“Fu nelle notti insonni,
vegliate al lume del rancore
che preparai gli esami
diventai procuratore”
per imboccar la strada
che dalle panche d’una cattedrale
porta alla sacrestia
quindi alla cattedra d’un tribunale
giudice finalmente
arbitro in terra del bene e del male

E allora la mia statura
non dispensò più buonumore
a chi alla sbarra in piedi
mi diceva Vostro Onore
e di affidarli al boia
fu un piacere del tutto mio
prima di genuflettermi
nell’ora dell’addio
non conoscendo affatto
la statura di Dio”

Fabrizio De André, in “Un giudice” del 1971, cantava di un nano che, da tutti deriso, studia e diventa magistrato. E diventa carogna, perché è nel timore che incute agli imputati che trova vendetta, cioè la cura al suo disagio. Trovarsi davanti una persona del genere in un contenzioso non renderebbe certo tranquilli, e, anche se questo è solo un caso limite e di fantasia, un certo riscontro con la realtà lo si può intravedere.

L’Eurobarometro, il consorzio interuniversitario della Commissione europea, riporta che solo il 37 per cento degli italiani ha fiducia nella giustizia del nostro paese e che negli ultimi dieci anni il valore ha oscillato tra il 31 per cento il 47 per cento. Ma non ci si stupisca, il dato anche in Europa è lo stesso: 43 per cento in media. In paesi come Francia, Inghilterra e Spagna, il numero delle persone che confidano nella giustizia si attesta attorno al 39 per cento, al 48 per cento e al 40 per cento. Solo la Germania, tra i grandi, è sopra la metà: il 58 tedeschi si fida dei giudici.

AnalisiPolitica ha realizzato diversi sondaggi sull’argomento ed è possibile approfondire la prospettiva con cui gli italiani guardano i propri magistrati. I temi sono molti e sono anche oggetto di proposte politiche recenti o meno recenti. Per esempio, il tema della responsabilità civile dei magistrati fu una grande battaglia vinta dai Radicali nel 1987 con un referendum che portò all’approvazione della legge Vassalli, da molti tutt’ora ritenuta eludente. L’86 per cento degli italiani è d’accordo sul fatto che “un magistrato che sbagli, deve essere responsabile della propria azione”. O come quello della riforma del Csm: per il 68 per cento degli intervistati “i giudici dovrebbero essere controllati da un organo indipendente, non composto da altri magistrati come loro”. Non è un dato trascurabile, soprattutto quando il 56 per cento cioè la maggioranza, pensa che “sovente i magistrati agiscano con fini politici” e infatti per due cittadini su tre “spesso, in Italia, la magistratura non è imparziale come dovrebbe essere”.

Anche questioni più vicine al cittadino.
Per l’85 per cento degli italiani, “se i condannati scontassero sempre la pena per intero, ci sarebbero molti meno reati” e “spesso le forze dell’ordine catturano i criminali, ma la magistratura li rilascia con troppa facilità” (62 per cento). In qualche modo viene pure invocata una riforma della legge Gozzini: per i tre quarti delle persone “spesso i permessi e gli sconti di pena ai carcerati, vengono dati senza che essi se lo meritino veramente”, rendendosi necessario un cambiamento di tale prassi (76 per cento).

Nell’opinione pubblica, neanche il sistema giudiziario è immune alla corruzione. Il 39 per cento degli italiani ritiene che vi sia diffusa la pratica delle tangenti. E se il 17 per cento afferma che nell’ultimo anno gli sia stato richiesta la bustarella, un quarto di essi dice che quelle pressioni venivano proprio dell’apparato della giustizia.

Concludendo, è fuor di dubbio che l’istituto della magistratura sia e debba essere uno dei capisaldi di qualsiasi sistema democratico, ma è altrettanto chiaro che in Italia la maggior parte della gente pensa che ci sia più di un ambito da riformare. Quel che sottolineava De André e che probabilmente in molti altri pensano, è che un giudice sia pur sempre un uomo e che come tutti gli uomini possa sbagliare. Fonte: Il Foglio, 24 gennaio 2011