Silvio Berlusconi La politica non è una scienza esatta, ma ha delle regole alle quali non si sfugge. Da giorni attendevo le dimissioni dei ministri finiani per vedere quali effetti avrebbe prodotto l’ingresso della crisi nella dimensione istituzionale e non in quella extraparlamentare in cui Fini l’aveva finora condotta con il suono della grancassa. Ora ci siamo, il gruppo di Futuro e Libertà ha mollato gli ormeggi e la narrazione della crisi ha preso un’altra strada. Era naturale che le cose dovessero prendere una piega diversa, ma i politici spesso dimenticano le conseguenze delle loro azioni, pensano di esser protagonisti di un film che non ha colpi di scena e scarti nella sequenza. Questo è accaduto ai finiani che ora si ritrovano nel mondo della sorpresa, dell’imprevisto, dell’avversario che graffia e ruggisce. Improvvisamente, si ritrovano a fare i conti con un Silvio Berlusconi che – ai loro occhi – appare irriconoscibile rispetto a quello di qualche giorno fa. In realtà il presidente del Consiglio non è cambiato, non è un mutante, non era in letargo. La messa in moto del meccanismo parlamentare ha ridato centralità al premier, alla sua posizione di guida del potere esecutivo e ispiratore della maggioranza. I finiani si sono risvegliati, hanno capito che non riusciranno a prendere la Bastiglia senza lasciare morti e feriti sul campo, hanno letto i sondaggi (ieri anche Repubblica ha certificato quanto anticipato da Il Tempo: Fli non va oltre il 5,5% mentre l’alleanza Pdl-Lega è vincente) e hanno cercato di frenare il loro treno in corsa. Ora sono pronti a votare un governo Berlusconi bis, ma dal Cavaliere è giunta una secchiata d’acqua gelata: «O la fiducia o il voto anticipato».

Il tema non è più quello del governo che cade o meno. Siamo oltre questo aspetto della crisi. L’orizzonte del presidente del Consiglio si chiama elezioni anticipate e tutto quello che c’è prima è un’opzione e non è detto che sia la migliore. Dai sondaggi emerge chiaramente che le possibilità di rovesciare Silvio con il voto sono ridotte al lumicino. L’unica speranza è la costituzione di un Comitato di liberazione nazionale da Silvio che va dall’Udc di Casini fino ai trozskisti che ora sono pure fuori dal Parlamento ma sognano di rientrarvi grazie alla Grande Ammucchiata. Le possibilità che questa insalata mista passi dalla cucina al tavolo delle elezioni sono remotissime. Il Grande Centro in queste condizioni è una chimera. Se anche i centristi si alleassero con i finiani, imbarcando nell’avventura i rutelliani e gli autonomisti di Lombardo, il loro bottino complessivo sarebbe sempre esiguo e con questa architettura elettorale potrebbe addirittura favorire la schiacciante vittoria di Berlusconi. Se non riescono a pescare voti nel centrodestra (ed è tutt’altro che semplice e scontato) e sottraggono voti invece al centrosinistra, avremmo uno scenario con due debolezze (il Grande Centro e la Sinistra) e una Stella Gigante rappresentata da Pdl e Lega. La traduzione in seggi è che alla Camera la maggioranza berlusconiana sarebbe netta e al Senato comunque abbastanza probabile per effetto della sottrazione di forza tra poli. Insomma, Berlusconi farebbe il pigliatutto in una partita che lo vedeva sfavorito in partenza. Questo scenario avrebbe almeno quattro effetti immediati. 1. La longevità politica di Berlusconi si allungherebbe in maniera decisiva. La prospettiva del 2013 diventerebbe sul calendario quella del 2016; 2. Il Cavaliere avrebbe un Parlamento con il quale potrebbe tentare il colpaccio: l’elezione alla Presidenza della Repubblica; 3.
La succesione al Cav non sarebbe più tra gli sbocchi possibili per leader già maturi e biograficamente tutt’altro che giovani come Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, ma passerebbe o a non più giovane Giulio Tremonti, ma stabile e leale ministro dell’Economia del centrodestra di marca Pdl-Lega, o a un outsider che verrebbe fuori certamente dalle pieghe della storia italiana, come già accaduto con Berlusconi. 4. Il Pdl avrebbe la straordinaria opportunità di organizzarsi e preparare una leadership di partito da separare da quella berlusconiana destinata così ad entrare in una dimensione puramente istituzionale. Tutto questo si può realizzare a condizione che Berlusconi riprenda in mano la sua azione di governo e dia un volto nuovo e un assetto coerente al suo partito. É indubbio infatti che il governo ha subito un forte stop dalla crisi aperta dai finiani e dall’azione della magistratura, ma proprio per questo Berlusconi deve imporre un ruolino di marcia diverso. L’esecutivo non deve ricorrere solo alla decretazione d’urgenza – più che legittima – ma creare le condizioni per cui i gruppi politici scrivono buone leggi, le presentano in commissione e fanno lavorare il Parlamento. Quando un deputato o un senatore hanno molto da fare in aula o in commissione, il tempo per pensare a complottini e colpi di manina si riduce. Per fare tutto questo Berlusconi ha bisogno di fissare bene i bulloni del governo e in questo momento ha davanti a sè due opzioni. Tentare di andare avanti con questo governo oppure andare al voto, regolare i conti con gli avversari interni e varare poi un esecutivo nuovo di zecca. In entrambi i casi i pericoli sono in agguato.
Se sceglie di provare ad andare avanti con questo esecutivo, Berlusconi può giocarsi una decina di posti di governo e sottogoverno per innestare nuovi elementi e dar loro valide ragioni (di potere concreto) per appoggiare il governo, ma deve anche mettere in conto una situazione di precarietà continua, sarà comunque appeso a pochi voti e potenziale bersaglio di chi vuol pesare più di quanto conti davvero. Se invece il premier ottiene il voto, allora deve mettere nello scenario tre caselle: la vittoria, la sconfitta o la situazione di stallo. Nelle prime due caselle il gioco va avanti secondo lo scenario governo/opposizione, nel terzo invece si aprono le porte di un governo di larghe intese che fa le riforme e prepara la strada a nuove elezioni. In ogni caso, la palla in campo la stanno giocando Bossi e Berlusconi. Fini sta in mezzo a questa trama e dopo quello che è successo non può nemmeno più pretendere di fare l’arbitro. MARIO SECHI

