Se Berlusconi non ride (perlomeno sino al 15 dicembre) la sinistra di Bersani e dintorni può solo piangere. Quando il Pd era il Pc—da Togliatti a Berlinguer — il cursus honorum, la carriera, era rigidamente disciplinata: prima una esperienza nelle amministrazioni locali, poi, per i più bravi, il parlamento nazionale. Il tutto era deciso dalla segreteria del partito e, in ultima istanza, dal suo segretario. Allora nessuno osava dire, e nemmeno pensare, che i Pajetta e i Terracini di quel tempo fossero da «rottamare», da pensionare perché vecchi. E se Togliatti non fosse deceduto anzitempo, nessuno lo avrebbe contestato nemmeno a 90 anni. Eppure quel Pc, nel complesso «anzianotto», arrivò a conseguire un terzo del voto degli italiani e quasi a sorpassare la Dc.

Rispetto alla sua epoca d’oro la nostra sinistra post-comunista di oggi esibisce leader relativamente giovani, da D’Alema a Fassino a Veltroni e Bersani. Nessun vegliardo. Eppure il sindaco di Firenze Matteo Renzi (35 anni) e il governatore della Puglia Vendola (52 anni) li definiscono «roba vecchia», materiale da pensione. La loro parola d’ordine è avanti i giovani, e cioè sé stessi. Nella storia, da sempre e dappertutto, il giovanilismo è raro. Le irrequietezze giovanili cominciano con lo Sturm und Drang (tempesta e assalto) dei primi romantici e, in Italia, con il futurismo e il fascismo. Ma furono fuochi fatui. Le rivoluzioni sono spesso promosse dai giovani; giovani che però si attaccano al potere sino alla morte. Quando l’Urss si dissolse esibiva la più straordinaria gerontocrazia (governo dei vecchi) al mondo.

Dicevo che il giovanilismo non dura. È così per forza, perché i giovani diventano vecchi. Ma è anche bene che sia così. I giovani apportano un elemento — l’energia — che gli anziani non hanno più, mentre gli anziani apportano l’elemento che i giovani ancora non hanno, e cioè esperienza e conoscenze. Insomma, gioventù è energia senza sapere, anzianità è sapere senza energia. Le civiltà decadono per senescenza e quando diventano gerontocrazia. Però, nessuna civiltà è mai emersa da una paidocrazia, dal potere dei giovani. In questo momento la scuola è in subbuglio e i giovani si battono contro la riforma dell’Università. È una riforma senza soldi, e questo è il suo più grave limite. Ma, soldi a parte, la riforma Gelmini non è una cattiva riforma. Ed è una riforma necessaria perché affronta le insensatezze legislative e gli abusi «baronali » degli ultimi decenni.

Non so se la generazione in agitazione sia, come scrive Barbara Spinelli su Repubblica, una «generazione bruciata». Ma è certamente una generazione allevata dalla promessa insensata delle «aspettative crescenti». Sì, i giovani di oggi avranno una vita dura. Ma fu dura anche la vita dei giovani che si trovarono, dopo la fine dell’ultima guerra, con un Paese distrutto e un avvenire che sembrava senza avvenire. Noi, i giovani di allora, ce la siamo cavata. Ma i giovani di oggi che si battono contro la riforma universitaria Gelmini si battono a proprio danno e per il proprio male. Giovanni SARTORI, Il Corriere della Sera, 11 dicembre 2010

……..Per una volta ci troviamo perfettamente d’accordo con Sartori. Per una volta Sartori riesce ad essere savio ed equilibrato, per una volta riesce anche a dire la verità superando la faziosità (la riforma Gelmini dell’Università, è una buona riforma…). E benchè nutriamo il dubbio che il suo equilibrio sia dovuto alla sua vecchiaia e quindi sia interessato,  ciònonostante ci riconosciamo nelle sue parole a proposito di “giovanilismo e rottamazione”, senza nascondere il nostro…di interesse. g.