Silvio Berlusconi Quando Gianfranco Fini decise di mollare gli ormeggi e costituire il gruppo di Futuro e Libertà non immaginava esattamente quale sarebbe stata la parabola della sua scelta. Ancora oggi l’ex presidente della Camera (uso «ex» perché ormai lo è solo dal punto di vista formale) non ha una visione totale dell’orizzonte politico. Ha aperto una crisi al buio e comincia a intravvederne le ombre e i limiti, piano piano si sta risvegliando da un lungo sonno, ma non ancora al punto da coglierne in toto il pericolo non dico per il Paese – non penso ne sia davvero preoccupato – ma per il suo futuro politico.
L’altro ieri con Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli ha giocato una carta puramente tattica lanciando la santa alleanza contro il Cavaliere, ma contemporaneamente cercando la via per una trattativa prima del voto del 14 dicembre. Quello che doveva essere un atto di show of force, mostrare i muscoli all’avversario, in realtà era l’ammissione di una debolezza: il Terzo Polo non ha tutte le tessere del mosaico a posto. Forse ha i numeri per mandare sotto Berlusconi alla Camera, ma non ne è sicuro. E certamente non sa che cosa può succedere dopo il voto di fiducia. L’incertezza e la paura sono i sentimenti che dominano la scena politica. Ventiquattr’ore dopo la presentazione del Triciclo anti-Cavaliere, a Fini è scappata la frizione e ha fatto una dichiarazione avventata, imprudente, che suona qualcosa di inconfessabile: «Dopo il 14 niente urne ma le cose cambieranno perché il capo dello Stato sa cosa fare».
Leggete bene: il capo dello Stato sa cosa fare. A questo punto un umile cronista, uno che il Palazzo lo conosce abbastanza da non essere proprio un gonzo, si chiede: cosa sa Fini? Cosa gli avrebbe anticipato Napolitano? Ha già in tasca lo schema con le prossime mosse della Presidenza della Repubblica? Concerta qualcosa con il Quirinale? Perché esprime queste certezze? Di che natura sono i suoi colloqui con il Colle? E a che titolo parla? È il presidente della Camera, il leader di Futuro e Libertà o un consigliere del Quirinale?
Le parole di Fini sono gravi. Disegnano uno scenario ribaltonista precostituito, preordinato, premeditato. In un altro contesto qualcuno direbbe che è un golpe istituzionale, ma siccome non siamo un Paese serio, possiamo solo dire che tradiscono un disegno che è un desiderio. Bene ha fatto Giorgio Napolitano ieri a intervenire subito e chiarire che i suoi poteri – parliamo di quello di scioglimento delle Camere – non sono plasmabili da nessuna parte politica. Né da Berlusconi né da Fini né da un fantomatico Pd né da Casini o altri. La presidenza della Repubblica ha usato parole dure e ferme. Di fronte alle dichiarazioni di Fini il capo dello Stato aveva il dovere di intervenire con rapidità. Tuttavia, a noi poveri mortali resta il dubbio che quella di Fini sia una voce dal sen fuggita e contenga qualche elemento di inquietante verità.
Sarò chiaro: dal punto di vista istituzionale anche Berlusconi commette un errore quando parla di elezioni dopo il voto di fiducia, ma a differenza di Fini, il Cavaliere non ha mai detto so che cosa farà il Presidente della Repubblica e dunque muovo il passo sicuro verso un certo obiettivo. Dalla parte del Pdl regna l’incertezza su quali saranno le mosse di Napolitano. Non così è sembrato per Fini, la sua sicurezza nel disegnare quel che accadrà dalle parti del Quirinale è sconcertante per chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la materia. Stiamo vivendo un passaggio delicatissimo della vita politica e la confusione istituzionale è totale. L’invasione di campo è diventata una consuetudine e nessuno sembra aver capito bene che cosa sta accadendo.
Tra quelli che non hanno capito nulla c’è Denis Verdini, uno dei tre coordinatori del Pdl. Mi dispiace per lui, è un gran simpaticone, ma liquidare le prerogative del capo dello Stato con un «ce ne freghiamo» mette in luce una capacità di analisi dello scenario politico pari a zero. Mentre il suo partito mette a segno un punto essenziale per giocare la partita della fiducia, lui invece mette la firma su un fiasco colossale. Tira fuori «le prerogative dei partiti» e non coglie il senso di quanto sta accadendo. Avrebbe bisogno di un piccolo Machiavelli portatile, ma dubito che possa riuscire a capirne il significato.
Riepilogo del pasticciaccio:
1. Fini fa correre la lingua e svela un plot politico al di là dell’immaginabile;

2. il capo dello Stato è messo in una situazione di gravissimo imbarazzo e fa rapidamente una nota in cui ribadisce la sua indipendenza e i suoi poteri;

3. questo mette il Pdl in una posizione perfetta per dispiegare la sua strategia prima e soprattutto dopo il voto di fiducia;

4. Verdini fa quello che esce dall’osteria ed entra in una cristalleria politica, non capisce che ha intorno a sé merce piuttosto delicata, sbuffa, bofonchia e rompe piatti e bicchieri con gran frastuono e risate generali degli avversari che fino a qualche minuto prima avevano il terrore disegnato in volto.

5.Verdini cerca di metterci una toppa e fa una nota per puntualizzare, si fa per dire, il suo pensiero.
Il patatrac non si cancella, ma neppure le parole di Fini che hanno ben altro spessore politico rispetto a quelle di Verdini. La sortita del leader di Futuro e Libertà infatti resta nitroglicerina e avrà conseguenze serissime sul dibattito parlamentare e le mosse di tutti gli attori in campo. Tutte le manovre dei protagonisti della crisi sono sul filo di lana. Berlusconi spera di avere la fiducia, ma sa benissimo che rischia alla Camera e può dunque ritrovarsi a gestire una crisi al buio, le consultazioni con il Quirinale e rischiare di ritrovarsi un altro governo con un altro presidente del Consiglio.

Fini è alle prese con un gruppo rissoso, diviso, incerto a tutto. Fatica a tenerlo insieme. Ha un’alleanza con Casini basata solamente sulla caduta e fine del Cavaliere. Per il resto corre in autostrada senza fari e con i freni ormai consumati. Non può permettersi le elezioni e se Berlusconi sopravvive politicamente a tutto questo per lui poi sarà difficile sottrarsi al destino del comprimario. Casini scommette sulla caduta di Silvio, ma questo pasticcio lo pone nella condizione di quello che se partecipa al ribaltone entra nella dimensione del traditore, cosa che tra l’altro lui non è, visto che nel 2008 ha deciso di stare all’opposizione. Napolitano a questo punto ha davanti a sé un terreno di gioco pieno di buche, un pantano su cui diluvia. Il campo così è davvero impraticabile. Un arbitro interrompe la partita e ne fa giocare un’altra. Con le stesse squadre, senza cambi di casacca e giocatori. Mario Sechi, Il Tempo,04/12/2010