Ci fu un periodo in cui i mega-inviati dei giornali padani così raccontavano il Monòpoli del Potere dc in Puglia: Aldo Moro comanda a Roma, Vito Lattanzio comanda a Bari. Erano gli anni della Prima Repubblica. La Democrazia cristiana, partito perno dello Stato, sembrava più infrangibile di un pezzo di granito. Il sistema pareva più longevo di Matusalemme. Naturalmente le grandi firme del Nord calcavano la mano sulla contrapposizione, in Puglia, tra il Professore (giurista) e il Dottore (medico) della Dc.

Non era vero che Moro fosse influente soltanto a Roma, così come non era vero che Lattanzio fosse il capo assoluto dello scudocrociato barese. Sta di fatto che dopo lo statista assassinato dalle Brigate Rosse, il personaggio più importante della storia democristiana nel tacco d’Italia è stato Lattanzio, Vito Lattanzio. Generoso con tutti, assai meno con se stesso, Lattanzio non incontrò la generosità della pubblicistica mediatica che, sull’onda del caso Kappler (il macellaio nazista evaso dall’ospedale militare romano), emise una sorta di preventiva condanna senza appello nei confronti dell’allora ministro della Difesa (1977).

Lattanzio ha smesso di vivere, in silenzio, ieri, il giorno del suo 84mo compleanno. Ma, per certi versi, aveva iniziato il suo cammino verso l’appuntamento con il Signore molti anni fa, all’indomani dell’eutanasia della Prima Repubblica. Lattanzio era incompatibile sul piano antropologico, oltre che politico, con la cosiddetta Seconda Repubblica.

Non era un tribuno televisivo. Non sapeva urlare. Non offendeva gli avversari. Era l’opposto del prototipo di tele-successo in voga oggi. Figlio della legge elettorale proporzionale (da lui sempre rimpianta), Lattanzio era più lontano di Plutone dalla logica della democrazia maggioritaria. A tal proposito, la pensava come Moro che, a chi gli prospettava l’ipotesi del passaggio dal sistema proporzionale (fondato sulla mediazione- mediazionismo) al sistema maggioritario (basato sulla decisione-decisionismo) rispondeva con parole dagli effetti clamorosamente profetici: «Se si abbandonasse la proporzionale, la Dc farebbe la fine di un cristallo che si frantuma in mille pezzi». Infatti. L’antica Balena Bianca era sopravvissuta a marosi politici e giudiziari. Aveva navigato tra le due mega-armate di Est e Ovest. E probabilmente avrebbe superato persino lo scoglio di Tangentopoli, se non si fosse imbattuta nell’ostacolo più perfido e insidioso: l’avvento della democrazia dell’aut aut, che subentrava alla democrazia dell’et et.

Attilio Piccioni (1892-1976) amava ripetere che per essere ammessi nella Democrazia cristiana non era necessario essere né democratici né cristiani. Come dire, secondo l’esegeta Francesco Cossiga (1928-2010), che la morale non era di casa e quel che contava era la politica. Invece. Moro e Lattanzio erano diversi come possono esserlo due gemelli eterozigoti. Ma erano profondamente democristiani: di pelle più che di tessera.

Moro propendeva per la riflessione. Lattanzio per l’azione. Fino al 1968, il leader storico della Dc e il suo promettente corregionale militavano nella stessa corrente, anche se l’anticomunismo di Lattanzio era più accentuato. Fu dopo il ‘68, con lo strappo di Moro nei confronti del vecchio corpaccione doroteo e susseguente collocazione nella sinistra interna del partito, che le strade dei due amici-rivali pugliesi cominciarono a divaricarsi profondamente. Il divorzio giovò a entrambi: Moro perfezionò la sua immagine di leader di spessore internazionale, Lattanzio passò dal rango di capo regionale allo status di big pluriregionale e nazionale, approdando nel 1976 a un dicastero di serie A, qual era la Difesa.

Ma, nonostante la rottura, determinata dalla diversità di vedute sul rapporto con il Partito comunista, quelle tra Moro e Lattanzio rimarranno «divergenze parallele». L’Allievo non mancherà mai di rispetto al Maestro. E, quando quest’ultimo, quella tragica mattina del 16 marzo 1978, venne sequestrato dal commando brigatista, Lattanzio dimenticò le diatribe e i dissapori del passato prossimo per schierarsi nella sparuta, ma inascoltata, pattuglia di trattativisti impegnati a fare l’impossibile pur di salvare la vita dell’ostaggio.

Le cose andarono come andarono. Da quel giorno Lattanzio rimase pressoché l’unico dc pugliese in ballottaggio per un incarico ministeriale (infatti, dopo i Trasporti e la Marina Mercantile approderà anche alla Protezione civile e al Commercio con l’Estero). Ma lo spegnimento di un faro come Moro non giovò alla sua stella, che trovava nuova luce proprio nella dialettica regionale con il Numero Uno.

Poi sopraggiunsero alcune vicende giudiziarie, dalle quali l’ex ministro uscì senza macchie e a testa alta. Ma era già cominciata un’altra storia, quella del rientro dietro le quinte. Se il valore di una persona si vede anche o soprattutto da come essa sa uscire di scena, allora bisogna convenire che Vito Lattanzio era un uomo vero, non un viso pallido a caccia di ogni minima nicchia pur di non sparire dalle pagine dei giornali.

La Gazzetta del Mezzogiorno 1° novembre 2010