Il Corriere della sera ha intervistato un assistente di polizia che martedì era in piazza ad arginmare la violenza dei dimostranti, armati di picconi ed accette. E’ uno sfogo che dedichiamo a terzaforzisti di sempre, alla sinistra ceh fa finta di solidarizzare con le forze dell’ordine e in realtà tenta di scaricare sui poliziotti la responsbilità delle violenze. Dice il poliziotto intervistato dal Corriere che i genitori dei fermati invece di rimproverare i figli, inveivano contro “i pezzi di m…da  che no li rilasciano”.  E stigmatizza il rilascio ordinato dalla Magistratiura che così incita alla violenza. Ecco l’intervista.

ROMA – «Dio non voglia che questi, un giorno, raggiungano il loro scopo: uccidere uno di noi. Come gli ultrà hanno fatto con Raciti. Perché allora non so proprio come andrebbe a finire. I politici, gli onorevoli come li chiamo io, devono capire che bisogna cambiare strada. Subito». «Drago» è una montagna. Lo è nell’aspetto, ma anche dentro. Due lauree brevi, una famiglia da mantenere. Gianluca Salvatori («Ma se non dite Luca Drago nessuno mi riconosce», ci tiene a sottolineare) ha 43 anni, è un assistente capo della polizia. E un punto di riferimento per gli agenti del Reparto mobile di Roma. Un celerino, insomma. Di quelli che martedì scorso si sono ritrovati a fronteggiare centinaia di teppisti scatenati.

«Da soli, in 25, abbiamo respinto 5 mila energumeni armati di “male e peggio”, picconi, accette: ma quando ci daranno qualcosa di meglio di uno scudo e un manganello? Dove sono gli idranti e i “capsulum” (un potente lancia-peperoncino)?», chiede «Drago», che a piazza del Popolo ha preso colpi al petto e a una spalla, ed è finito in ospedale.

Luca è un giellista (dal Gl40, piccolo fucile usato per sparare lacrimogeni) e guida i blindati. È anche impegnato nei sindacati, come segretario provinciale della Consap. Ma la sua casa è la caserma di Ponte Galeria. Sulla carta oltre 500 uomini, «ma alla fine siamo 250. Un gruppo unito, legato da affetto fraterno, una squadra più simile a una famiglia». Con una vita in prima linea. «Per 1.200 euro al mese, più 13 di indennità nei giorni di ordine pubblico – svela l’agente -. Quanto guadagniamo all’ora nemmeno ve lo dico perché è ridicolo. I nostri colleghi spagnoli prendono quasi il triplo, gli altri anche di più. Ce la battiamo solo con i greci, ma lì è un’altra storia».

Quasi tutti i giorni con casco, scudo e mimetica imbottita. Nelle manifestazioni e allo stadio. Gli insulti nemmeno li sente più: «Di quelli non mi preoccupo – aggiunge il poliziotto – non mi offendo, anzi non ci offendiamo, noi del Reparto: li guardi in faccia, questi ragazzini, anche loro con i caschi e gli scudi. A qualcuno gliel’ho anche detto: “Ma lo capisci che con un arresto ti rovino il futuro?” C’è chi ti sta a sentire, chi ti ringrazia, come uno di Pisa che ho incontrato in ospedale. Ma tanti se ne fregano. E magari un giorno te li ritrovi a fare politica».

«Drago» c’era anche a largo Goldoni, durante l’aggressione al finanziere. Con i suoi («Compagni, camerati, colleghi? Come li devo chiamare per non essere etichettato?») è fra coloro che sono corsi in aiuto del militare. «C’erano tutte le condizioni perché usasse la pistola che volevano portargli via – spiega l’assistente capo – ma lui non l’ha fatto. Immaginate cosa sarebbe successo se un manifestante fosse riuscito a prenderla? Nell’ordine pubblico non si può sbagliare, non è come fare le indagini, dove c’è il tempo di fare correzioni. Da noi no. Quello che si prevede non è mai quello che accade. E in piazza non siamo solo poliziotti: siamo i supplenti di un governo, come anche ha detto il capo della polizia, di destra o di sinistra che sia, che invece non ci tutela come dovrebbe. I politici promettono aiuti che non arrivano mai e noi sacrifichiamo le nostre vite, privato compreso».
Essere un celerino vuol dire anche questo: «Certo, crediamo in quello che facciamo, per me è una vocazione. Martedì, come le altre volte, siamo stati i difensori di Roma contro un’orda di barbari. Ma anche noi abbiamo il diritto di tornare a casa tutti interi. Abbiamo madri, mogli e figli che ci aspettano. Proprio come i teppisti che fermiamo. Invece ci lapidano e ci ordinano di stare fermi, immobili. A subire di tutto. Non dico che le “teste calde” che ci sono fra noi facciano bene a sfogarsi. È chiaro che sbagliano, ma dopo 12 ore di questa storia…».

Alcuni fra i 53 feriti delle forze dell’ordine vogliono costituirsi parte civile contro chi li ha fatti finire in ospedale negli scontri a via del Corso e piazza del Popolo. Finora per tutti loro l’unica soddisfazione di una giornata drammatica è stato l’sms di ringraziamento inviato dal questore Francesco Tagliente. «Un onore, un conforto, non era mai successo prima», spiega «Drago», che però protesta: «Se un agente sbaglia paga tre volte rispetto a un cittadino normale, ma i danni fatti da questi teppisti a chi li chiediamo? Ai genitori? Tanto nemmeno loro capiscono: sempre martedì, in commissariato, ne ho incontrati alcuni – racconta l’agente -. Volevano notizie dei figli fermati. Per loro era come se fosse stato normale. “Dobbiamo aspettare che ste’ m…. decidono se carcerarlo oppure no”, diceva uno. Ma che scherziamo? Se succedesse a mio figlio il primo a picchiarlo sarei io». L’ultimo affronto poi è arrivato con la scarcerazione dei 22 arrestati di martedì. E su questo «Drago» chiude il discorso: «Ormai si sentono legittimati a fare tutto. Legittimati dalla giustizia che li mette fuori dopo tutto quel casino. E a ripresentarsi in piazza la settimana prossima. Ma ci saremo anche noi, come sempre». Rinaldo Frignani, Il Corrioere della sera, 18 dicembre 2010