ALL’ALBA DEL 2011: GLI OTTIMISTI, I PESSIMISTI E GLI SCOMODI REALISTI, l’editoriale di Mario Sechi
Pubblicato il 2 gennaio, 2011 in Politica | Nessun commento »
All’inizio di un nuovo anno tutti facciamo dei progetti e cerchiamo di capire quale sarà il tragitto dei prossimi dodici mesi e proviamo a vedere il futuro. In questa occasione gli italiani si dividono in due scuole di pensiero: gli ottimisti e i pessimisti. Manca al nostro popolo una terza corrente, quella che per me è la più importante, la vera bussola dell’esistenza, la scuola dei realisti. Ottimismo e pessimismo sono echeggiati in queste ore in due discorsi di una certa importanza: quello di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e quello del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nell’occasione del «Te Deum». Entrambi i discorsi sono stati salutati con approvazione generale di tutti o quasi. È il primo segnale che qualcosa non va. Dal Quirinale è giunto un invito all’Italia «a dirsi la verità» e cercare un futuro per i giovani, mentre dalla voce dei vescovi s’è levato l’invito a non cadere «nella tentazione della sfiducia» e non dar retta a chi vede lo sfascio ovunque. L’intervento di Napolitano era un «andiamoci piano con l’ottimismo». Quello di Bagnasco un «basta con il pessimismo». Tra Cesare e Dio la divisione c’è e non è di quelle che non si notano. Come vedete, cari lettori, siamo nel pieno della cronaca e del pubblico dibattito istituzionale. Cercherò in questo articolo di disegnare i tratti delle prime due scuole (ottimisti e pessimisti) e spiegare perché l’assenza della terza, quella dei realisti sia il vero problema dell’Italia. La mia modesta opinione è che né gli ottimisti né i realisti sono granché utili alle cause di un Paese che quest’anno celebra i 150 anni della sua unità. Cercherò in queste righe di fare una fotografia delle due scuole che dominano la politica italiana, di ricordare che cosa sono i realisti e perché la loro sostanziale assenza dalla scena è un problema non solo per lo Stato ma anche per la qualità del dibattito pubblico, la libera circolazione delle idee e la ricchezza intellettuale della classe dirigente di oggi e del futuro.
Gli ottimisti Vedono un mondo in continua crescita ed evoluzione, un’Italia in ogni caso destinata a cavarsela sempre bene, grazie al genio innato, all’arte di arrangiarsi, al cosiddetto stellone e all’innegabile e singolare ricchezza delle famiglie italiane nel loro complesso. Vedono la realtà con lenti deformate. Gli ottimisti non scorgono alcun grave pericolo all’orizzonte. Quando lanciano un monito, lo fanno per mettere in guardia la fazione opposta, raramente fanno autocritica. Il progresso è sempre dietro l’angolo e per loro coglierlo è semplice. I sacrifici, che pure non negano, sono sempre marginali rispetto ai guadagni attesi. È una visione del mondo che accomuna sia la destra che la sinistra italiana. I primi pensano che non ci può essere governo migliore, i secondi vivono nella convinzione di essere più bravi a prescindere. L’ottimista non ha dubbi. Va sempre avanti. Non si volta mai indietro, non ascolta e se per caso ti dà udienza, un minuto dopo averti dato ragione prosegue dritto per la sua strada, anche e soprattutto quando è palese che è sbagliata. L’ottimista di destra ha fede in se stesso e basta. È un invididualista con il turbo. L’ottimista di sinistra crede nell’Idea. È un astrattista del collettivo. Ottimisti e pessimisti partono da premesse diverse, giungono a conclusioni opposte, ma gli esiti finali della loro azione sono comuni: un raccolto gigantesco di errori e omissioni.
I pessimisti Non sono vestiti da jettatori, ma li riconosci comunque subito. Se l’ottimista ti racconta che tutto va bene, il pessimista non manca ogni cinque minuti di dirti che va tutto male. Sono i nuovi declinisti, quelli che per distruggere l’avversario costi quel che costi, demoliscono anche tutto quel che di buono c’è intorno. Il pessimista ha il potere enorme di annichilire chiunque abbia un’idea nuova, un sogno. La loro missione quando si alzano dal letto è quella di spegnere sul nascere ogni iniziativa effervescente. Se hai una buona idea e la spiattelli in faccia al pessimista, puoi star certo che dopo cinque minuti chiedi un tranquillante. I pessimisti sono un movimento trasversale che prospera a destra e a sinistra. Costruiscono la loro fortuna predicando sfortuna, miseria al posto della prosperità e punizione in luogo del perdono. Non hanno né paura né speranza perché per assolvere la funzione di cui si sentono investiti, devono obbedire ciecamente alla legge del «va tutto peggio e meglio non deve andare». I pessimisti hanno una rendita di pozione mostruosa: predicando sventura diventano catastrofisti a contratto. Scrivono libri. Non azzeccano mai una previsione, ma il loro reddito migliora e lo si vede perché gli abiti che portano in tv sono cuciti meglio dell’ultima volta.
I realisti Sono una minoranza e sono circondati come Custer a Little Big Horn. Non osano neppure scambiarsi gli auguri al telefono per non incorrere in pericolose congetture dei pessimisti e degli ottimisti a loro danno. Partecipano al dibattito pubblico con interventi che cercano di riportare tutti sulla terra, ma non avendo l’audience riservata ai due correntoni, non riescono a influire sulle scelte finali. La scuola realista, rarità del Belpaese, si ispira a pensatori pericolosi, mai citati in un salotto à la page: Hobbes, Morgenthau, Carr e l’italianissimo Niccolò Machiavelli che all’estero viene studiato con devozione e ammirazione, ma nel Belpaese suscita la riprovazione dei boudoir ottimisti e salotti pessimisti. Il realista è un po’ come il mister Wolf di Pulp Fiction: risolve problemi. Pessimisti e ottimisti invece girano intorno ai problemi, ne discutono molto e spesso li complicano. Non a caso i realisti sono stati efficaci in politica estera ma ostracizzati quando si tratta di prendere decisioni che riguardano la politica interna. Se italiana, figuriamoci. Rende molto di più in termini di consenso elettorale iscriversi tra le fila dei pessimisti o degli ottimisti. L’assenza di realismo nella politica italiana provoca degli effetti collaterali molto interessanti durante le più varie celebrazioni in cui si esibiscono sempre gli stessi oratori. I discorsi di fine anno sono il lampo del cortocircuito. Tutti, invariabilmente, spiegano con tono grave che le riforme sono necessarie, poi vai a vedere la loro biografia e toh! scopri che avrebbero dovuto farle proprio loro, gli ottimisti e i pessimisti. Quelli capaci di dire di tutto e fare il contrario di tutto. Siamo realisti: l’anno è cominciato male. Mario Sechi,Il Tempo, 2 gennaio 2011