FINI E I SETTE PECCATI CAPITALI
Pubblicato il 16 novembre, 2010 in Politica | Nessun commento »
«Se non subito, la crisi arriverà a marzo, dopo le amministrative. Il Pdl perderà, noi vinceremo, e potremo cercare il nuovo Lamberto Dini», cioè Beppe Pisanu o Mario Draghi. Questo è il messaggio di Gff, Gianfranco Fini, circolato nei gruppi parlamentari del Pdl, e noi questo riportiamo. Però darlo per buono sarebbe azzardato. Anzitutto perché sulla tattica il presidente di Futuro e libertà (Fli) è diventato abile, riesce rapidamente a mutare pelle a seconda delle necessità. Ma paga un noto limite: la strategia. Per esempio, Gff puntava a spezzare le reni al governo in tempi rapidissimi: e formalmente per altrui colpa, di Silvio Berlusconi o Umberto Bossi. Che però stanno lasciando in mano proprio a lui, a Fini, il cerino. Per di più, ci ha pensato Giorgio Napolitano a stoppare ogni velleità immediata: per il capo dello Stato l’approvazione della Legge finanziaria «è inderogabile». Tutto il resto è foga.
D’altronde dal Quirinale filtra una nuova irritazione. Ve le immaginate, a crisi aperta, le doppie consultazioni di Napolitano prima con il Fini presidente della Camera e poi con il Fini leader di Fli? (I due Fini, è scontato, si incontrerebbero poi a cena per discutere il problema a quattr’occhi, intimamente). In sostanza, anche per il Colle sarebbe opportuno risolvere il pasticciaccio brutto del doppio ruolo. Va da sé: con le dimissioni da Montecitorio. Ma chissà se basterebbero a risolvere il groppo più profondo di Gff: lo sdoppiamento della personalità. Perché per più di tre lustri Fini ha votato tutto e di più: legge Cirami, legge Cirielli, condoni, lodi e depenalizzazioni varie, tra cui il falso in bilancio. Era l’uomo che diceva no ai maestri gay, che s’impancava a paladino dell’anticomunismo. E che ora è diventato il tutore della legalità, dei gay e dei comunisti. Il Gianfranco bifronte.
1. Legalità
«Senza cultura della legalità non c’è cultura della libertà. Altrimenti la libertà diventa solo quella del più forte verso i più deboli, del potente verso chi non ha certezza di uno Stato garante»
Gianfranco Fini, 7 novembre 2010
«Berlusconi è Fini-to. Capito? Fini-to!». «È Gian-forte Gianfranco, vero?». E giù risate. Le freddure sono opera dei pasdaran di Fli. Tutti parlamentari, poeti e cantori della legalità: Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Nino Lo Presti e Pippo Scalia. Sono gli stessi che il 21 settembre 2010 giudicavano «positivamente» il battesimo della quarta giunta regionale siciliana di Raffaele Lombardo, certi che «sarà caratterizzata da politiche di modernizzazione, sviluppo e legalità». I quattro moschettieri ringraziavano poi «l’amico Nino Strano per lo straordinario lavoro svolto come assessore al Turismo» e si dichiaravano «impegnati» a trovargli un ruolo «di alto livello politico e istituzionale». L’8 novembre a Catania scatta l’operazione Iblis, 48 arresti tra boss e colletti bianchi delle potentissime famiglie mafiose Santapaola ed Ercolano. Emerge che Enzo Aiello, il manager dei clan, avrebbe avuto contatti con Lombardo e con suo fratello Angelo. E che c’entrerebbe pure Strano, «esteta fottuto, amico di travestiti, troie e omosessuali», che frequenta «con piacere i locali dove ogni desiderio è possibile» (parole sue). L’esteta è grande amico di Granata, paladino dell’antimafia, che però del caso Strano, della casa di Monte-Carlo e degli appalti Rai a Giancarlo Tulliani parla poco, anzi punto. Come tutta Fli. Silenzio anche su un deputato imbarcato da Fini, Giampiero Catone, pluriprescritto per accuse dall’associazione a delinquere alla bancarotta fraudolenta. Uno capace, per la scrittrice Paola Severini, di «estromettermi con artifici contabili dalla rivista sociale che ho fondato, Angeli, redatta da disabili». Poi rimasti senza lavoro.
2. Federalismo
«Non c’è dubbio che il federalismo fiscale può essere una grande riforma per tutta l’Italia»
Gianfranco Fini, 5 settembre 2010
Il bluff è totale. Basta girare un po’ il Sud. Qui i quadri alti e medio-alti di Fli giurano: sarà Fini a fermare il federalismo. Non a caso gli accennati sondaggi disegnano un partito quasi nullo al Nord, scarso al Centro, forte al Sud e nelle Isole: meridionalista, dunque. E antifederalista.
