E’ in corso un tragicomico tentativo di spacciare le mille e una libertà italiane garantite anche negli anni di Silvio Berlusconi, e ampliate a dismisura, per un regime tirannico da abbattere con ogni mezzo. Il gruppetto ribaldo di Micromega, gli editorialisti neopuritani di Repubblica e altri virtuisti incoscienti sparsi qui e là non badano alle parole, iniettano testosterone e altri eccitanti nella folla smarrita dei loro lettori ideologizzati in una corsa che supera perfino o almeno compete con la demenzialità dei talk show.

Quel mattocchio di Gad Lerner s’inventa un bonzo autoincendiario e lo mette nel conto al governo. «Con ogni mezzo» è la parola d’ordine. Vogliono trasformare una legittima maggioranza elettorale e parlamentare, e il difficoltoso e spesso stentato esercizio del potere repubblicano, in un regime da abbattere con la violenza, come la piazza araba con i rais. Per ora la violenza è delle parole, poi si vedrà.
Eppure Berlusconi è la dolcezza di vivere, la volontà di piacere, l’ingenuità moderata del potere («Non voglio disturbare il colonnello» è una frase malaccorta ma autentica che passerà alla storia semantica della politica). Troppa grazia, verrebbe da dire. Ve lo immaginate un Muammar Gheddafi inseguito per anni dai magistrati, dai giornali, dai talk show, e scrutato a mero scopo di vilipendio nel pubblico e nel privato, indagato, pedinato, origliato, violato in ogni sacrale spazio della sua vita personale? Consiglio alle vittime della farsesca e inquietante campagna contro la tirannia berlusconiana di guardarsi il discorso di quell’uomo imbacuccato in preda alla paranoia che è Gheddafi, gaddianamente un Buce, un Truce e un Duce: capiranno in un istante da che tiranno sono governati, per differenza. Tra la danza di morte del beduino e gli aggraziati minuetti del Cav non esiste paragone possibile, i veri tiranni, i veri ossessi del potere sono i più estremisti tra i suoi nemici, coloro che lo assolutizzano.
Nel colonnello libico si riassume la tragedia sconnessa e terribile di un potere in autocombustione psichiatrica, sono lui e Fidel Castro i due despoti di gigantesca e nera levatura della fine di secolo novecentesca; in Berlusconi e nei suoi innocui video si vedono invece la tenacia, ma anche il carattere fatalmente relativo del potere, la saggezza compiacente del sorriso largo. Si capisce che per quell’uomo la politica è un sistema di vita da fuggire nel privato, nella festa, nel canto, una scelta pubblica imposta dalla situazione e poi praticata con un misto di noia e diletto, in un vertiginoso e totale rispetto del consenso popolare, sempre censito anche quando non ci sono le elezioni, sempre al comando attraverso i sondaggi, che sono le mitragliette e l’aviazione incapace di far vittime del nostro dittatore, del nostro rais.
La pericolosa buffonata dell’assimilazione del potere italiano a quello delle dittature arabe vale in sé due soldi, ma appunto è insidiosa, è il frutto di un disturbo mentale usato da scaltri lobbisti per propagare altro disturbo mentale, per diffonderlo nella parte di questo Paese che si considera perdente. È la strategia del rancore, una livida battaglia che porterà abbondanti dosi di male in nome del loro fottutissimo bene.