretto. Teme che con le tattiche dei furbetti amici suoi lui si ritrovi periferico. Insomma, è questo il quadro che rischia di trovarsi dinanzi Napolitano. Un governo senza voto elettorale con tutti i «congiurati» pronti a far scintillare i coltelli e regolare i conti di una vita. Non è facile per il presidente, anche perché una cosa la sa. Il governo tecnico fa comodo ai politicanti, ma non agli italiani.
IL GIORNALE 25 OTTOBRE 2010