Dopo la pubblicazione di migliaia di documenti provenienti dal dipartimento di stato americano, si apre una nuova stagione nei rapporti tra l’America e il resto del mondo. Ecco ne pensa il direttore de Il Tempo, Mario Sechi.

Washington, la Casa Bianca Benvenuti nel mondo reale. Cari lettori de Il Tempo, la pubblicazione dei report del Dipartimento di Stato da parte di Wikileaks è uno degli eventi che segnerà la storia delle relazioni internazionali e cambierà le regole del Grande Gioco. Quello che sta accadendo è preoccupante per la stabilità del sistema globale e della governance mondiale. Gli scricchiolii di questo apparato sono sotto gli occhi di tutti da molto tempo e non ci sono dubbi che siamo arrivati a un punto di svolta e servono leader dotati di mano ferma e fantasia per ridisegnare la mappa dei poteri. La politica estera statunitense messa a nudo, svelata nel suo crudo linguaggio, nella sua semplice e dura presa d’atto della situazione nei vari Paesi, è un trauma. Gli Stati Uniti sono la prima vittima di questo sconquasso e il Presidente Barack Obama è chiamato ad una sfida difficile: quest’uomo ha sulle sue spalle una responsabilità gigantesca. Con la sua presidenza finisce l’Impero Americano così come l’abbiamo conosciuto. Comincia un’altra era. E non sarà quella dell’oro.  Devo prima di tutto tornare a spiegare ai lettori che tipo di materiale è quello che pubblichiamo sulle nostre pagine. I report delle ambasciate americane nel mondo sono da considerare come una sorta di «materiale grezzo» della politica estera, sono la fase preliminare della lavorazione finale, sono «informazioni candide» – espressione usata ieri dalla Casa Bianca – prive delle sfumature proprie invece del minuetto diplomatico finale, il linguaggio felpato delle feluche in cui sembra che nessuno abbia perso la partita e vissero tutti felici e contenti. E invece la politica non è così. Da avido lettore di Machiavelli non ne sono sorpreso neanche un po’, ma dobbiamo immaginare l’effetto che quelle frasi provocano sulla politique politicienne, sulla politica politicante e sull’opinione pubblica. Viviamo in una società dove la politica è comunicazione allo stato puro e spesso poco altro. I report sono costruiti attraverso fonti dirette, l’analisi dell’intero spettro dei mezzi di comunicazione, contatti istituzionali al più alto livello. Sono per natura «confindenziali». Sono il più importante prodotto della diplomazia e per forza devono avere quel linguaggio.

Servono a preparare i politici, sono la bussola per prendere decisioni, sono il materiale che lo sherpa chiamato a trattare con i suoi corrispondenti esteri ha nella sua borsa di pelle, sono i dossier che si studiano prima di un duro round diplomatico. Finché questi documenti restano in valigetta, circolano nel ristrettissimo club dei professionisti della politica, tutto va secondo le regole del gioco. Ma se questi report finiscono nel dibattito pubblico, diventano materiale che scotta e possono cambiare la storia. Questi report girano su una rete internet dedicata, chiamata SIPRnet, utilizzata dal Dipartimento della Difesa e dal Dipartimento di Stato. Quella rete è stata bucata e i dati prelevati. Funzionari infedeli li hanno trafugati e sono finiti nelle mani di Wikileaks, un sito internet che ha come missione quella di pubblicare notizie e documenti coperti da segreto. Il patatrac globale nasce dalla violazione del sistema di sicurezza americano. E per gli Stati Uniti è davvero un altro 11 Settembre 2001. L’incendio è appena iniziato, siamo alle prime scosse. Le cancellerie degli Stati più responsabili sono già in movimento da giorni, i leader che hanno a cuore la pace e la cooperazione, si daranno da fare per mettere qua e là delle pezze su questa falla ciclopica. Ma siamo comunque a un turning point della storia americana e non solo, a un punto di svolta fino a qualche tempo fa incredibile persino da ipotizzare. E invece eccoci qua a raccontare e commentare la più grande fuga di notizie della storia.

I suoi contraccolpi li vedremo molto presto. L’informazione in tempo reale può essere più letale di qualsiasi arma, lo sviluppo della rete digitale l’ha resa potentissima, pervasiva, capace di raggiungere ogni singola istituzione e persona dotata di «connessione», online. Da molti anni seguo con passione e attenzione lo sviluppo di questo mondo parallelo, la sua capacità di cambiare le nostre vite e relazioni, la sua influenza sull’attività umana, la sua capacità di creare e distruggere lavoro, offrire opportunità, accrescere pericoli, diffondere sapere e nello stesso tempo rendere più forti e vulnerabili noi tutti. La sua «crescita esponenziale» è il dogma in cui gli Stati Uniti credono in maniera assoluta, è la forza dominante che permette a questo straordinario Paese di guidare il settore dell’innovazione tecnologica e dunque essere ancora la prima potenza mondiale. Ma gli Stati Uniti oggi sono stati traditi proprio dalla loro più grande invenzione: internet, la rete. La politica estera americana svelata in questa maniera è la fine di un mito e l’inizio di una nuova stagione. Gli antimericani in servizio permanente effettivo festeggeranno. Non sanno quello che fanno.

Gli Stati Uniti sono il baluardo della democrazia e perfino in questa vicenda sono stati un esempio. Avevano molti modi per impedire ad Assange e a Wikileaks di pubblicare quei file, ma alla fine tutto va in rete e i giornali americani e europei fanno il loro mestiere indisturbati. Altrettanto non sarebbe potuto accadere in Cina, in Russia, nei Paesi Arabi, tutti luoghi molto amati da chi sogna il crollo degli Stati Uniti. Anche gli antiberlusconiani esultano. I giudizi sul Cavaliere sono duri, la sua politica a Washington non è mai piaciuta, i suoi legami con la Russia e la Libia sono sempre stati visti come fumo negli occhi. Il linguaggio dei report è perfetto per gli speculatori – da oggi saranno in azione – e per chi sogna il regime change a Palazzo Chigi. Al loro posto non esulterei, lo sfascio sarà collettivo. E presto lo vedranno con i loro occhi. Siamo di fronte a qualcosa di ben più grande, le pietre rotolano a valle, la crescita esponenziale della tecnologia sta accelerando i processi storici, siamo all’inizio della fine dell’impero Americano. Mario Sechi, Il Tempo,29/11/2010