Secondo un sondaggio di Mannheimer il 70% non vuole che Berlusconi faccia il passo indietro chiesto dall’opposizione. E’ una risposta ai ripetuti annunci del Pd, sicuro di raggiungere entro l’8 marzo dieci milioni di firme per chiedere le dimissioni del premier. Intanto Il Cav prepara il rimpasto di governo

«Una percentuale compresa tra il 60 e il 70% degli italiani non vuole le dimissioni del presidente del Consiglio». Silvio Berlusconi accoglie con il sorriso complice di chi non è affatto sorpreso la rilevazione effettuata in esclusiva per Affaritaliani.it dal presidente dell’Ispo, Renato Mannheimer. Una risposta sonante ai ripetuti annunci di Maurizio Migliavacca, responsabile organizzativo del Pd, sicuro di raggiungere entro l’8 marzo dieci milioni di firme sotto la petizione per le dimissioni del premier. E uno schiaffo a chi cerca di accreditare l’immagine di un politico appannato e incapace di intercettare l’umore profondo degli italiani.

Chi ha incontrato Berlusconi lo ha trovato tonico, di buon umore e pronto a impegnarsi in prima linea e in prima persona nella campagna per le amministrative, a cominciare dalle comunali di Milano. Un’attenzione crescente, quella per le prossime consultazioni locali, che tocca anche Napoli, città a lui particolarmente cara e per la quale ha commissionato ripetuti sondaggi sul gradimento dei potenziali candidati. Il premier ha anche accolto con soddisfazione i dati Istat, con il miglioramento del rapporto deficit/pil e il Pil in crescita rispetto alle previsioni. Una schiarita che il premier confida possa consolidarsi nei prossimi mesi.

Sullo sfondo continuano sottotraccia le grandi manovre per l’allargamento della squadra di governo. Il pressing da parte del gruppo dei Responsabili sta salendo. Non a caso Pippo Gianni, parlamentare dei Popolari per l’Italia di Domani, dice con chiarezza che «non si può più aspettare. Dobbiamo dare risposte al territorio e al Centro Sud, isole comprese. A questo punto serve un riconoscimento politico del nostro ruolo». Gli esponenti del Pid, Saverio Romano in testa, avrebbero spiegato a Berlusconi che soltanto mantenendo le promesse si può continuare ad essere credibili e attrattivi sul territorio. La richiesta dei vari gruppi è quella di affrontare la questione già nel prossimo Consiglio dei ministri di domani mattina. Berlusconi, però, vorrebbe attendere ancora alcuni giorni per evitare il sorgere di tensioni e scongiurare il malcontento degli eventuali esclusi.

Il Risiko delle nomine, inoltre, non è ancora completato. Romano, in pole position per il dicastero dell’Agricoltura, deve vincere le resistenze della Lega che vorrebbe al ministero ora di Galan – l’ex governatore del Veneto potrebbe spostarsi alle Politiche europee – un proprio candidato. Per Paolo Bonaiuti potrebbe arrivare finalmente la promozione a ministro, con la sostituzione di Sandro Bondi ai Beni culturali. Restano in stand-by anche le nomine di Francesco Pionati, Anna Maria Bernini, Massimo Calearo, Nello Musumeci, Francesco Nucara, Aurelio Misiti ed Elena Polidori. Il premier appare intenzionato ad aumentare il numero dei membri del governo che oggi sono 65. Non a caso Berlusconi ha ricordato che il governo Prodi ne aveva più di 100. La sua intenzione è quella di allargare la squadra con 12-15 nuovi innesti, probabilmente con un disegno di legge ad hoc. Il premier, quindi, continua a puntare su un rinnovato assetto dell’esecutivo capace di blindare la maggioranza senza bisogno di nuovi e più rischiosi ingressi. Una mossa che, negli auspici di Palazzo Grazioli, allontanerebbe le elezioni forse fino al 2013.