di Gian Maria De Francesco

È finita con i fischi e le urla «buffone, buffone!» rivol­te all’indirizzo del capogrup­po finiano Italo Bocchino. Ma per la maggioranza è stato un brutto martedì a Montecito­rio: il governo è stato battuto per ben tre volte sulle mozio­ni riguardanti il Trattato Italia- Libia che le opposizioni chie­deva­no di modificare attraver­so una sospensione della poli­tica dei respingimenti da par­te di Tripoli.

Questa la paradossale cro­naca. Il radicale in quota Pd Mecacci ha presentato un emendamento al documento inizialmente sostenuto da Pdl e Lega con il quale si impegna l’esecutivo a rivedere il Tratta­to inserendovi le garanzie in materia di diritti umani previ­ste dalla Costituzione e dal di­ritto internazionale e ad atti­varsi per la riapertura dell’uffi­cio libico dell’Alto commissa­riato Onu per i rifugiati. In pra­tica mandando a monte l’ac­cordo con Gheddafi, propu­gnato da Prodi e concluso da Berlusconi, che ha ridotto no­te­volmente gli sbarchi di clan­destini sulle coste italiane. Tra le altre «fantasiose» previ­sioni del dispositivo la possibi­lità per i pescherecci siciliani di pescare in acque interna­zionali senza incorrere nelle vedette libiche e, soprattutto, risarcimenti per gli italiani espulsi dopo la rivoluzione del 1969 e per le imprese che vantano crediti verso la Libia.

Il risultato è stato sconfor­tante: maggioranza battuta 261 a 274. Questo perché i fi­niani guidati dal vicecapo­gruppo Benedetto Della Vedo­va hanno pensato bene di cambiare posizione. La ex­maggioranza Pdl-Lega non è riuscita nemmeno a ritirare la propria mozione emendata da Mecacci perché Fli l’ha fat­ta propria e l’ha fatta approva­re con i voti di Udc, Pd e Idv (281-270). Stesso risultato an­che per la mozione più tenue dell’Udc (281-269).Il parados­so è che i finiani hanno squa­dernato la maggioranza su un tema fondamentale come si­curezza e immigrazione ap­poggiandosi a un radicale co­me Mecacci (stessa scuola di Della Vedova) nel quale il Pd stesso non credeva.Tant’è ve­r­o che l’ex ministro degli Este­ri Massimo D’Alema, pur ma­ramaldeggiando sulla «mag­gioranza che non c’è più», ha rilevato che l’emendamento poteva essere accolto senza inasprire il confronto.

I finiani ormai non perdono occasione per mercanteggia­re favori (come sulla legge di stabilità), far pesare la pro­pria consistenza e, contestual­mente indebolire, il presiden­te del Consiglio. «Dobbiamo far capire a Berlusconi che senza i voti di Fini non va da nessuna parte», ha detto ieri Bocchino convincendo, an­che con le maniere spicce i propri colleghi a votare con­tro quel trattato che due anni fa avevano approvato. È stato in quel frangente che il Masa­niello di Fli s’è beccato i boati di disapprovazione di Pdl e Le­ga anche se non è riuscito a ri­portare nell’ovile alcuni colle­ghi tra i quali Menia, Moffa, Lamorte e altri. Alcuni come Consolo hanno dichiarato di non essersi accorti del cam­bio di indicazione.

Ma aggrap­parsi a distrazioni, indecisio­ni e questioni personali non può diventare lo sport princi­pale della maggioranza. Che alla Camera, inoltre, ha sem­pre avuto il suo bel da fare a recuperare ministri, sottose­gretari e assenti a vario titolo. Non è mancato il solito côté da saloon. Con i pidiellini a ur­lare «Bravi, bravi» ai finiani e con l’intemerata di Maurizio Bianconi che ha sfiorato lo scontro fisico con il sottose­gretario Fli Roberto Menia, trattenuto a stento dal coordi­natore del Pdl Verdini. Anche l’appello alla ragionevolezza del ministro degli Esteri, Fran­co Frattini, è caduto nel vuo­to. «Se il Parlamento ritiene di seguire la linea dell’Unione europea, usiamo il linguaggio usato dall’Ue, altrimenti noi vogliamo dire: aprire le porte, rompendo la collaborazione migratoria a tutti coloro che vorranno entrare illegalmen­te», ha implorato.

All’uscita dall’Aula i deputa­ti berlusconiani meditavano propositi di rivincita nella prossima campagna elettora­le. «Tappezzeremo tutte le cit­tà d’Italia con migliaia di ma­nifesti nei quali si vedrà la fac­cia di Fini accanto ai barconi pieni di immigrati. È lui che vuole l’immigrazione clande­stina », prometteva un deputa­to. Il voto di ieri cambierà qualcosa nella politica del go­verno? No. Ma certifica che la crisi è ormai conclamata.D’al­tronde, anche Prodi nel 2007 cadde la prima volta sulla poli­­tica estera, impallinato dai co­munisti pacifisti.