Il premier Silvio Berlusconi Se Giovanni Boccaccio fosse tra noi avrebbe materiale per scrivere un nuovo Decamerone. Altro che le cento novelle, le sette donne e i tre uomini che per dieci giorni se la spassano fuori città e ne combinano e raccontano di tutti i colori. Una Noemi di qua, una D’Addario di là, una Ruby di sopra, una Nadia di sotto e via così in un crescendo di «rivelazioni ad personam», gossip e verbalate senza segreto che stanno rendendo la politica italiana uno show per soli adulti e il Cavaliere il capro espiatorio di tutte le nostre debolezze e i nostri conflitti. Boccaccio scrisse il suo libro nel Trecento, un’opera deliziosa in cui la rappresentazione dei vizi e delle virtù diventa l’affresco di un’epoca nella quale l’autore non ha alcun atteggiamento moralistico, racconta la totalità dell’azione di quel mondo e rivendica il diritto di narrare quel che lui considera l’eros naturale, un po’ quello che i sessantottini di ieri (oggi noiosi bacchettoni) avrebbero chiamato «libero amore».
Il costume di una nazione viene sempre a galla quando la storia si diverte a mettere di fronte ai nostri occhi un disegno non conformista e dunque «scandaloso». Mi è venuta in mente questa lettura della giovinezza mentre sullo schermo del pc piovevano notizie ottime per un racconto su Playboy e ho pensato: ma un politico per cosa va giudicato? Per le grandi manovre nel lettone o per le grandi opere di governo? Non ho dubbi: mi interessa come governa, poi tra le lenzuola faccia quel che vuole. Il problema è che la dimensione pubblica dell’epoca contemporanea tratta i politici come le star, mette tutto nel frullatore dell’informazione in tempo reale e dunque Berlusconi, il suo mito del latin lover, le sue attività ricreative e quelle dei suoi ministri, le sue spesso infelici battute, diventano il soggetto di un racconto in bilico tra la prosa pomposa e il comico, il libello e l’opera buffa. Il problema è che il nuovo Decamerone lo sta scrivendo una magistratura senza pudore e non quel delicato genio di Boccaccio. E per questo tutto appare senza speranza, freddo, privo di umanità e pietà per l’uomo. Povera Italia. Mario Sechi, Il Tempo, 3 novembre 2010