3. Governabilità
«Gli italiani si trovano bene nel bipolarismo e voteranno per la governabilità. Le larghe intese sono solo un’ipotesi di scuola»
Gianfranco Fini, 13 ottobre 2007
Evidentemente, è cambiato qualcosa rispetto alla campagna elettorale del 2008. Forse perché, per quanto risulta a Panorama, Gff intrattiene rapporti telefonici quasi quotidiani con Mda, Massimo D’Alema. I due cavalcherebbero ipotesi di governi tecnici e di larghe intese. Nel frattempo l’obiettivo è fare fibrillare Berlusconi. Da qui la convocazione del Cavaliere al Copasir, chiesta da Mda. E il voto contrario di Fli su Muammar Gheddafi. Ed è appena l’inizio. La Finanziaria no (un altro sgarbo a Napolitano non si può fare), ma da Palazzo Chigi avvistano voti a rischio su: pluralismo Rai (22 novembre), riforma dell’università (23), soppressione delle province (tra il 23 e il 25), mozione di sfiducia al leghista Roberto Calderoli (26), mozione contro Sandro Bondi (da fissare). Mentre nel resto d’Italia, silenziosamente, Fli fa traballare decine di amministrazioni locali. L’a-governabilità come strategia.
4. Riforme e legge elettorale
«Non ci può essere un patto di legislatura se non si cancella una legge elettorale che è una vergogna»
Gianfranco Fini, 7 novembre 2010
Con Bettino Craxi, Gff è stato in Italia il più grande sponsor del presidenzialismo. Ma prima ha virato sul semipresidenzialismo alla francese e poi rinviato tutto alla prossima legislatura. Per l’attuale si accontenterebbe di riscrivere il «Porcellum»: «È una vergogna» dice. Ma nel dicembre 2005 chi approvò la vergogna? Anche An e il suo leader. Però il problema Fli ce l’ha davvero. Senza un altro sistema di voto, il sogno del terzo polo (Fini, più Udc, più Luca Cordero di Montezemolo, più pezzi di Pd) svanirebbe con le elezioni. C’è anche un subproblema: di quale legge si parla? Fini mai ne ha proposta una. Mentre nell’opposizione, come dice D’Alema, «non è pronto niente». Ciò nonostante, Pier Luigi Bersani raccoglie firme in Parlamento per la sfiducia al governo.
5. Diritti civili
«Un maestro elementare dichiaratamente omosessuale non può fare il maestro»
Gianfranco Fini, 7 aprile 1998
La frase a lato fu pronunciata da Fini il 7 aprile 1998. E nel 2000, contro la Ue che chiedeva di equiparare le unioni gay alle famiglie tradizionali, diceva: «È un invito lesivo del diritto naturale». Oggi, polemizzando col Cavaliere che si appassiona alle «belle ragazze piuttosto che essere gay», Gff sostiene che «rispettare la persona vuol dire non distinguere tra eterosessuali od omosessuali». Sacrosanto. Se fosse vero. Perché in Fli c’è un bel po’ di scettici. Tipo Mirko Tremaglia, autore del famoso papello alla Ue dei «culattoni». E comunque l’apertura formale ai gay, aggiunta alle idee di Fini sulla fecondazione assistita, hanno devastato i rapporti con il Vaticano. Problemino: Gff puntava all’alleanza con l’ultracattolica Udc. Ma dopo l’anatema della Cei contro Fli, Pier Ferdinando Casini sta arretrando. Insomma, al momento Fini è assai isolato. Il che è pericoloso per un partito che, secondo i sondaggi, non arriva al 5 per cento.
6. Sicurezza e immigrati
«Io non cambierei una virgola della legge che va sotto il mio nome e quello di Bossi»
Gianfranco Fini, 25 ottobre 2010
Piaccia o meno, la Bossi-Fini è una legge severa, tale da suscitare le critiche dell’Onu. Così disse, per esempio, Rodriguez Pizarro, funzionaria inviata in Italia: «La legge ostacola una serie di diritti degli immigrati presenti nel Paese». Ancora il 25 ottobre 2010, Fini la rivendica orgoglioso, ma poi il 9 novembre ordina ai suoi deputati di votare contro l’accordo con la Libia. Le conseguenze? Il governo viene battuto e Muammar Gheddafi, probabilmente, lascerà arrivare più clandestini (il colonnello, si sa, è rancoroso). Per Fini, infatti, il Pdl è «arretrato culturalmente, al rimorchio della peggiore cultura leghista». Cioè di quello stesso Bossi che assieme a Fini ha scritto la legge sull’immigrazione. Che pure le virgole ha perfette.
7. Ideologia
«Nessuna preclusione a chi ha creduto nell’utopia socialista»
Gianfranco Fini, 25 ottobre 2010
Certo, sentire l’ultimo leader del Msi che apre ai comunisti fa impressione. E non per finta: il solito Fabio Granata ironizza sull’alleanza con Nichi Vendola «pur di cambiare premier». Ma l’apertura svela anche la motivazione del bifrontismo spinto di Fini: per reggere, deve imbarcare di tutto, fascisti, postfascisti, liberali, radicali, verdi, dc, craxiani. Fa nulla che la cosa assuma aspetti talvolta surreali. La deputata finiana Chiara Moroni, per esempio, vorrebbe che convergessero tutti dentro Fli, al seguito dell’erede del repubblichino Giorgio Almirante. Normale che ricevano, lei e Fini, sonori fischi da destra («È destinata a fallire totalmente », così Margherita Boniver, Pdl) e da sinistra («Moroni offende non solo i socialisti ma anche l’intelligenza degli italiani»: Marco Di Lello, Psi). All’appello mancavano i postmarxisti e i liberal radical-chic, come Giacomo Marramao, Giulio Giorello, Giuseppe Leonelli. Sono arrivati pure loro. Tutti conosciutissimi, tutti senza voti. Tutti a rischio Moroni.
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