Silvio Berlusconi Berlusconi è cotto. Non ce la fa. Non ha i voti. Dovrà capitolare e passare la mano. Ho perso il conto delle volte in cui questo scenario è stato dipinto dai suoi amici e nemici. Ogni volta, puntualmente, la forza del Cavaliere viene sottovalutata, la sua presa sul Paese e il suo potere di presidente del Consiglio sottostimato. Prima del 14 dicembre ero uno dei pochi – sulla base di un’analisi realista e non sulle fantasie e i desideri – ad affermare che Berlusconi avrebbe conquistato la fiducia e messo Gianfranco Fini all’angolo. Quando tutto questo si è realizzato, a chi mi guardava stupito per il realizzarsi di quanto andavo raccontando ho risposto: la politica si giudica sui dati di fatto, non sulle pulsioni personali di questo o quel leader o, peggio, dei giornali. Ora ci risiamo.

 

Il primo Cavallo di Troia, Gianfranco Fini, è caduto, ma come si dice a Roma «nun ce vonno sta’» e allora si inventano un secondo kamikaze: Giulio Tremonti. Secondo la vulgata che circola da tempo nel Palazzo e in certi ambienti dell’establishment, Giulio sarebbe pronto a fare le scarpe al Cavaliere con l’appoggio della Lega. Ancora una volta i desideri vengono scambiati per realtà. Conosco il ministro dell’Economia da tanti anni, penso sia una risorsa del Paese, un uomo di rara intelligenza, un politico raffinato, pragmatico, un intellettuale che ha saputo misurarsi con la difficile e spietata arte del governo.

Stimo Tremonti perché nel 2008 ha dato con il suo libro La paura e la speranza una cornice culturale alla campagna elettorale del centrodestra. Giulio ha visto e previsto «l’età del ferro» che stiamo vivendo e si è trovato con l’economista Nouriel Roubini nel club dei pochi che hanno compreso le storture del turbocapitalismo e della globalizzazione. Quelli che danno a Tremonti, anche nel centrodestra, la patente del Bruto della situazione sottovalutano non solo Berlusconi, ma anche il ministro dell’Economia e soprattutto Umberto Bossi, uno dei pochi a poter dare del tu alla politica.

Finché il leader della Lega avrà un rapporto chiuso a doppia mandata con il Cavaliere, ogni ipotesi di cambiamento alla guida del governo, ha il bollino dei marziani. Giulio Tremonti è un ottimo ministro dell’Economia e la sua ragionevole preoccupazione – condivisa con lo stesso Berlusconi, nonostante le differenti posizioni su alcuni punti dell’agenda del governo – è che per portare a termine la legislatura ci vuole una maggioranza autosufficiente.

É questo il punto su cui Tremonti è sensibile. Avendo in mano il portafoglio, non vuole correre alcun rischio. E se voltiamo lo sguardo al passato, è esattamente lo stesso tema dell’agenda di Berlusconi. Qualcuno obietta: questo è il motivo nobile, ma in realtà c’è un altro scenario. Quello per cui andando al voto anticipato, con una centrodestra zoppo (maggioranza certa alla Camera e in minoranza al Senato) alla fine della fiera, il presidente del Consiglio finirebbe per essere non Berlusconi ma Tremonti, ritenuto – a torto o a ragione – capace più del Cavaliere di aggregare altri partiti all’avventura di governo. É uno scenario che non conviene a nessuno, prima di tutto a Tremonti e per questo chi lo dipinge, soprattutto a destra, sbaglia di grosso. Provo a spiegare perché in dieci punti:

1. Tremonti non ha nessuna intenzione di seguire la parabola di Gianfranco Fini, sa benissimo che non si diventa leader contro Berlusconi, ma con Berlusconi;

2. Il ministro dell’Economia è un socialista liberale, non è un nemico del mercato, nè un uomo di sinistra né un centrista che ha preti e cardinali da schierare;

3. Tremonti con il Carroccio e Bossi ha un rapporto speciale, ma la politica per l’Umberto è Machiavelli sciacquato nel Po e non bisogna mai dimenticare che già una volta Tremonti fu costretto a dimettersi e la Lega non fece nulla per evitare la sua capitolazione per mano del subgoverno An-Udc impersonato da Fini e Casini;

4. Tremonti è un punto di riferimento del centrodestra, l’hardware e il software della politica economica, ma non è mai stato testato elettoralmente. Nessuno, nemmeno lui, sa quanto può valere dentro l’urna;

5. Tremonti a differenza di Fini è intelligente;

6. La magistratura è un potere fuori controllo per tutti, Tremonti compreso. E una sua discesa in campo sarebbe un boccone succulento per le toghe militanti che sognano la rivoluzione giudiziaria. Basta ascoltare le cose che raccontano Marco Travaglio e Milena Gabanelli per rendersi conto che il combinato-disposto informazione-pm è in fase di lancio;

7. Tremonti è un uomo con un carattere a tratti spigoloso, ma è leale e l’ha dimostrato;

8. Con Berlusconi e Letta, Tremonti è uno dei lati del triangolo che rappresenta il moderno centrodestra italiano;

9. Il ministro dell’Economia è stimato in patria e all’estero, ha un capitale personale da spendere bene e non ha alcuna intenzione di bruciarlo nel camino di quelli che sognano la caduta di Berlusconi hic et nunc. Tremonti è foderato d’amianto;

10. Tremonti sa che in Italia si governa con i voti e che i voti determinanti non li ha solo Bossi, ma anche e soprattutto Silvio Berlusconi. Chi immagina scenari da senato romano, pugnali sotto le tuniche e dialoghi da alto tradimento può mettersi l’animo in pace. Berlusconi ha il consenso e Bossi ha la consapevolezza che la forza della Lega e il controllo del Nord passano ancora attraverso la figura e i voti del Cavaliere. Questo significa una cosa molto semplice: se ci sono i voti la maggioranza va avanti, lo vuole la logica, lo vuole il Paese, lo comprende Bossi e lo sa benissimo anche Tremonti. Se invece i voti mancheranno, si andrà a votare e, state sicuri, Berlusconi, Bossi e Tremonti saranno, ancora una volta, dalla stessa parte. Per ora, Silvio non tremonta. Mario Sechi, Il Tempo, 05/01/2011