Il leader di Futuro e Libertà non può essere anche il presidente della Camera, eletto con i voti di Pdl e Lega. Dopo il caso Ruby la maggioranza si ricompatta e torna a chiedere con forza la testa (o meglio: lo scranno) di Gianfranco Fini. Mentre da Santa Lucia arrivanno nuove prove che inchiodano l’ex An, il centrodestra ha posto in discussione il ruolo del numero uno del Fli alla guida di Montecitorio chiedendo ufficialmente, nel corso della conferenza dei capigruppo, che si apra un dibattito sulla questione. Richiesta che Fini ha prontamente rigettato.

“Non sei super partes”. L’accusa avanzata da Fabrizio Cicchitto è secca, non lascia lo spazio per la discussione. Perché da quando l’ex An si è messo fuori dal Pdl per formare un nuovo partito in netta antitesi al governo e alla maggioranza, ha abbandonato la veste di presidente della Camera per calarsi in quella di leader della nuova formazione politica. Una posizione che ha viziato il ruolo super partes richiesto dal proprio incarico istituzionale. A sollevare ancora una volta il problema è stato il leghista Marco Reguzzoni chiedendo ufficialmente, nel corso della conferenza dei capigruppo, che si aprisse un dibattito sulla questione. Ma il presidente della Camera, nel corso dell’ufficio di presidenza che ha calendarizzato la mozione di sfiducia a Bondi per domani pomeriggio, ha rispedito al mittente la richiesta con le stesse motivazioni che aveva fornito per iscritto al Carroccio dopo la sua lettera formale. “La conferenza dei capigruppo – avrebbe detto Fini – non è la sede deputata per un dibattito sul suo ruolo di presidente, che sarebbe di pertinenza solo della Giunta per i regolamenti della Camera”.

Nel giorno in cui la Farnesina ha ricevuto i documenti dell’indagine aperta dal paradiso fiscale di Santa Lucia dove sono state create le società offshore per la compravendita della casa di Montecarlo, si apre un nuovo fronte per Fini. E si ricompatta quell’asse tra il Pdl e la Lega Nord che alcuni detrattori della maggioranza avevano ipotizzato essere in rotta dopo l’inchiesta dei pm milanesi sul caso Ruby.