Tu quoque, Stefania? Guardatela bene: è davvero la Sandrelli. In cima alla lista di coloro che portavano i soldi all’estero c’è proprio lei, la grande attrice immortalata da Bertolucci e da Virzì, da Monicelli e Trintignant, il meglio dei registi intellettuali dell’ultimo secolo. L’ultimo a immortalarla, per la verità, è stato Hervé Falciani, che però non è un regista e nemmeno un intellettuale. È solo un impiegato di banca, che non ha usato la cinepresa ma un computer, che non ha detto «ciak» ma «tiè», e però ha messo su un bel cinema lo stesso, a giudicare dagli effetti speciali. Come minimo, merita l’oscar alla fotografia.

In effetti è una bella fotografia d’insieme, quella che salta fuori da quell’elenco. Stefania la rossa passa direttamente da Ozpetek ai caveau della Confederazione elvetica, dal Novecento di Bernardo Bertolucci al 2011 della Procura di Roma, manco fosse la moglie di Briatore, per dire. In effetti: nella lista Falciani c’è pure lei, la moglie di Briatore, al secolo Elisabetta Gregoraci. Compare accanto a altri nomi illustri come lo stilista Valentino, il gioielliere Bulgari, il presidente della Confcommercio di Roma Pambianchi o il commercialista Carlo Mazzieri. Ma vuoi mettere la differenza? Da un commercialista, quasi, uno se lo aspetta, da un gioielliere magari pure, figurarsi da una come la Gregoraci che sposa un miliardario un po’ burino, che si fa beccare con lo yacht fuori legge e chiama il figlio Nathan Falco. È quasi naturale ritrovarla nella lista dei cattivoni tributari.

Stefania Sandrelli, invece. Con tutto quel po’ po’ di Novecento nel suo repertorio, con il Leone d’oro di Venezia alla carriera, una spruzzata di Benigni e naturalmente Muccino nel palmarès, ebbene, da lei ci si aspetta al massimo l’obolo alla cassa del mutuo soccorso operaio, il contributo segreto alla compagnia dei portuali, una donazione alla mensa dei poveri di San Francesco. Mica i versamenti alle banche svizzere. Ma come? Proprio lei, così amata e celebrata dalla sinistra intellettualmente chic, lei che ispirò Sapore di sale a Gino Paoli e recitò al fianco del compagno Volonté, ebbene lei si comporta come tutti gli altri? Ma sicuro. Anzi, in realtà, si comporta come i peggiori degli altri, come quelli che la sinistra da sempre descrive come beceri capitalisti, evasori fiscali, spalloni miliardari capaci di far sparire oltre confine i denari destinati a costruire strade e ospedali di casa nostra. Possibile? Dev’essere proprio un «male oscuro», direbbe il compagno Monicelli.

Un male oscuro che, per altro, colpisce non da oggi l’intero mondo degli artisti italiani, più o meno impegnati, che hanno sempre il cuore rivolto alla sinistra (conviene, altrimenti la critica diventa impietosa) e il portafoglio rivolto alla destra (conviene, altrimenti il conto in banca diventa penoso). Da Adriano Celentano, l’uomo che fa l’elogio delle case di ringhiera ma poi vive in una villa extraluxe grazie anche agli stratosferici cachet della Rai, fino ai tre della Gialappa’s, che non perdono occasione per far professione di sinistrismo, salvo arricchirsi con i contratti generosi di Mediaset e gli spot delle banche, abbiamo visto che ormai da molto tempo la coerenza, artisticamente parlando, è diventata un optional davvero poco usato. Per non dire di quei grandi intellettuali alla Guido Rossi che smettono di discettare di saggi principi di etica solo quando passano all’incasso di parcelle professionali che da sole sfamerebbero mezzo Bangladesh.

Ed è altrettanto vero che da Sofia Loren a Renato Zero, da Valentino Rossi a Pavarotti è sempre stata lunga la lista dei vip italiani che si sono fatti beccare dal fisco. Eppure tutto ciò non toglie che il nome della Sandrelli, in cima a quella lista, colpisce. Tanto più che ci è finita pure con la figlia, quasi come a passare il testimone, come sul grande schermo, anche nel Nuovo Cinema Paradiso Fiscale. Colpisce che la Sandrelli si sia affidata al tanto famigerato scudo fiscale, quello che finisce nel mirino di ogni militante di sinistra che urla incazzato nel salotto di Ballarò.

E colpisce che protagonista di tanta incoerenza sia proprio uno dei simboli più celebrati dell’Italia modello sinistra moralmente superiore, quella, per l’appunto, che merita le celebrazioni chic sul Lido di Venezia, i commenti entusiasti dei cineforum, le rassegne ammirate di chi per anni ci ha fatto credere, grazie anche alla sua bellezza, che lo faceva «Per amore, solo per amore». Evidentemente, lo faceva anche per altro, cerchiamo almeno di essere franchi. E, per una volta, che non siano franchi svizzeri.