RIVOLUZIONE ALLE VONGOLE, l’editoriale di Mario Sechi
Pubblicato il 7 febbraio, 2011 in Politica | Nessun commento »
Dopo Gad Lerner in tv e Umberto Eco sul palco, anche Eugenio Scalfari ha cantato il ritornello «Berlusconi come Mubarak». Posso comprendere le esigenze di spettacolarizzazione del piccolo schermo, il bisogno impellente di accendere la massa durante un comizio, ma sulla nobile carta su cui si elevano le colonne di Repubblica il Fondatore aveva la possibilità di staccarsi dagli slogan e volare un po’ più alto per cercare di spiegare come finisce un regime. Invece no, Scalfari s’è unito al coretto dei rivoluzionari in carrozza, svolgendo un compitino che per un grande giornalista come lui è un’autoriduzione a strofa sanremese delle sue capacità di analisi politica.
Proviamo lo stesso a prendere sul serio Scalfari? Massì, così vediamo dove ci conduce questo ragionamento che EuGenio ha lasciato in sospeso, accontentandosi di giocherellare con le metafore senza riempirle di una sostanza che a lui non è mai mancata: il fosforo.
La parabola di Berlusconi è certamente nella sua fase calante, ma questo non ha nulla a che vedere con l’Egitto, piuttosto ha molto a che fare con il letale cortocircuito tra politica e giustizia, con la disinvoltura del Cavaliere nel ricoprire un ruolo istituzionale che gli imporrebbe più sobrietà e con la carta d’identità del Presidente del Consiglio.
Berlusconi ha 73 anni, è chiaro che il dato anagrafico ha un suo significato. Se sposiamo quest’ultimo elemento all’età media del Parlamento italiano e dei presunti aspiranti leader del prossimo futuro, non possiamo non vedere che prima o poi l’elettorato – sottolineo, l’elettorato – si porrà il problema di come cambiare un regime gerontocratico. A destra, al centro e a sinistra. Berlusconi non ha perso il suo consenso, piuttosto ha consumato parte del suo smalto, ma come sa bene lo stesso Scalfari, l’uomo seppur colpito e ammaccato, ha ancora una capacità di reazione enorme. Sottovalutarlo è un gravissimo errore che già in passato ha sottoposto i suoi oppositori alla dura legge della sconfitta.
Anche questo non ha niente a che fare con l’Egitto, dove Mubarak sta resistendo nel palazzo presidenziale contro tutta l’opinione pubblica. Il presidente egiziano ha altissime probabilità di finire deposto dalla folla in mezzo ai tumulti. Qui a piazza Colonna, mentre scrivo, non si sente il fischio dei proiettili, non s’ode un coro che urla al regime di levare le tende, non c’è una folla che schiuma rabbia, c’è il solito via vai domenicale di turisti e famiglie che vanno a mangiare il gelato da Giolitti e fare shopping da Cenci. Se è l’inizio di una fase rivoluzionaria, illuminista e democratica, allora è griffata e ha il sapore di vaniglia.
Nonostante il dato generale sia questo, nell’opposizione colta e vagamente letteraria si sta diffondendo l’idea che Berlusconi sia pronto per l’esilio in un’isola caraibica. In quota periscopica ci sono forze che questo scenario non solo lo auspicano, lo sognano, lo desiderano ardentemente, ma in qualche maniera lo cercano. La carnevalata organizzata di fronte alla villa di Berlusconi ad Arcore fa parte di questo scenario da prova di forza. E siccome accanto a chi manifesta pacificamente c’è anche un po’ di marmaglia a cui piace menare, ecco il primo «incidente». Ne seguiranno altri. Vedrete. Bastava leggere ieri una dichiarazione di Antonio Di Pietro per capire che qualcuno sta facendo bollire un pentolone di magma: «La maggioranza politica non esiste più, Berlusconi se ne faccia una ragione e si dimetta. Se non lo farà lui ci penseremo noi a mandarlo a casa. Continueremo a protestare in piazza, insieme ai cittadini, e ci sarà una nuova presa della Bastiglia per riappropriarci della democrazia».
Tonino prima di pronunciare una frase del genere in realtà dovrebbe prendere una pastiglia. Ora a Di Pietro rinfreschiamo la memoria: la presa della Bastiglia avvenne il 14 luglio del 1789 a Parigi, agli insorti serviva la polvere da sparo per caricare i 28 mila fucili di cui disponevano. Lo scontro con le guardie fu violento, alcuni soldati vennero decapitati e le loro teste infilzate su pali appuntiti. Fu l’inizio della rivoluzione francese. Mi fermo qui. Penso sia sufficiente per comprendere che quando si usano le parole, occorre sapere che cosa significano e dove conducono. Vale anche per Di Pietro che, en passant, fa parte di un Parlamento democraticamente eletto. Ma torniamo all’Egitto evocato da Scalfari. Ripassate quanto detto da Di Pietro e leggete ora quanto affermava ieri uno dei leader della rivolta del Cairo, Mohammed el Baradei: «Più Hosni Mubarak continua a rimanere al potere, più l’Egitto rischia di esplodere in quella che potrebbe diventare una guerra civile».
Ecco, basta la parola, e si materializza in tutta la sua straordinaria dimensione storica e filosofica lo scenario evocato da Scalfari e compagni di salotto e caminetto: l’Egitto alle vongole, il premio nobel El Baradei come Di Pietro. Mario Sechi, Il Tempo, 7 febbraio 2011