LA LOTTERIA DI BERLUSCONI, l’editoriale di Mario Sechi
Pubblicato il 6 gennaio, 2011 in Politica | Nessun commento »
Mentre si estraggono i biglietti della Lotteria Italia è in pieno svolgimento un altro avvincente concorso: il gran premio Palazzo Chigi 2011 che vede impegnato Silvio Berlusconi nel salvare la pelle del governo dai continui assalti di amici e nemici. Mancano ancora un po’ di giorni, ma da metà gennaio in poi, ogni giorno sarà buono per capire se Silvio ha i voti per continuare la sua avventura.
Dopo aver fallito il 14 dicembre l’assalto alla Bastiglia con il capitano Fini che si è spiaccicato contro le mura della fortezza, gli avversari del Cav hanno cominciato a cercare un altro cavallo di Troia per l’operazione di caduta del regime. Hanno provato a tentare Giulio Tremonti, ma ben presto si sono resi conto che il ministro dell’Economia è esattamente il contrario di Fini, è intelligente e non cede alle sirene che lo dipingono come uno statista a prescindere.
Archiviato anche lo scenario tremontiano, spenti sul nascere da Bossi gli scenari da notte dei lunghi coltelli, ai nemici del Cavaliere non resta che sperare solo nel fallimento dell’operazione di allargamento. A quel punto la mission di Silvio diventa davvero impossibile. E Umberto Bossi avrà ottimi argomenti per staccare la spina. Ma prima che l’operazione di eutanasia forzata accada, Berlusconi potrà tentare di portare la linea di galleggiamento del governo a quota 325/330, quella che consente di navigare a vista. Per arrivarci la lotteria del Cavaliere prevede l’estrazione di molti biglietti. Vediamo quali sono.
1. Allargamento. È il tagliando numero uno, quello che o salta fuori o salta il governo. In questo momento gli sherpa di Berlusconi hanno aperto colloqui con una ventina di deputati che non vogliono le elezioni anticipate. Il presidente del Consiglio si mostra ottimista e dice di avere i numeri. Realisticamente potrebbero arrivare una decina di voti in più, al massimo quindici. Con una maggioranza che oscilla tra i 325 e 330 voti si può provare a governare, navigando sempre a vista e con lo scafo che sfiora continuamente gli scogli, ma stando a galla e prendendo il tempo necessario per continuare nell’operazione di convincimento di quelli che ancora non ci credono.
2. Posti di governo. Questo biglietto è già sicuro. I posti di governo sono oltre dieci, tutti più o meno buoni e in ogni caso migliori dell’idea di ritrovarsi senza seggio nella prossima legislatura. Ma l’assegnazione del tagliando passa attraverso una selezione dei vincitori che non è semplicissima. Qui il manuale Cencelli non vale, i criteri vanno inventati sul momento e pesati con un bilancino di precisione atomica. Esempio: prima di dare un sottosegretariato a qualcuno, bisogna vedere «quanto vale», cioè quanti parlamentari ha portato con sè a sostegno della maggioranza, ma naturalmente qualcosa chiederanno anche i singoli parlamentari. La politica non è una scuola di educande, è gestione del potere ed è chiaro che tutto questo fa parte del menù di qualsiasi governo, di destra e di sinistra. Per durare, occorre essere realisti. Sta al cuoco, Berlusconi e ai suoi aiuti in cucina trovare un equilibrio tra pietanze, porzioni e avventori del ristorante di Palazzo Chigi.
3. Rilancio e ministri. Nella partita delle poltrone Berlusconi vorrebbe riservare quelle migliori a un paio di nomi importanti. In condizioni normali, questa sarebbe una scelta perfetta, ma con un bastimento che ha problemi di tenuta e ha già buttato gran parte della zavorra in mare, le cose sono più difficili. Il Cav ha sempre pensato che nell’esecutivo ci sia bisogno di qualche altra figura carismatica, capace anche di bilanciare il prezioso ma esorbitante (in termini di potere) ruolo di Giulio Tremonti. Non sarà facile, perché si tratta delle ciliegine sulla torta e, in questo caso, la torta non è ancora pronta e il rischio che si sgonfi mentre è nel forno sono alti.
4. Finiani. Sono in rotta, un gruppo spaccato letteralmente in due: da una parte un filone che incarna una politica dipietrista (Bocchino, Granata, etc.), dall’altra una corrente berlusconiana moderata (Viespoli, Consolo, etc.) che fatica a stare nel gruppo. Per ora Gianfranco Fini li tiene uniti, ma gli scricchiolii sono sotto gli occhi di tutti. Potrebbero sfasciarsi del tutto, ma non subito.
5. Udc e Casini. È il capitolo più delicato della storia: il corteggiamento del Pdl su alcuni centristi è arcinoto. La cosa non fa piacere a Casini, il quale ha davanti a sè due strade: infischiarsene, tirare dritto, non cooperare con Berlusconi ma correre il serio rischio di vedere assottigliarsi la sua truppa parlamentare; oppure rimettersi al tavolo della trattativa, concertare con Berlusconi un appoggio esterno e preparare le basi per un suo ritorno nel centrodestra. C’è poi la terza possibilità, quella suicida: restare a guardare alla finestra facendo il gioco di Fini che nel frattempo si lecca le ferite.
6. Bossi. Il Senatur non è un tipo che le manda a dire: per lui o ci sono i voti per il federalismo, oppure si sciolgono le Camere e si va a casa. In questo scenario la Lega è certamente il partito che ha più mosse da giocare nella scacchiera, ma anche per il Carroccio le rose hanno le spine perché Bossi aveva sì promesso il federalismo ai suoi elettori, ma tra gli imprenditori che speravano in una diminuzione della pressione fiscale, soprattutto nel Veneto, crescono i dubbi sul tremontismo come cura per la crescita. Il salto della Lega nell’urna è certamente vincente, ma meno di quanto si immagini. Il biglietto della lotteria migliore, anche per Bossi, sarebbe quello di continuare la legislatura.
7. Il Cavaliere. Nella lotteria lui distribuisce i premi e nello stesso tempo cerca di prendere il bottino più grande: la continuità del governo. Le possibilità che ci riesca non sono poche, ma nello stesso tempo il Cavaliere continua nel suo test della piazza e ieri ha rispolverato i comunisti e gli ha fatto indossare il cachemire. Così nella lotteria del Cav Massimo D’Alema ha vinto un servizio fotografico glamour sul settimanale «Chi»: un comunista in cachemire. E un governo che non vuole restare in mutande. Mario Sechi, Il Tempo, 6 gennaio 2011