LO SCANDALO E’ IL FLI CHE CALPESTA LA SOVRANITA’ POPOLARE
Pubblicato il 13 dicembre, 2010 in Politica | Nessun commento »
Il 21 ottobre del 1998 nacque il governo D’Alema, la prima volta di un ex comunista, quell’esecutivo ottenne la maggioranza e la fiducia grazie all’apporto determinante di 39 parlamentari eletti nel centrodestra, alcuni addirittura «nominati» nelle quote proporzionali, come il ministro della Difesa Carlo Scognamiglio proveniente dalla lista di Forza Italia. Molti di questi deputati ricevettero indubbiamente vantaggi politici perché divennero ministri o sottosegretari. Non vi furono remore ideologiche, D’Alema nominò sottosegretario il senatore Romano Misserville, storico esponente missino, che si dichiarò estimatore di Benito Mussolini. Il centrosinistra non aveva una maggioranza, varò altri due governi grazie al trasformismo di deputati eletti col centrodestra. Nessuna procura aprì inchieste per verificare quali «utilità» (usiamo la terminologia del codice penale) fossero state riconosciute.
Nessuno si sognerebbe di affermare che Giovanni Giolitti non sia stato uno statista, il suo riformismo segnò il delicato passaggio dall’Italia agricola a quella industriale. Eppure, Giolitti per tenere in piedi i suoi governi fu costretto a ricorrere spesso alla pratica del cambio di schieramento di alcuni parlamentari. Quei governi introdussero il suffragio universale che ampliò la base democratica dell’elettorato, riconobbero l’azione dei sindacati, instaurarono la prima previdenza sociale. Prezzolini che pure attaccò duramente Giolitti, poi pentito lo definì la «prosa della politica». Camillo Benso, conte di Cavour, il padre dell’unità italiana, per supportare i suoi progetti unitari nel 1852 inaugurò il cosiddetto connubio, l’aiuto di deputati provenienti dall’opposizione. Quando, eletto deputato nel 1887, Gabriele D’Annunzio cambiò schieramento politico, pronunciò la celebre affermazione «vado verso la vita». Winston Churchill iniziò a militare nel partito conservatore, poi passo ai liberali con i quali fu ministro, per poi tornare a guidare i conservatori.
Tornando ad oggi, l’impressione è che ogniqualvolta un parlamentare del centrosinistra si schiera col centrodestra viene immediatamente bollato come un volgare «venduto», mentre quando accade l’inverso, cioè un deputato del centrodestra che va a sinistra, diventa un virtuoso che dopo una meditata e travagliata analisi approda alla terra del bene. Se spostiamo, però, l’asse del discorso dalle boutade della politica alla dottrina costituzionale, si verifica come tutta la materia debba rimanere assolutamente confinata nell’ambito della politica senza alcun risvolto giudiziario. Anche uno studente di giurisprudenza che prepara l’esame di diritto costituzionale sa bene che l’articolo 68 della Costituzione pone paletti invalicabili quando recita che «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Questo articolo consacra un principio di autonomia e indipendenza del Parlamento, di antica derivazione e sacro in tutte le democrazie. Se così non fosse si minerebbe l’autonomia della politica e soprattutto la sovranità popolare, perché in ogni atto politico o voto potrebbe essere ravvisata, più o meno strumentalmente, merce di scambio. Cosa dire quando la sinistra propose e ottenne un regime fiscale di vantaggio per le cooperative, salvo verificare una certa contiguità economica fra proponenti e avvantaggiati?
Il trasformismo è eticamente e storicamente una pratica deprecabile, assolutamente criticabile sul terreno della filosofia politica. Tuttavia, come hanno insegnato Benedetto Croce e una lunga schiera di pensatori, guai a pesare la politica con categorie del diritto. La politica deve essere giudicata dai cittadini e non da altri poteri che potrebbero coltivare disegni egemonici. La nascita del nuovo gruppo parlamentare di Futuro e libertà, in questi mesi, sta mettendo a rischio la tenuta della maggioranza politica espressa liberamente dai cittadini italiani in una consultazione elettorale. Il patrimonio da preservare è, sicuramente, questo, perché frutto della più alta espressione democratica: la sovranità popolare. Il Giornale, 13 dicembre 2010