….predica onestà e dignità: perchè non la cerca in RAI e a Montecarlo?

di Marcello Foa

La destra è la destra, la si­nistra è la sinistra. Una è al go­verno e rappresenta la mag­gioranza degli elettori, l’altra all’opposizione in difesa del­le idee e degli interessi di una minoranza. Si chiama demo­­crazia, da sempre o, perlome­no fino a ieri sera. Il duo Fazio-Saviano ne ha battezzata una nuova versione, molto televi­siva benché poco berlusco­niana, nella quale la destra non è più la destra e staall’op­posizione. Con la sinistra. Ma si presenta lo stesso sotto l’effigie della destra. E la sini­stra fa di tutto per essere un po’ moderna, dunque un po’ di destra. Storditi? Disorientati? Come non esserlo…

Ieri sera a Vieni via con me , su Raitre, è andata in onda una trasmissione singolare, suggestiva e forse profetica. Quella della democrazia paritaria e al contempo, selettiva. Ci spieghiamo. Per giustificare l’esclusione di Berlusconi e di Bossi, Fazio ha letto l’elenco sterminato dei partiti italiani, sostenendo che non poteva invitarli tutti in una volta, anzi in due puntate. Il ragionamento non fa una grinza: il Pdl votato da anni da oltre il 30% degli italiani e la Lega Nord, scelta dal 10%, valgono quanto «Io sud» o i partitini di Sbarbati, Nucara, Staderini. Dunque possono essere esclusi. Una par condicio assoluta, esemplare. Eppure non esaustiva; poiché non vale per alcuni partiti. Non vale per Bersani, che, per ragioni che ieri non sono state spiegate, ha titolo per rappresentare tutta la sinistra. E non vale per Gianfranco Fini, verosimilmente per diritto divino.

Il suo Futuro e libertà non ha affrontato nemmeno una volta il giudizio delle urne, eppure viene considerato l’unico degno di spiegare al popolo italiano che cosa sia la destra. Il tutto secondo una schema ormai collaudato. Il secondo intervento della serata, letto da Silvio Orlando, è una sequenza di battute scontate e di allusioni alle «macchine del fango». Il terzo viene affidato a Roberto Saviano, che dopo le sbandate su Falcone, ha puntato sui temi che lo hanno reso famoso, quelli della camorra e della ’ndrangheta , che si infiltra a nord e che, naturalmente, gode di ampie e consolidate complicità politiche. Di chi? Ma della Lega, naturalmente. Cita un vertice delle cosche durante le quali i boss avrebbero deciso di avvicinare e dunque di arruolare un politico locale. Quale, Saviano non lo dice, ma precisa che è un esponente del partito di Bossi. E poi allude, ammicca, sempre in una sola direzione. Ascoltandolo l’ascoltatore ha l’impressione che il nord sia nella mani della mafia e che in fondo Varese o Milano o Brescia non siano così diverse da Napoli o Reggio Calabria o Caserta.

Il mondo è marcio, anche il nord è marcio. I politici sono pavidi e corrotti. Tutti i politici, anche, soprattutto, quelli di destra, di questa destra, che non ha diritto di cittadinanza. Perché solo lui, solo gente come lui, combatte davvero il male. Parola di uno scrittore trasformatosi in guru, ma a cui il successo non ha dato profondità, né spessore culturale. E poi sono arrivati loro, Bersani e Fini; l’eterno perdente e l’eterna promessa. Tre minuti di frasi fatte, buone per ogni stagione. Buone, soprattutto, per strappare l’applauso a una platea amica ed entusiasta. Sentite Bersani: «La sinistra è che se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli lo rendi migliori», «stai bene se anche gli altri stanno bene». Giura, leggendo come uno scolaretto, che «il lavoro non è tutto, ma questo può dirlo solo chi il lavoro ce ce l’ha». La malavita? Ovviamente «fa male all’economia». Bisogna «lasciare il pianeta in condizioni migliori di come lo abbiamo trovato». Sembrava di ascoltare Ferrini di Quelli della notte . E poi è toccato a Fini, il quale anziché elencare, parla, illustra, con toni da letterina natalizia delle buone intenzioni. Ma le finalità sono chiaramente politiche. Più che un elenco di valori sembra un mini comizio elettorale.

Calibrato male, però. Fini, di solito oratore efficace, annoia, affoga nelle banalità. Debutta dichiarando che «per la destra è bello, nonostante tutto, essere italiani». La ragione? «Abbiamo un patrimonio paesaggistico e culturale». Profondo e, soprattutto, originale. Secondo il presidente della Camera l’uomo di destra è «generoso e altruista », «combatte gli abusi e i malcostumi», «respinge i clientelismi e le ingiustizie».

Assicura che «chi sbaglia deve pagare, gli onesti devono essere premiati» e che «senza istituzioni non c’è democrazia». Il concetto di patria, a cui un tempo era molto affezionato, è cambiato. Ora le priorità sono altre: «Il figlio degli immigrati deve diventare l’italiano di domani». Sono le stesse parole di Bersani. E forse non è un caso.