Lo scontro tra il governo e i suoi affossatori ha fatto registrare ieri un episodio che non esitiamo a deplorare. Uno dei coordinatori del PDL, Denis Verdini, forse  (e sarebbe l’unica sua scusante) provocato dalla arrogante dichiarazione di Fini che dopo aver sostenuto la “fine del governo” si è anche avventurato a dichiarare con la spocchia che lo contraddistingue che comunque “non si  vota perchè il Capo dello Stato sa quel che deve fare”. Una dichiarazione che forse (e, ripetiamo, sarebbe unica scusante ) Verdini  ha letto come una sorta di intesa già sottoscritta tra Napolitano e Fini per cui il Quirinale in virtù delle sue prerogative costituzionali si avvierebbe a favorire un governo affidato ai “traditori e ai perdenti”.  Non è così ed infatti il Capo dello Stato ha diffuso una nota con cui rivendica le sue prerogative ma chiaramente si sottrae ad una sorta di “padrinato” che Fini pare voglia esercitare su di lui. Prima che il comunicato del Qurinale fosse noto Vedini ha manifestato una insofferenza rispetto alla ipotesi di un accordo sottobanco di Napolitano con Fini e l’ha esplicitata con frasi francamente sopra le righe la cui gravità non è venuta meno dopo la frettolosa retromarcia dello stesso Verdini.  Peccato. In queste ore bisogna mantenere la calma ed evitare che traditori e perdenti possano ritrovarsi nel loro arco frecce offerte dallo stesso asse governativo, raccogliendo le provocazioni di chi sta usando l’attacco per difendersi. Lo scrive oggi sul Corriere della Sera uno dei più lucidi commentatori della politica italiana, Massimo Franco, in nota che pubblichiamo di seguito. Comunque,  occorre calma e sangue freddo. g.

L’articolo di Massimo FRANCO

L’episodio di ieri sera lascia intravedere quali pressioni è destinato a subire il Quirinale, fino al rischio di scontro.

E’ stupefacente il modo rozzo e autolesionistico col quale uno dei coordinatori del Pdl ha ritenuto di rivolgersi al Quirinale. Una frase da comizio, che aveva preceduto una nota con la quale Giorgio Napolitano si era limitato a far sapere ufficiosamente che «nessuna presa di posizione di qualsiasi parte» poteva oscurare le sue prerogative: poche parole interpretate come un altolà a chi dà per scontato il voto anticipato; ma anche a Fini, che ieri ha attribuito al capo dello Stato l’intenzione di formare un altro governo se cade quello di Berlusconi. Lo stentoreo «ce ne freghiamo delle prerogative» del Quirinale, gridato ieri sera da Denis Verdini, non è soltanto un atto di volgarità istituzionale: è un autogol politico per il governo, che sembra Berlusconi abbia subìto, perché si dice non ne sapesse nulla. Il coordinatore del Pdl ha trasformato un possibile vantaggio rispetto a Fini in un danno, insultando un Napolitano che ha sempre mostrato rare doti di equilibrio. Ed ha rivelato la tentazione di una parte del Pdl di arrivare anche allo scontro col Quirinale pur di avere le elezioni. Per un «terzo polo» che procede verso la resa dei conti contro Berlusconi quasi a tappe forzate, si tratta di un aiuto insperato. Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini sono decisi a picconare il presidente del Consiglio nella speranza vana di indurlo alle dimissioni prima del 14 dicembre. La mozione di sfiducia con 85 firme, depositata ieri, dovrebbe preannunciare la crisi di governo.

Ma l’episodio di ieri sera lascia intravedere quali pressioni è destinato a subire il Quirinale. Fini ieri ha sostenuto che «il capo dello Stato sa cosa deve fare nel rispetto della Costituzione». Ed ha escluso il voto anticipato, facendo insorgere il resto del centrodestra e creando malumori anche al Quirinale. Per il Pdl era una scorrettezza istituzionale che richiedeva l’intervento di Napolitano. Il problema è che quando il Colle si è mosso, qualcuno nel Pdl già aveva reagito attaccandolo: quasi un’anticipazione dello sfondo di veleni sul quale Napolitano sarà presto chiamato a svolgere il suo ruolo cruciale di arbitro.

Il «terzo polo» e il centrosinistra insistono sulla possibilità di allargare la maggioranza dopo la crisi. Il fronte berlusconiano contempla le urne. Fra questi due estremi c’è una terra di nessuno che il capo dello Stato sarà costretto a percorrere armato solo della bussola della Costituzione. Il problema è che ognuno la vuole piegare ai propri obiettivi. E, se li manca, rischia di cedere alla tentazione di scaricare il proprio fallimento sul Quirinale. Berlusconi cerca di esorcizzare la seduta del Parlamento del 14 dicembre, definendo la mozione di Udc, Fli e Api «una bufala»; e i 317 voti teorici contro il governo una massa destinata a frantumarsi. Casini gli risponde con durezza, invitandolo a «prendersela con se stesso per avere dilapidato la più grande maggioranza del dopoguerra».

Ma perfino l’ideologo di Farefuturo, Alessandro Campi, avverte che «una maggioranza parlamentare antiberlusconiana ed un governo tecnico sarebbero un regalo al premier ed un obbrobrio politico-istituzionale». Sono segnali di perplessità, che, almeno in apparenza, non affiorano nell’«asse del Nord»: almeno non ancora. Casini e Fini si rendono conto che l’idea di essere usati dalla sinistra per abbattere il governo può danneggiarli. E replicano di volere solo «un vero centrodestra. La premessa comune è che l’era berlusconiana si è esaurita. E dietro le loro manovre ed i loro ultimatum si indovina un calcolo azzardato: sperano che se si dovesse aprire davvero la crisi, il Pdl si squagli e la Lega si smarchi. Per il momento gli indizi sono a dir poco labili, sotto traccia: al punto da fare apparire l’offensiva una corazza che nasconde molte inquietudini. Probabilmente una fase è finita davvero, ma la fretta di archiviarla può in realtà prolungarla in maniera imprevedibile: nonostante il contributo maldestro di alcuni berlusconiani. Massimo FRANCO, Il Corriere della Sera, 4 dicembre 2010