La frecciata è di quelle velenose, al curaro. E per essere sicuro che le tossine facessero effetto, l’onore­vole Italo Bocchino l’ha ripetuta due volte davanti alle telecamere di Annozero . Si parlava delle dimissioni dei finiani al governo che arriveranno domani, per «ga­lateo istituzionale»: così si è capito quanto Futuro e libertà tenga alle buone maniere, come siano beneducati i suoi mi­nistri che, prima di pugna­­larlo, aspettano che il pre­mier rientri dall’Estremo Oriente e trascorra (augu­rio bocchiniano) «una do­menica in famiglia a d Arco­re e una serata con Lele Mo­ra ». Michele Santoro non credeva alle sue orecchie: «Battute così non ce le sia­m o mai consentite nemme­no Travaglio e io». Ma il veleno vero stava nella coda. Il braccio armato di Fi­ni ha spiegato che si dimettevano per­ché «Berlusconi ha detto: Palazzo Chigi è mio, l’ho costruito io, lo devo lasciare a Piersilvio e Mari­na ». Replicato due volte a distanza di pochi minuti per cer­tificare l’effetto. Nessuno nello stu­dio di Annozero ha raccolto l’accosta­mento del Cavaliere ai monarchi che ce­dono il trono in li­nea di sangue. È sta­ta invece la stessa Marina Berlusconi a reagire. L’ha fatto ieri in un breve dia­logo con l’agenzia Ansa. «Si è trattato di una battuta di pes­simo gusto, come del resto quasi tutto quello che dice l’onorevole Bocchi­no – ha ribattuto il presidente di Finin­vest e Mondadori, oltre che consiglie­re di Mediobanca – ; comun­que, battuta per battuta, ri­spondo che mio padre di ca­se ne ha già abbastanza, e che oltre tutto se le è pagate con il frutto del suo lavoro e con i suoi soldi, e non con quelli dei propri elettori e del partito». Ogni riferimen­to a Montecarlo è puramen­te voluto. Replica sferzante, che stronca la strampalata ipo­tesi di una successione per via ereditaria alla guida del Pdl, e tuttavia segna in qual­che modo una discesa in campo della donna più in­fluente d’Italia ( copyright della rivista americana For­bes, che la colloca al 48˚ po­sto tra le 100 più potenti del mondo, unica italiana). Ma­rina è sempre stata accanto al padre, in famiglia e in azienda. Ne ha seguito le or­m e nella carriera professio­nale, come manager del gruppo e in Mondadori. E negli ultimi mesi, con il sus­seguirsi degli scandali a sfondo sessuale e dopo la rottura del rapporto con Ve­ronica Lario, la primogeni­ta di Silvio Berlusconi si è messa alla testa dei quattro fratelli in sua difesa. A fine maggio 2009, in pie­n a bagarre per il caso di No­emi Letizia, disse al Corrie­re della Sera che era «orgo­gliosa » del padre, che si era «superata ogni decenza» quando il segretario del Pd Dario Franceschini bollò Berlusconi come un cattivo genitore. Già allora all’indi­gnazione per l’offesa perso­nale ( «Quale diritto ha di di­re una sola parola su Berlu­sconi padre?») e alla rabbia per le polemiche mediati­che su Noemi ( «Una monta­gna di infamie costruite sul nulla») si era unito il giudi­zio politico: «C’è un dise­gno portato avanti da chi non sa più nemmeno che cosa sia la politica». Passato qualche mese, quando gli attacchi al pre­mier coinvolsero le azien­de di famiglia, in altri due colloqui con il Corriere (scelto come contraltare al pulpito preferito da Veroni­ca, cioè Repubblica ), Mari­na Berlusconi ruppe di nuo­vo il silenzio. E anche in quelle occasioni la reazio­ne unì la difesa del gruppo («uno scandalo giuridico la sentenza sulla vicenda Mondadori» con il risarci­mento di 750 milioni di eu­ro a favore di De Benedet­ti), l’orgoglio familiare («contro mio padre c’è una caccia all’uomo») e la criti­ca a una certa politica: «C’è un’aria irrespirabile, l’op­posizione si fa con dossier e pettegolezzi. Un pezzo di Italia, piccolo ma pericolo­so, non riesce ad accettare il fatto che la maggioranza degli italiani vuol essere go­vernata da Silvio Berlusco­ni » . Convinzione ribadita lo scorso settembre, dopo lo strappo di Gianfranco Fini e la disputa sollevata da al­cuni autori Mondadori: «Fi­ni ha accusato mio padre di stalinismo, ma in quanto ad assolutismo è lui a poter vantare innegabili frequen­tazioni. Siamo a Segrate da vent’anni, paghiamo 2,2 mi­lioni di euro di imposte al giorno: se la casa editrice è così, non lo è “nonostante” la famiglia Berlusconi, ma anche grazie al nostro esse­re liberali. Basta con l’eroi­smo a tassametro». In quel­l’occasione Marina rilan­ciò la polemica contro De Benedetti, imprenditore che «predica bene ma raz­zola male, malissimo», edi­tore di «un quotidiano che in fatto di editoria plurali­sta e liberale ha ben poco da insegnare». Un argine a tutto campo, una difesa de­cisa e convinta, tutt’altro che d’ufficio. L’allusione di ieri a Montecarlo segna una nuova tappa: a brigan­te, brigante e mezzo. «Mio padre si è sempre compor­tato allo stesso modo: reagi­re, andare oltre, costruire e guardare avanti»: una lezio­ne che anche Marina ha fat­to propria.

…. Bocchino è un perfetto kapò, come quelli descritti nel film omonimo di Gillo Pontecorvo con Luarent Terzieff. Erano i kapò,  quelli che per salvare la pelle nei lager nazisti offrivano i loro bassi e servili servigi agli aguzzini del loro popolo. E non andavano per il sottitle, pronti a vendere la pelle degli altri deportati in cambio di un tozzo di pane. Il tempo fu galantuomo e fece giustizia del loro squallore. Sarà così anche per Bocchino.  Tempo al tempo. g.