Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini Bene ha fatto Berlusconi, uso com’è a dir sempre pane al pane e vino al vino, a rilanciare, rivolgendosi a Fini e ai finiani, l’uso del concetto di “tradimento” in politica. Ha fatto bene non solo e non tanto perché quel concetto si confà perfettamente all’ultima (per il momento) capriola del camaleontesco fondatore del neo-futurismo libertario in salsa rosso-nera, ma anche e soprattutto perché il suo impiego è stato di recente contestato persino da qualche ammiratore del Cav. al di sopra di ogni sospetto di tradimento e slealtà. Vedi – per fare l’esempio più abbagliante – il mio vecchio amico Giuliano Ferrara, secondo il quale il concetto di “tradimento”, nelle moderne democrazie, non avrebbe più nessun senso. Come se la presente età democratica, per quanto possa considerarsi diversa da tutte le precedenti, non fosse pur sempre soltanto un capitoletto della storia universale dell’umanità, nella quale è manifesto che il “tradimento” – politico e non – costituisce, per così dire, un ingrediente eterno e inestirpabile. L’espunzione del concetto di tradimento dal racconto e dell’analisi dei fatti attinenti alla vita delle moderne democrazie sembra fra l’altro implicare l’idea che a nessun politico del nostro tempo possa essere riconosciuta la stoffa del traditore. Al tipo del politico moderno sarebbe dunque negata in radice la capacità di tradire. Ciò che distingue il politico di oggi da quello di una volta non sarebbe insomma soltanto un insieme di differenze storiche, ideologiche, culturali e simili, bensì una differenza propriamente antropologica, definita appunto della privazione della facoltà di tradire.

Ma allora alle moderne democrazie non dovremmo attribuire soltanto tutti i caratteri che vengono loro abitualmente riconosciuti dagli storici e dai politologi ma anche una sorta di potere salvifico e palingenetico, attestato da quel loro sommo prodotto che sarebbe appunto il politico privo per definizione della facoltà di tradire: un angioletto non molto diverso dal famoso Uomo Nuovo sognato da tutte le utopie basate sul miraggio della paradiso in terra. Fossi Fini, in questo proposito di privarmi della qualifica di “traditore”, vedrei un misconoscimento del mio vero rango. E sventolerei con vigore l’onore di appartenere alla stirpe dei Bruto e dei Cassio. Insomma rivendicherei il mio diritto di iscrivermi all’albo d’oro dei tanti eroi che proprio con un atto di squisito tradimento hanno potentemente contribuito all’avvento di qualche evento epocale. Vedi quel famoso fellone, di nome Giuda, che col suo tradimento rese possibile la stessa nascita del cristianesimo. Che, come certo sanno anche quei geniacci di Futuro e Libertà, è assolutamente inseparabile da un atto che consistendo nella denuncia di Cristo a un organismo insieme religioso, politico e giudiziario quale era il Sinedrio ebraico, e avendo così provocato una sentenza di morte emessa da un organismo anch’esso politico quale era la prefettura di Roma in Giudea, fu anche, anzi forse soprattutto, un atto politico. Ruggero Guarini, il Tempo, 29 novembre 2010