PERCHE’ PIU’ POTERI AL PREMIER. FIRMATO PD
Pubblicato il 1 marzo, 2011 in Politica | Nessun commento »
Quando divenne l’inquilino pro tempore di Palazzo Chigi, D’Alema si espresse per un rafforzamento dei poteri del premier a scapito degli organi di contrappeso, fra i quali c’è ovviamente il Quirinale. E Fini, prima della sua conversione terzopolista, è sempre stato un fautore del presidenzialismo, cioè di quella riforma che prevede l’elezione diretta di un presidente della Repubblica che abbia funzioni di governo.
Ora hanno cambiato entrambi idea solo perché a Palazzo Chigi c’è Berlusconi, ma l’esigenza di rafforzare i poteri del premier per mettere l’Italia in una situazione decisionale simile a quella degli altri Paesi occidentali resta sacrosanta.
Non deve dunque meravigliare che Berlusconi, avendo i numeri per governare a dispetto di tutto e di tutti, abbia deciso di mettere i puntini sulle “i”, denunciando la sostanziale messa in mora del governo da parte di altri organi costituzionali come la Presidenza della Repubblica e la Corte Costituzionale. Attenzione: il premier, prima ancora di puntare il dito sul “come” vengano esercitati i poteri di controllo previsti dalla Costituzione, indica la strada di come uscire dall’impasse, ossia quella di una profonda riforma costituzionale che metta davvero i governi in condizione di governare. Un esempio? La legge Bossi-Fini sui clandestini, varata due legislature fa per dare una risposta all’immigrazione incontrollata che si stava riversando sulle nostre coste, è stata praticamente disapplicata a causa della raffica di ricorsi alla Consulta da parte di magistrati ideologicamente contrari ad ogni norma restrittiva sull’immigrazione. E’ un esempio di scuola, questo, di come una legge del Parlamento, espressione della volontà popolare – i princìpi della Bossi-Fini erano scritti nel programma di governo – possa essere neutralizzata da contropoteri che, da garanti della Costituzione, si sono trasformati nel tempo in terza Camera legislativa. Oggi Berlusconi ha superato praticamente indenne una tempesta politica, e deve affrontarne un’altra giudiziaria, ma avendo allargato la base parlamentare che lo sostiene ha il diritto e il dovere di governare, anzi, di garantire al Paese una piena governabilità nei due anni restanti di legislatura, e per questo non ci sta a farsi imbrigliare dai paletti che in questo momento vede come ostacoli lungo il cammino della maggioranza nella realizzazione del programma elettorale.
Dunque, la strada maestra è quella riforma costituzionale che la sinistra appoggiò ai tempi della Bicamerale D’Alema, ma che poi ha ripudiato per motivi puramente tattici. Eppure nella Bicamerale la proposta del premierato forte fu presentata nella cosiddetta “bozza Salvi”, dal nome del senatore Cesare Salvi, diessino, che l’aveva redatta. Essa prevedeva l’elezione diretta del primo ministro, il suo rapporto di fiducia con la sola Camera dei deputati e lo scioglimento della Camera stessa in caso di approvazione di una mozione di sfiducia. Il primo ministro, inoltre, avrebbe avuto il potere di nomina e revoca dei ministri, anche se ufficialmente spettante al presidente della Repubblica, e avrebbe potuto proporre a quest’ultimo lo scioglimento delle Camere. Ma se oggi una simile proposta arrivasse dal Pdl, si parlerebbe di tentato golpe.