L’Aquila: la Caritas rivela: hanno detto no a 34 milioni per i terremotati. Palermo: inchiesta sull’appalto al marito della Finocchiaro, arcigna presidente dei senatori del PD.  Questi due casi sono emblematici perché si prestano ad esser rovesciati e a mostrare il doppiopesismo che ha distrutto la politica italiana.

Il sindaco de L'Aquila Massimo Cialente Premessa: qui a Il Tempo non ci piace la magistratura d’assalto, ricordiamo sempre che il simbolo della legge è la bilancia, ci fanno orrore le sentenze preventive. Per queste semplici ragioni non mi bevo come nettare miracoloso i verbali delle procure e osservo che troppo spesso le inchieste iniziano con presunti colpevoli e finiscono con certissimi innocenti. E per questo credo che il signor Finocchiaro, il marito di Anna, capogruppo del Pd al Senato, sia al massimo un ingenuo. E sempre per queste ragioni penso che le accuse della Caritas alla giunta comunale dell’Aquila – e al suo sindaco Massimo Cialente – siano da pesare. In ogni caso, questi due casi sono emblematici perché si prestano ad esser rovesciati e a mostrare il doppiopesismo che ha distrutto la politica italiana e, in particolare, la sinistra nel suo complesso. Se al posto del marito della Finocchiaro ci fosse stato, che ne so, il marito di Maria Stella Gelmini e se al posto del sindaco Cialente ci fosse stato, così tanto per gradire, Gianni Alemanno, secondo voi, cari lettori, cosa sarebbe successo? Immagino la scena: dichiarazioni sdegnate della Finocchiaro in Parlamento che chiedeva le dimissioni del ministro; interrogazioni e interpellanze dei democratici contro il primo cittadino della Capitale; titoloni cubitali dei giornaloni, servizi televisivi dove venivano intervistati gli studenti universitari che esprimevano il loro sdegno per la ministra tagliabilanci; marce di intellettuali e Ong sotto il Campidoglio e articolesse grondanti di vibrante protesta e severa indignazione. Due pesi, due misure. Questo è il fulgido esempio che viene dai sinistrati del Belpaese.

A Palermo, a Catania e all’Aquila, dove il Progresso perde sistematicamente le elezioni ma riempie le piazze di minoranze rumorose, si consuma una nemesi dell’opposizione. Quella che in Sicilia teorizza il Pdl come partito-mafia e in Abruzzo scarriola contro un governo che ce l’ha messa tutta per dare una casa ai terremotati e affrontare un’immane tragedia. Non mi interessano le contese giudiziarie, le lasciamo ai magistrati e speriamo vivamente che si chiudano nel migliore dei modi, ma siamo invece molto attenti al costume politico, ai suoi tic, alle sue ipocrisie e mancanze. Uno dei motivi per cui il sistema politico italiano è bloccato alla contesa tra berlusconiani e antiberlusconiani è proprio questa incapacità di fare autocritica da parte della sinistra, l’assoluta impermeabilità alla civiltà del dibattito e al rispetto dell’avversario. Forti della barzelletta della presunta superiorità morale, hanno raccontato al Paese per decenni di essere «diversi» e se qualcuno veniva beccato con le mani nella marmellata (o sulla pistola) erano solo e soltanto «compagni che sbagliano». Mi dispiace, ma non è così. Noi quella favoletta non ce la sorbiamo. La sinistra non ha niente di superiore, semmai ha un passato imbarazzante (ricordate il comunismo?) e un presente da raccontare nel bene e anche nel male. Non sto dicendo che i partiti sono tutti uguali, non cado nel qualunquismo del «magna magna» e sciocchezze simili. A destra e a sinistra ci sono fior di galantuomini. Ma nella gestione del potere emergono debolezze, fatti privati e pubblici, comportamenti disinvolti e arroganti che non sono esclusiva di un partito, sottoprodotto di un gruppo di persone. La rappresentazione che la sinistra ha voluto sciaguratamente dare del Paese e della sua storia contemporanea è un boomerang che a ondate si abbatte contro i postcomunisti.

La loro ipocrisia ha dipinto una realtà che non esiste, un mondo spaccato in due, hanno fornito una versione manichea della vita sociale che gli si sta rivoltando contro. É dai tempi di Berlinguer che vanno avanti con il mito della «diversità» e della superiorità antropologica e culturale. Solo che Berlinguer era comunista, lo era fieramente e non ripudiò neppure per un minuto la sua ideologia. I suoi eredi invece, «i ragazzi di Berlinguer» hanno sciolto il Pci e si sono scoperti post-tutto, post-muro e post-qualcosa pretendendo di essere «diversi» e migliori. E a forza di ripeterselo ci hanno creduto. E il risultato di questo mantra è sotto gli occhi di tutti. Dal governo centrale a quello locale, i postcomunisti hanno deluso, lasciato macerie e mai fatto un passo avanti verso quell’Italia moderata, di centro-destra, che merita più attenzione e rispetto. Chi vota per il centrodestra non ha l’anello al naso, non è un lobotomizzato del Biscione, non parla solo del Milan e delle veline di Striscia la notizia. All’Aquila abbiamo assistito a una ignobile campagna di carriolanti che hanno strumentalizzato un evento come il terremoto a fini esclusivamente politici. Per mesi e mesi è stato narrato un mondo dove il governo Berlusconi se ne infischiava dei terremotati, degli aiuti, della zona rossa, della ricostruzione. Era come se a Palazzo Chigi ci fosse un’orda di barbari impegnati a banchettare sul tavolo mentre sotto le tende dell’Aquila si soffriva e pregava per il ritorno del Pd alla guida del Paese. Uno spettacolo misero che i terremotati per primi non avrebbero meritato. Poi leggiamo che la Caritas aveva milioni di euro di buoni progetti e al Comune hanno pensato bene di respingerli al mittente. Avranno avuto le loro ragioni, non ne dubito, ma in onore di quella trasparenza che hanno sempre invocato, per rispetto dei tanti italiani che hanno messo i soldini e spedito un aiuto, avrebbero potuto spiegare bene il per come e il perché di certe scelte.

A Gianni Chiodi, governatore dell’Abruzzo, non si perdona niente e tutti sanno che disastro sta affrontando: ha ereditato un bilancio regionale a pezzi e in Abruzzo prima non governavano i marziani ma la sinistra illuminata e sindacalista. A Palermo e a Catania si è parlato a ogni piè sospinto di corruzione, collusione con la mafia, nepotismi e favoritismi a senso unico. E ora scopriamo che il signor Finocchiaro aveva un suo appaltino di cui a noi non importa un fico secco se non fosse che la moglie Anna tutti i giorni fa il predicozzo al governo e lo dipinge come un manipolo di conquistadores che stanno massacrando gli italiani a colpi d’ascia. La macelleria sociale di cui parlano con enfasi i signori e le signore dell’opposizione è quella che dimentica la realtà e la deforma, la porta verso un dibattito pubblico che è un pozzo avvelenato e poi quell’acqua putrida viene data da bere a tutti i cittadini. A giudicare dai risultati elettorali degli ultimi anni, non hanno grande successo, ma stendono un mantello plumbeo sul dibattito politico, quel minimo che era rimasto, e fanno suonare a morto le campane del Parlamento. Mario Sechi, Il Tempo,04/01/2011