IL TEMPO,18/11/2010

.…..Il Direttore de Il Tempo svolge una analisi lucida e senza fronzoli inutili della situazione politica che si è determinata dopo che il presidente Napolitano ha  ricondotto la crisi all’interno del cammino parlamentare. E’ evidente a tutti, specie dopo che i sondaggi  elettorali sono stati più o meno univoci circa le prospettive del voto, che l’azione di Fini non ha condotto alla fine di Berlusconi ma, anzi, ne possono determinare l’ulteriore rafforzamento. E’ certo, e lo hanno rilevato quasi tutti i commentatori politici, non solo quelli di centrodestra, ma anche quelli più equilibrati, come La Stampa di Torino, che i finiani sono ora un pò meno certi della strategia del loro leader che li ha portati sull’orlo del baratro. Molti fra loro, fra questi un leader storico come Donato Lamorte, sono dell’avviso che un allontanamento dal centrodestra del partito che Fini ha fondato farebbe perdere molti consensi che peraltro non vanno oltre il 5%, anche dopo la esposizione mediatica di Perugia. Anche la annunciata decisione di non parteciapre al voto contro Bondi, nonostante le robanti e buffonesche affermazioni del massimo clown del partito di Fini, Granata,manifesta le perplessità che hanno invaso il campo dei finiani, molti dei quali non se la sntono di togliere l’ossigeno allla maggioranza nella quale sono stati eletti. E’ anche un problema di “lealtà” nei confronti degli elettori, come in estrema sintesi ha commentato lo storico Paolo Mieli, l’altra sera a Ballarò,  zittendo anche il loquace Bocchino: lealtà non solo e non tanto nei confronti di Berlusconi, quanto nei confronti degli elettori ai quali hanno chiesto il voto nelle liste del PDL e che di certo non gradirebbero che il loro voto contribuisca non solo all’affossamento del governo che essi hanno votato ma addirittura possa  contribuire a varare un governo in cui compaia il PD, l’IDV, la Sinistra di Vendola, sino a quella troykista. E’ un bel problema per Fini che accecato dai suoi rancori personali non si è accorto in quali imbuto di contraddizioni stesse finendo, tirandosi dietro uomni che nell’assoluta e certa alternativa alla sinistra hanno costruito il proprio destino politico. Oggi, parlando con un finiano dell’ultima ora, ci siamo sentiti dire che egli sta con Fini perchè Berlusconi è un “orco”:  è stato  troppo facile replicargli che non si diventa orchi dalla sera alla mattina e definire così Berlusconi,  dopo sedici anni di intensa e attiva collaborazione o è prova di superficialità o è prova di doppiezza. L’una e l’altra non costiuisce un buon viatico per gli antiberlusconiani dell’ultima ora. Anche per questo la stella di Berlusconi ancora non si spegne ed è destinata, per dirla come Sechi, a brillare ancora. g.