Roma – Acrobati del pensiero. Svolte e contro svolte. Avanti e indietro. I futuristi sono sempre più in là. Sempre oltre. Oltre se stessi e quello che avevano pontificato ex cathedra qualche giorno prima. Salgono sui tetti, poi scendono e votano la riforma dell’università. Dichiarano finita l’esperienza del berlusconismo, però cinque minuti dopo assicurano che è lui, il Cavaliere, il leader del centrodestra. Ma quale centrodestra? I finiani sono di destra? In realtà ammiccano a sinistra, ma si proclamano di destra. Sono tutto e il contrario di tutto. Congiurano contro il Cavaliere ma sono pronti a sostenerlo. Berlusconi deve farsi da parte, è bruciato, è finito, non c’è più. Ma già che c’è resti pure a Palazzo Chigi. Purché cambi. Ma cambi che cosa? Discontinuità, è una delle parole chiave. Discontinuità, ovvero il sogno di un centrodestra orfano del Cavaliere. O forse non è un centrodestra è un centroqualcosa d’altro. Ma, si sa, i sogni muoiono all’alba e allora il cofondatore del Pdl, partito battezzato ieri e oggi rinnegato, studia da protesi per un Berlusconi bis, appena ripudiato. E qualcuno dei suoi si spinge oltre, si può procedere così, a andare avanti con il Berlusconi 1. Dopo aver vagheggiato e impallinato il Berlusconi 2 e aver chiesto al Cavaliere di indicare il nome del suo successore. «Sarebbe folle andare a votare in questo momento storico – ci spiega, apocalittico, Luca Barbareschi – sta fallendo il Paese, l’Italia non c’è più o forse non vi hanno avvertito?», domanda ironico alle autorità riunite al Teatro Petruzzelli di Bari. Ecco, parafrasando Barbareschi, si potrebbe dire: sono pazzi questi finiani. Un po’ futuristi e un po’ retrò. Più avanti e più indietro. Anti Cavaliere e pro Cavaliere. Un prisma dalle cento facce. Le cento facce di Gianfranco Fini.

Il Giornale, 10 dicembre 2010

IL COMMENTO DI VITTORIO MACIOCE

Quando gli dei vo­gliono punire gli uomini esau­discono i loro desideri. Qualcosa del genere deve essere capi­tato ai finiani. Volevano un partito? Ce l’hanno. Volevano il futuro? Sta arrivando. Volevano una mozione di sfiducia contro Berlusconi? Ec­cole, ce ne sono addirit­tura due, in calendario il 14 dicembre. La disgra­zia è che sono tutti im­pazziti. Non riescono a sostenere il peso delle loro preghiere.

Hanno lasciato il Pdl convinti che bastasse battere tutti insieme i piedi per mettere a soq­quadro il mondo. Un at­timo­dopo si sono accor­ti che ognuno sta batten­do il tempo per conto suo. Moffa saltella cau­to e lento, Bocchino a de­stra e sinistra, Granata come un invasato conti­nua a urlare «più forte, più forte», Barbareschi da primo attore sbraita: la scena è mia.

Insomma, si stanno tutti sulle scatole. L’uni­co sentimento che li tie­ne insieme è la guerri­glia nichilista. Sfascia­mo tutto, ma giorno per giorno. Quello che resta di futuro e libertà è la scritta Fini e un simbolo che ricorda la scatola del formaggino Mio. E la paura. Tutti lì dentro sanno che se si va a vota­re adesso sono rovinati. Il bluff non è riuscito. Berlusconi invece di al­zarsi dal tavolo è andato a vedere le carte. Il para­dosso è che ora accusa­n­o la maggioranza di so­stenersi con i voti di «parlamentari non doc», eletti con un altro schieramento. I tradito­ri si lamentano dei tradi­tori.

Formiche nel panico. Ogni giorno c’è qualcu­no che dice «andiamo lì» e subito un altro ri­sponde «no, no, dall’al­tra parte». Bersani e Ca­sini stramazzano, ubria­cati dalla politica dello stop and go. E Fini? Fini cerca di convincere gli italiani che la sua dop­pia parte in commedia sia normale. Fa l’uomo delle istituzioni e il parti­giano, il presidente del­la Camera e il capo del­l’opposizione, il media­tore e il ribaltonista. Sve­la i piani di Napolitano: «So come andrà a fini­re ». Ma perfino la parte del congiurato gli viene male. Quando a Monte­citorio incontra i depu­tati in bilico sulla sfidu­cia lo fa per tenersi ag­giornato o per convin­cerli? Fa il presidente o il segretario? La beffa è che poi si cambia d’abi­to e dice con tono solen­ne: «C’è pressione inde­bita sui deputati ». Di chi onorevole Fini? Di Ber­lusconi naturalmente.

Il sospetto è che con tutte queste maschere stia smarrendo la tra­ma. La stessa cosa acca­de nel partito. Le colom­be sono convinte che il capo abbia le piume bianche, i falchi giura­no che sono nere. Gli in­decisi vanno in giro con la maglia della Juven­tus. La conseguenza è che ognuno si sente le­gittimato a parlare con il Pdl nel nome del Fli. Bocchino va da Berlu­sconi e tratta il post 14 dicembre. Ma vuole che il Cavaliere faccia finta di dimettersi. Moffa di­ce che non serve neppu­re fare finta. Tutti fanno finta di non capire. Sfi­ducia sì, sfiducia no, sfi­ducia boh. Basta. Perfi­no i veterani del Transa­tl­antico si rifiutano di se­guire i ghirigori finiani. C’è da impazzire.La sce­na la chiude Barbare­schi: «Si va alla sfiducia, pazzo chi ci ripensa». Appunto. Sono pazzi questi finiani.